New York City, New York, 25 September, 2015 / 6:00 PM
La Chiesa, quella sul lato posteriore, è chiusa ormai dal 2007. E sulle porte, serrate, c’è un appello: “Papa Francesco, aiutaci a far riaprire la nostra chiesa.” Sul lato, il portone del convento delle Francescane del Rinnovamento. Sono tre, non vogliono parlare, fanno assistenza ai poveri, danno un pranzo gratis ogni sabato, e quando serve. E sul lato, una immagine della Madonna di Guadalupe, veneratissima da tutti i sudamericani, e anche da Papa Francesco. Che però tutta questa scena forse non la vedrà. Arriverà dall’altro lato della strada, a visitare la scuola di Our Lady Queen of Angels.
Harlem, lato Est. Da Lexington Avenue si possono vedere in lontananza persino i grattacieli di Brooklyn, e percorrere la strada in auto da Harlem a Brooklyn è una esperienza da fare. Ogni venti isolati, cambia il quartiere e cambia il paesaggio. Ma Harlem non è quel posto pericoloso che si dice. Lo si vede anche dalla mappa del crimine della Città di New York, sempre aggiornata.
Comparandolo a qualcosa di più conosciuto all’Italia, è un qualcosa di simile a Rebibbia. Case basse (il basso di New York, ovvero almeno cinque piani), popolazione abbastanza tranquilla, ma anche molto marginalizzata. La zona è chiamata “The Spanish Harlem,” perché qui quasi tutti parlano spagnolo. Sono ecuadoriani, soprattutto. Ma ci sono anche moltissimi afroamericani. I bambini giocano a pallacanestro per strada, le persone salutano tutti i passanti.
È qui che Papa Francesco verrà in una delle tappe del suo breve passaggio a New York. L’incontro è fissato alla scuola Our Lady of Angels, situata nel centro di un comprensorio di case popolari oramai tutte abitate. Di fronte, un parrucchiere/estetista, che dà il benvenuto a Papa Francesco a modo suo, tappezzando la vetrina di foto del Papa.
Il quale non incontrerà solo i bambini della scuola, emozionatissimi, che hanno passato la settimana a preparare cosa dire al Papa. Parleranno in spagnolo. Come parleranno in spagnolo anche altre persone che incontrerà in quella scuola.
Sono persone che sono state aiutate dalla Caritas dell’Arcidiocesi di New York, e tra loro ci saranno una donna musulmana pakistana, attivista dei diritti umani; Martha Pastor, 40 anni, madre e parrucchiera che proviene dallo Stato messicano di Guerrero; poi Mamadou Drame, un attivista di diritti umani, ipovedente, che viene dalla Guinea e vive nel Bronx; e infine un gruppo di minori non accompagnati, arrivati dalle frontiere del Sud lo scorso anno.
Quest’ultimo gruppo ha una storia peculiare, perché sono parte di una squadra di calcio del Bronx che si chiama “soccer dreams.” Molti di loro sono i cosiddetti “indocumentados,” ragazzi che superano la frontiera tra Messico e Stati Uniti senza documenti, il cui dramma fu portato di fronte a Papa Francesco nei giorni della visita del presidente Barack Obama, nel marzo del 2014.
La scelta di questa varietà di persone, spiega Monsignor Kevin Sullivan, direttore esecutivo delle Catholic Charities, riflette il “desiderio di Papa Francesco di incontrarsi con circa 150 tra immigrati e rifugiati.” E si è scelta la scuola perché logisticamente veniva meglio: si era già pensato di far andare il Papa lì ad incontrare i bambini.
Ma sarebbe bello se il Papa potesse trovare il tempo di fare il giro dell’isolato, e vedere che la chiesa, che porta lo stesso nome della scuola – anzi: da cui la scuola ha preso il nome – ora è chiusa, nonostante la grande fede popolare. Fu costruita nel XIX secolo, e dal 1886 serviva la comunità di Harlem. Ma nel 2007, il Cardinal Edward Egan la inserì nella lista delle 21 parrocchie e nove scuole dell’arcidiocesi di New York da tagliare per risparmiare. Gli abitanti hanno protestato, hanno persino celebrato funerali per strada, di fronte la Chiesa. Vorrebbero che anche Papa Francesco sposasse la loro causa.
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