Città del Vaticano , 22 July, 2020 / 12:32 AM
“Il fenomeno del Covid-19 non è solo il risultato di avvenimenti naturali. Ciò che avviene in natura è già il risultato di una complessa interazione con il mondo umano delle scelte economiche e dei modelli di sviluppo, essi stessi “infettati” con un diverso “virus” di nostra creazione: questo virus è il risultato, più che la causa, dell’avidità finanziaria, dell’accondiscendenza verso stili di vita definiti dal consumo e dall’eccesso. Ci siamo costruiti un ethos di prevaricazione e disprezzo nei confronti di ciò che ci è dato nella promessa primordiale della creazione. Per questo motivo, siamo chiamati a riconsiderare il nostro rapporto con l’habitat naturale. A riconoscere che viviamo su questa terra come amministratori, non come padroni e signori”.
É questo uno dei passaggi del secondo testo di riflessione nell’epoca della pandemia da covid-19 che la Pontificia Accademia per la Vita propone al mondo intero.
L’Humana Communitas nell’era della Pandemia. Riflessioni inattuali sulla rinascita della vita segue il testo del 30 marzo scorso sempre dedicato alle conseguenze della crisi sanitaria mondiale e alla sua interpretazione.
In questo secondo testo al centro della riflessione c’è la fragilità umana e della vulnerabilità comune: “La comune vulnerabilità richiede anche una cooperazione internazionale e la consapevolezza che non è possibile tenere testa a una pandemia senza un’adeguata infrastruttura sanitaria, accessibile a tutti a livello globale. Né tantomeno, le traversie di un popolo, all’improvviso contagiato, possono essere affrontate in isolamento, senza stipulare accordi internazionali e con una moltitudine di attori diversi. La condivisione di informazioni, la fornitura di aiuti, l’allocazione delle scarse risorse sono temi che dovranno tutti essere affrontati in una sinergia di sforzi. La forza della catena internazionale viene determinata dal suo anello più debole”.
La questione è quindi etica e riguarda una necessaria conversione: “Una pandemia ci invita tutti ad affrontare e plasmare nuovamente le dimensioni strutturali della nostra comunità globale che sono oppressive e ingiuste, quelle che la consapevolezza religiosa definisce “strutture di peccato”. Il bene comune dell’humana communitas non può essere conseguito senza una vera conversione dei cuori e delle menti”.
Una prova politica, sociale, sanitaria e di fede per cui la maggiore penalizzazione cui vanno incontro i più fragili, “ci sollecita ad avere molta attenzione a come parliamo dell’agire di Dio in questa congiuntura storica. Non possiamo interpretare le sofferenze che l’umanità sta attraversando nel rozzo schema che stabilisce una corrispondenza fra “lesa maestà” del divino e “rappresaglia sacra” intrapresa da Dio. Anche il solo fatto che, appunto, sarebbero sanzionati i più deboli, proprio coloro che Lui ha più a cuore e in cui si identifica (Mt 25,40-45) smentisce questa prospettiva.
L’ascolto della Scrittura e il compimento della promessa che Gesù opera, indica che essere dalla parte della vita, così come Dio ce lo insegna, prende corpo in gesti di umanità per l’altro. Gesti che, come abbiamo visto, non mancano nell’attuale momento. Ogni forma di sollecitudine, ogni espressione di benevolenza è una vittoria del Risorto. È responsabilità dei cristiani testimoniarlo. Sempre e per tutti. In questo frangente, ad esempio, non possiamo dimenticare le altre calamità che si abbattono sui più fragili come i profughi e gli immigrati o quei popoli che continuano ad essere flagellati dai conflitti, dalla guerra e dalla fame”.
In sintesi servono sforzi globali e una decisa cooperazione internazionale per affrontare la sfida di un futuro più equo e più giusto, le cui parole-chiave siano migliore assistenza sanitaria per tutti e vaccinazioni.
Alla stesura del testo hanno contribuito Henk ten Have, Accademico della Pontificia Accademia per la Vita e uno dei massimi esperti di Bioetica Globale ed Roberto Dell’Oro, docente alla Loyola Marymount University.
Ad illustrare il testo anche una intervista del Presidente della Pontificia Accademia per la Vita, l’arcivescovo Vincenzo Paglia.
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