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San Roberto Bellarmino: cardinale e vescovo seguendo sant'Ignazio

Entrando nella chiesa di Sant'Ignazio al Campo Marzio, in uno degli altari di destra è sepolto il corpo di un cardinale, esposto dietro ad una teca: San Roberto Bellarmino (1542-1621).

Gesuita, vescovo, teologo tutta la sua vita ha avuto un’unica meta: l'amore a Cristo.

Nipote di Papa Marcello II, questo non influì sulle sue scelte, sentendosi chiamato alla vita religiosa  nella Compagnia di Gesù, eretta da poco tempo.

Accolto da padre Lainez, si uniformò alla vita di tutti i suoi coetanei non scegliendo nulla come eccezione. Dotato di ottimi talenti di cultura ed intelligenza li mise al servizio della Chiesa.

Ordinato sacerdote nel 1570 l'obbedienza lo spinse, oltre i confini nazionale, predicando il vangelo in Fiandra ed a Padova. La sua parola, calda e vibrante, si contrappose alle capziosità del dire, essendo semplice e diretta.

Professore di teologia il suo insegnamento si distinse per la linearità e l'essenzialità.

Padre spirituale del giovanissimo San Luigi Gonzaga, in qualità di docente al Collegio romano, ne condivise gli ideali, incentivandolo alla ricerca del vero bene che è Dio.

Le sue parole irrorarono l'anima già pronta del giovane discepolo, che non esitò a sacrificare la sua vita, per i malati nella peste del 1591. Aveva 23 anni.

Per volontà della Compagnia di Gesù, sono sepolti nella stessa chiesa e nella medesima navata.

Creato cardinale nel 1599 il suo servizio alla Chiesa fu intenso soprattutto nelle Congregazioni romane, per risolvere le questioni più delicate.

Fu vescovo di Capua dal 1602 al 1605 visitando, più volte, il territorio ed apportandovi molte modifiche in favore della popolazione. In ciò fu un pastore solerte.

Negli Scritti, diversi Trattati su argomenti religiosi, fu sollecito ad evidenziare le impostazioni della teologia classica, con alcune innovazioni, introdotte dalla sua carità.

E' famoso il suo Catechismo che, per semplicità e chiarezza, è un esempio del suo ragionamento. In un epoca in cui la fede era minacciata da varie eresie, il testo contribuì a mettere dei punti fermi nella vita dei fedeli.

Autentico gesuita, ne visse la spiritualità che insegna a trovare Dio in tutte le cose.

Fu un innamorato dell'Imitazione di Cristo e ne applicò a se i consigli.

Piccolo di statura e di carattere allegro mantenne sempre il medesimo tenore di vita:da vescovo o cardinale, non volle una corte al suo fianco, ma si considerò un semplice religioso.

Divenuto importante, per le cariche ottenute, non si fece prendere dalla vanità della cose umane, come confermano i suoi più accreditati biografi, ma rimase sempre umile e dedito ad una vita di orazione e penitenza.

Chi visse con lui ne ricorda l'essenzialità e soprattutto il mettersi al servizio del prossimo nei  contesti nei quali si trovò ad operare.

Si racconta che divenuto, Provinciale dei gesuiti napoletani, nella stanza assegnata levò i quadri e tutto quanto non fosse essenziale e semplice. Non voleva che il Crocifisso e poco altro a ricordargli non come vivere ma per Chi vivere. Era il 1595.

Creato cardinale nel 1599 il suo servizio alla Chiesa fu intenso soprattutto nelle Congregazioni romane, per risolvere le questioni più delicate.

Prima di morire fra le carte personali trovate nella sua camera fu rinvenuto un biglietto nel quale il santo, nel corso dell'esistenza, si era impegnato a vivere le regole della Compagnia di Gesù, integralmente e senza alcuna eccezione di rango e di ruolo: mantenne fede a quanto professato.

Spirò il 17 settembre 1621, nella comunità di noviziato di Sant'Andrea al Quirinale, contemplando  quel cielo, descritto nelle meditazioni da sant'Ignazio di Loyola.

Il 29 giugno 1930 è stato proclamato santo e l'anno successivo fu elevato al titolo di Dottore della Chiesa.

 

(La storia continua sotto)

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