Città del Vaticano , 01 October, 2020 / 5:00 PM
Un bilancio in deficit di 11 milioni, risultato di 307 milioni di entrate e 318 milioni di uscita. Un patrimonio netto di 1 miliardo e 402 milioni di euro. E una riforma in corso, che punta a centralizzare gli investimenti per un maggior controllo sulle entrate. Per la prima volta dal 2016, viene pubblicato il bilancio annuale della Santa Sede. Normale che sia in deficit, spiega a Vatican News padre Juan Antonio Guerrero Alves, prefetto della Segreteria per l’Economia: è, in fondo, “un bilancio di missione".
Un bilancio, è bene ricordare, che riguarda solo la Santa Sede, e in particolare gli organismi della Curia Romana, e non lo Stato di Città del Vaticano, l’Istituto per le Opere di Religione, l’Obolo di San Pietro, le fondazioni di diritto pontificio.
Dal 2016, la Santa Sede non ha reso noti i suoi bilanci. Al tempo veniva pubblicato annualmente un consolidato, che presentava sia il bilancio della Santa Sede, sia quello dello Stato di Città del Vaticano. Si è pensato anche di mettere insieme i due bilanci in una unica voce di spesa. Anche perché, il deficit della Santa Sede era ripianato dagli attivi del governatorato, provenienti soprattutto dai Musei.
In effetti, nella sua intervista a Vatican News, padre Guerrero spiega che “aggiungendo il bilancio del governatorato, dell’Obolo, dello IOR, del Fondo Pensioni e delle Fondazioni che aiutano la missione della Santa Sede, si ottiene un patrimonio netto di circa 4 miliardi di euro. Se dovessimo consolidare tutto, nel 2019 non ci sarebbe deficit, né c’è stato nel 2016, l’ultimo anno in cui tutti questi conti sono stati consolidati”.
Certo è che la crisi del coronavirus ha dato un duro colpo alle finanze del Vaticano e in particolare al Governatorato. Al di là delle mancate entrate da parte dei Musei vaticani, ci sono anche le mancate entrate degli affitti delle attività commerciali, parzialmente abbuonate e parzialmente condonate per permettere ai commercianti di far fronte alle spese.
La pubblicazione del bilancio della sola Santa Sede sembra voler prima di tutto rassicurare sullo stato effettivo delle finanze del Papa, colpite in questi tempi da vari scandali.
Quali sono le fonti del bilancio della Santa Sede? Il 54 per cento, pari a 164 milioni di euro è generato dal patrimonio. Un altro 14 per cento (44 milioni di euro) è generato da attività commerciali (dalle catacombe alle produzioni editoriali del Dicastero per la Comunicazione) e i servizi (tasse per alcuni certificati, tasse accademiche). Poi è venuto un contributo di 43 milioni da IOR, Governatorato, Basilica di San Pietro. Mentre 56 milioni, il 18 per cento del totale, sono venute da donazioni delle diocesi e dei fedeli.
Le spese invece riguardano prima di tutto gli edifici, che costano 18 milioni di euro di tasse e 25 milioni di euro di manutenzione, e che – secondo padre Guerrero – sono “quanto ci costa a generare i 164 milioni di euro di entrate” del patrimonio.
Servizi e amministrazione costituiscono il 14 per cento delle spese, e le spese di missione rappresentano il 65 per cento del bilancio. Padre Guerrero sottolinea che “non c’è nulla di paragonabile” in altri Paesi al “mantenere 125 nunziature e missioni permanenti nel mondo con 43 milioni di euro”.
Osservatore Romano, Radio Vaticana, Vatican Media e Vatican News costano invece 45 milioni di euro.
Nell’intervista si dice che il deficit dell’anno passato era di 75 milioni, ma sono dati non a disposizione di tutti. Padre Guerrero spiega che le finanze e gli investimenti hanno coperto parte del deficit, che ora è di 11 milioni. Ma, secondo il “ministro delle finanze” vaticano, nella comparazione si devono anche eliminare alcuni costi e ricavi straordinari, che farebbe salire il deficit del 2019 a 22 milioni, ma anche scendere quello del 2018 a 50 milioni.
Padre Guerrero sottolinea che si deve pensare ai ricavi, non solo ai contenimenti dei costi, chiede anche di pensare alle donazioni come parte dei ricavi, perché queste, se si include l’Obolo, contribuiscono al 35 per cento delle spese.
All’inizio della grande riforma dell’economia vaticana avviata da Papa Francesco, si parlava persino di un Vatican Asset Management, un fondo vaticano che potesse investire per tutti i dicasteri. Il Cardinale George Pell, all’epoca prefetto della Segreteria per l’Economia, parlava in suo articolo del 2014 di centinaia di milioni tucked away, cioè nascosti, nei bilanci di tutti i dicasteri. Non erano nascosti. Semplicemente, ogni dicastero aveva un suo portafoglio, un suo bilancio. E questo includeva la Segreteria di Stato vaticana, che aveva dei fondi che investiva autonomamente.
Si è ora nel processo di riforma di centralizzare gli investimenti. Non in un Vatican Asset Management, ma attraverso l’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica, l’APSA, che ha più o meno le funzioni di una banca centrale e che costituisce l’amministrazione della Sede Apostolica. Si tratta, insomma, di avere un fondo di investimenti sovrano.
Ma questo non significa né che l’APSA cominci a fare finanza ora (la ha sempre fatta), né che gli altri dicasteri perdano capacità di investimento. Lo stesso padre Guerrero, per esempio, sottolinea che “molti altri investimenti effettuati da istituzioni legate alla Santa Sede avvengono anche attraverso lo IOR, che offre una garanzia di controlli, trasparenza e criteri etici”. Sono parole che tendono a rassicurare la clientela, dato che il rapporto IOR del 2018 metteva anche in luce una preoccupante emorragia di clienti istituzionali, dato poi “aggiustato” nel rapporto 2019.
Tra i dicasteri che dovranno spostare gli investimenti in APSA, c’è la Segreteria di Stato. Anche qui, padre Guerrero rassicura: non si tratta della perdita del portafoglio, ma piuttosto della necessità di centralizzare gli investimenti. E la Segreteria di Stato ha portato da tempo “tutti i suoi fondi allo IOR e all’APSA, e parteciperà al processo di centralizzazione degli investimenti, con una gestione più tecnica e professionale”.
Padre Guerrero spiega anche che “in aprile, vista l’incertezza rappresentata dal lockdown, abbiamo chiesto ai dicasteri di mantenere la loro liquidità in APSA” per permettere di pagare gli stipendi e in previsione, magari, di non ottenere i ricavi previsti.
Più che di rivoluzioni in corso, si tratta piuttosto di razionalizzazioni. Era un processo in corso da tempo, e va di pari passo con l’impegno internazionale della Santa Sede. Si deve includere in questo impegno internazionale il Codice per gli Appalti Vaticano, una conseguenza della ratifica della Convenzione ONU di Merida che il prefetto dell’Economia vaticana indica come uno dei passi avanti fatti verso la trasparenza.
Ma entra in questo impegno anche la decisione della Santa Sede di impegnarsi nella trasparenza finanziaria, con un processo che la ha vista firmare la Convenzione Monetaria con l’Unione Europea nel 2009 e poi aderire nel 2011 a Moneyval, il Comitato del Consiglio d’Europa che valuta l’aderenza dei Paesi membri agli standard internazionali di trasparenza finanziaria. Lo ha ribadito anche il Cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, in un discorso tenuto di fronte ai valutatori Moneyval il 30 settembre, giorno in cui hanno iniziato la loro on site visit che porterà al Quarto Rapporto sui Progressi della Santa Sede.
Se la trasparenza finanziaria è coerente alla missione della Santa Sede, lo sono però anche le strutture. E padre Guerrero ci tiene anche a spiegare l’uso dell’Obolo, spesso impropriamente considerato solo come un aiuto da dare ai poveri, ma che è invece “un modo concreto per i fedeli di collaborare con la missione del Santo Padre”. Una missione che ha bisogno anche della sovranità della Santa Sede, delle nunziature, delle finanze che danno corpo ad un grande lavoro di solidarietà globale.
Spiega padre Guerrero: “Nel 2019, il fondo dell’Obolo ha coperto il 32 per cento della missione della Santa Sede. La struttura e i servizi sono invece coperti da fondi propri. L’incasso dell’Obolo è stato di 53 milioni di euro, di cui 10 milioni donati per scopi specifici. In altre parole, il fondo ha collaborato alla missione del Santo Padre per 66 milioni di euro, 23 in più di quanto raccolto”.
Si è detto che i fondi per l’operazione immobiliare a Londra al centro di indagini vaticane e fonte di una forte crisi istituzionale sono state coperte con i fondi dell’Obolo. Ma questo è smentito fortemente da padre Guerrero: “Per quel che so, le perdite di Londra non sono state coperte con l’Obolo, ma con altri fondi di riserva della Segreteria di Stato”.
Si attende ora anche il bilancio del governatorato, che ancora non è stato pubblicato. Perché la Santa Sede sia, come ha detto padre Guerrero, davvero “una casa di vetro”.
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