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Un servizio di EWTN News

Diplomazia pontificia, i primi incontri dopo il coronavirus

Un momento del pranzo degli ambasciatori europei con il Cardinale Pietro Parolin lo scorso 23 giugno

In quello che è stato il primo grande incontro dopo la crisi da coronavirus, il Cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, ha potuto incontrare gli ambasciatori di Europa presso la Santa Sede ad un pranzo organizzato dall’ambasciata di Francia in Vaticano. La conversazione ha toccato moltissimi temi, e rappresenta la summa del lavoro diplomatico della Santa Sede in questo ultimo anno.

La Santa Sede ha anche chiesto che la libertà di espressione non discrimini la libertà di religione, delineato i suoi cinque punti per la pace a partire dall’educazione, e lasciato un messaggio per i 75 anni dalla firma della Carta delle Nazioni Unite.

                                                PRIMO PIANO

Il Cardinale Parolin incontra gli ambasciatori europei

Il Cardinale Pietro Parolin ha incontrato gli ambasciatori di Europa presso la Santa Sede in un pranzo organizzato presso l’Ambasciata di Francia presso la Santa Sede lo scorso 23 giugno.

Il pranzo, che concludeva il semestre di presidenza del Consiglio Europeo della Croazia,  è stato una occasione, per il corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, di riprendere contatti dopo l’emergenza causata dalla pandemia.

La conversazione tra il Cardinale Parolin e gli ambasciatori ha toccato vari temi. Il Cardinale Parolin si è soffermato, secondo alcuni partecipanti, sull’emergenza COVID 19, spiegando che il Papa ha voluto esprimere particolare vicinanza durante il periodo della pandemia.

Parlando dell’accordo confidenziale con la Cina sulla nomina dei vescovi, in scadenza il prossimo settembre, il cardinale Parolin avrebbe confermato la volontà della Santa Sede di rinnovarlo ad experimentum per un altro anno. Il rinnovo deve essere formalizzato, ma il dialogo è stato rallentato anche a causa dell’emergenza COVID 19.

Si è parlato anche della situazione in Medio Oriente, con particolare riferimento al piano annunciato di Israele di annettere ulteriori territori in Cisgiordania. Il Cardinale Parolin ha fatto notare che la posizione della Santa Sede è chiara, e che anche le Chiese cristiane del Medio Oriente hanno espresso la loro posizione congiuntamente con una dichiarazione.

Lo scorso 20 maggio, Saeb Erekat, capo negoziatore e segretario generale dell’Organizzazione Mondiale per la Palestina, ha chiamato l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario vaticano per le relazioni con gli Stati.

Secondo un comunicato della Sala Stampa della Santa Sede, Erekat ha voluto informare la Santa Sede “circa i recenti sviluppi nei Territori Palestinesi e della possibilità che la sovranità israeliana venga applicata unilateralmente a parte di dette zone, cosa che comprometterebbe ulteriormente il processo di pace”.

Da parte sua, la Santa Sede ha ribadito che “il rispetto del diritto internazionale, e delle rilevanti risoluzioni delle Nazioni Unite, è un elemento indispensabile affinché i due popoli possano vivere fianco a fianco in due Stati, con i confini internazionalmente riconosciuti prima del 1967”.

La domanda di fondo è se questa operazione di annessione conviene ad Israele, considerando che la popolazione ebraica nello Stato va diminuendo.

Altro tema di discussione è stata la situazione nei Balcani. Un primo riferimento ha riguardato la situazione in Kosovo.

Il Kosovo ha proclamato la sua autonomia nel 2008, ma la Santa Sede ancora non lo ha riconosciuto come Stato sovrano e indipendente. La Santa Sede però non ha ancora visto l’opportunità di fare un passo del genere, anche considerando i rapporti con la Chiesa Ortodossa Serba, che ritiene il Kosovo come suo territorio sorgivo.

La Santa Sede ha deciso per ora di non riconoscere lo Stato, pur mantenendo cordiali rapporti. Lo farà quando ci sarà un quadro di rapporti internazionali migliorata e un reale vantaggio per le persone.

In Kosovo, i cattolici sono il 3 per cento. Il 5 settembre 2018, Papa Francesco ha elevato l’amministrazione apostolica di Pristina a diocesi, direttamente soggetta alla Santa Sede. La diocesi è parte della Conferenza Episcopale dei Santi Cirillo e Metodio. Il 10 febbraio 2010, la Santa Sede aveva nominato delegato apostolico in Kosovo l’arcivescovo Juliusz Janusz, un incarico collegato a quello di nunzio in Slovenia. “La nomina di un delegato apostolico – spiegava la Santa Sede – “rientra tra le funzioni di organizzazione della struttura della Chiesa Cattolica e pertanto assume carattere prettamente intra-ecclesiale”.

Il Cardinale Pietro Parolin è stato in visita in Kosovo dall’8 al 10 giugno 2019

Quindi, la conversazione ha toccato anche la situazione in Bosnia, con un riferimento alla Messa per le vittime del cosiddetto Križni put [Via crucis] e del massacro di Bleiburg, avvenuto nel maggio 1945. La Messa è stata celebrata lo scorso 16 maggio a Sarajevo dal Cardinale Vinko Puljic, arcivescovo della città. Si tratta del massacro, da parte dei partigiani, di quello che rimaneva dell’esercito dello Stato indipendente di Croazia, stato fantoccio filonazista. La maggior parte delle vittime erano croati, ma c’era anche una minoranza cetnica e musulmana. e un terzo di loro erano civili, comprese donne e bambini.

A Bleiburg fu eletto un monumento per commemorare l’accaduto, e ogni anno si è tiene una commemorazione dell’evento, che in alcuni casi è andato via via radicalizzandosi, con alcuni esponenti di un revanchismo ustascia che ha portato l’Austria a sanzionare il ritorno delle iconografie naziste.

Quest’anno, la commemorazione a Bleiburg non si è potuta tenere per via dell’emergenza COVID 19, e la Conferenza Episcopale Croata ha colto l’occasione per organizzare la messa di commemorazione delle vittime di Bleiburg nella cattedrale di Sarajevo, liberandosi così del fardello del lascito nazista. Il Cardinale Puljic ha accolto queste idea, e questo ha creato la protesta di alcune associazioni,

hanno organizzato una marcia per le strade di Sarajevo in onore di tutte le vittime della Seconda guerra mondiale e una manifestazione di protesta contro la messa di commemorazione delle vittime di Bleiburg celebrata nella cattedrale di Sarajevo.

Si trattava di una protesta non bene articolata, c’erano socialisti, ma anche nostalgici di Tito.

La Messa aveva un numero limitato di presenze per via del coronavirus, e il Cardinale Puljic durante l’omelia ha rimarcato la situazione dei cristiani in Bosnia, costretti spesso a lasciare il Paese secondo quello che sempre più si configura come un “esodo nascosto”. Nei Balcani, la nazionalità rispecchia la religione: i cattolici di Bosnia sono croati, i musulmani bosgnacchi, i serbi ortodossi.

(La storia continua sotto)

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Queste tre etnie in Bosnia sono rappresentate nella presidenza, che è tripartita. In realtà, la componente croata non ha un rappresentante in questa presidenza, perché sfruttando una possibilità elettorale, è stato eletto un secondo rappresentante bosgnacco.

La situazione, dunque, è particolarmente tesa nella nazione. La decisione del governo di sponsorizzare il presepe di Natale in Vaticano ha, dunque, un valore politico, perché in questo modo la Bosnia vuole mostrare una particolare vicinanza con la Chiesa Cattolica. Allo stesso modo, gli esponenti della Chiesa sono stati critici con la decisione del governo, preparata da anni, perché ne hanno visto la strumentalizzazione politica.

                                                FOCUS PAPA FRANCESCO

Gli incontri di Papa Francesco

Il 24 giugno, Safia Taleb al Souhail, Ambasciatore di Iraq in Italia, ha incontrato Papa Francesco. Il ministero degli Esteri iracheno non ha diffuso una nota della visita, per quello che si ritiene essere un incontro riservato. Possibile si sia parlato anche della situazione in Iraq, considerando la volontà di Papa Francesco di visitare il Paese.

Sempre il 25 giugno, Papa Francesco ha incontrato l’arcivescovo Alfred Xuereb, nunzio in Corea e Mongolia, che lo ha aggiornato degli ultimi sviluppi nel Paese, e in particolare del percorso verso la riconciliazione tra le due Coree.

Papa Francesco ha incontrato anche Gilbert Houngbo, presidente dell’IFAD (International Fund for Agricultural Development), una delle agenzie ONU sull’alimentazione che hanno sede a Roma. In un tweet lanciato il giorno successivo all’incontro, Houngbo si è limitato ad affermare che lui e il Papa “condividono un forte impegno a supportare i più vulnerabili”.

Viaggi Papali: Papa Francesco in Catalogna nel 2022?

Nel 2022, ricorreranno i 500 anni della presenza di Sant’Ignazio nella cittadina di Manresa, in Catalogna. Il 6 giugno, una delegazione proveniente da Manresa è stata ricevuta in udienza dal Papa e ha potuto spiegare al Papa il progetto della città per le celebrazioni.

La delegazione manresana ricevuta dal Pontefice era formata dal sindaco Valentí Junyent e dal vicesindaco Marc Aloy, che secondo il patto di coalizione subentrerà alla guida dell’amministrazione il prossimo 27 giugno. Li ha accompagnati l’attuale superiore della Cova (la Grotta di S. Ignazio, ndt), Lluís Magriñà, un gesuita di profilo molto vicino al Papa, già missionario e responsabile mondiale del Servizio Gesuita per i Rifugiati dal 2000 al 2007. Erano presenti anche l’assessore al turismo e responsabile di Manresa 2022, Joan Calmet, e il coordinatore del progetto e responsabile della Fondazione Turismo e Fiere di Manresa, Albert Tulleuda. A loro si è aggiunto il sacerdote di Tortosa Jordi Bertomeu, uno degli uomini di fiducia del Papa alla Dottrina della Fede.

Durante l’udienza Papa Francesco è stato nuovamente invitato a celebrare i 500 anni di Sant’ Ignazio a Manresa nel 2022. Un invito formale era arrivato già nel 2014 da parte Idel vescovo di Vic, Romà Casanova, lo aveva già fatto formalmente nel 2014 durante la visita “ad limina” e altri vescovi catalani stanno spingendo in questa direzione.

Sebbene un viaggio verso la Spagna è considerato improbabile, ci sono tre elementi che potrebbero favorire la visita a Manresa.

Il principale di questi motivi è la presenza di Sant’Ignazio in città, dove tra l’altro scrisse gli Esercizi.

Quindi, il fatto che, accanto alla Cova di Sant’Ignazio, c’è il convento di San Chiara, parzialmente riconvertito in un centro di accoglienza per bambini e famiglie vulnerabili, molte delle quali di immigrati, su iniziativa di Suor Lucia Caram, molto conosciuta da Papa Francesco.

Infine, Manresa ha una lunga tradizione di esperienze di dialogo interreligioso. Un modello di convivenza spirituale che può piacere al Papa e che è stato promosso proprio dalla Cova di Manresa e dal convento di Santa Chiara.

 

 

                                                FOCUS MULTILATERALE

75 anni fa, la Carta delle Nazioni Unite: gli auguri dell’arcivescovo Gallagher

Il portale delle Nazioni Unite ha ospitato una serie di interventi degli Stati membri e osservatori sul significato della Carta delle Nazioni Unite, di cui si celebrano 75 anni dalla firma.

L’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati, ha registrato dal Palazzo apostolico il punto di vista della Santa Sede.

Il “ministro degli Esteri” vaticano ha detto che l’anniversario è una occasione per riflettere sui “valori fondamentali” della dichiarazione. L’arcivescovo ha detto che guardando indietro al mondo di 75 anni fa e comparandolo con quello di oggi, diventa evidente che i valori della carta sono validi ancora oggi.

La Carta ha i valori su cui si dovrebbero basare le relazioni internazionali e multilaterali, ha detto l’arcivescovo Gallagher, e questi sono “il desiderio di pace, la ricerca della giustizia, la dignità dell’essere umano e la cooperazione e l’assistenza umanitaria”.

Si tratta di “una visione che chiama le Nazioni Unite ad essere un centro morale verso cui tutte le nazioni del mondo possano guardare, con l’obiettivo di fare di tutto il mondo “una famiglia tra le nazioni”.

Lo strumento della carta incoraggia a trovare soluzioni comuni per sfide globali, come è successo nella pandemia.

“Nel difendere i diritti umani, possiamo stare in piedi insieme oppure cadere divisi”, ha ammonito l’arcivescovo Gallagher. E ha quindi aggiunto che la visione della Carta obbliga tutti gli Stati a lavorare per il bene comune di tutta la famiglia umana”.

L’arcivescovo Gallagher ha garantito poi il supporto della Santa Sede alla Carta.

La Santa Sede all’OSCE: la libertà di espressione non giustifica le discriminazioni

Le discriminazioni contro la religione non possono essere giustificate dalla libertà di espressione: lo ha sostenuto la Santa Sede al Secondo Incontro Supplementare degli Incontri sulla Dimensione Umana su Libertà di Espressione, Media e Informazione. L’incontro si è tenuto lo scorso 22 giugno, all’OSCE di Vienna.

La Santa Sede ha sostenuto che “deve essere protetta e garantita la libertà dei media” già riconosciuta dalla comunità internazionale, ma allo stesso tempo sottolinea che “la libertà di espressione, come ogni diritti umano, ha delle responsabilità che non possono essere ignorate”.

La Santa Sede sostiene che il ruolo dei media nella società “dovrebbe avere basi etiche fondamentali”, e sottolinea in particolare la interconnessione tra la libertà religiosa e la libertà di espressione.

La Santa Sede ricorda che “la libertà di religione o di credo non preclude il dibattito critico o le serie discussioni riguardo la religione”, ma che “non è accettabile che ci si nasconda dietro la libertà di espressione per giustificare discriminazione, ostilità o violenza contro una religione e i suoi membri”, perché “la libertà di espressione dovrebbe piuttosto permettere uno spazio di sviluppo in cui entrambe le parti possano essere capaci di esprimere le loro vedute, con rispetto e senza paura dell’altro, anche quando questo va contro corrente”.

La Santa Sede richiama i media alla responsabilità di “dare un trasparente e accurato resoconto degli affari religiosi e di permettere che i membri delle comunità religiose abbiano la possibilità di esprimere i loro punti di vista”, e per questo incoraggia il responsabile della Libertà dei Media dell’Ufficio delle Istituzioni Democratiche e i Diritti Umani a sviluppare linee guida specifiche per standard volontariamente professione e autoregolamentazioni per promuovere la tolleranza religiosa e la non discriminazione nei media”.

D’altro canto, i media “dovrebbero essere incoraggiati a fornire una piattaforma che include un ampio raggio di vedute, siano queste politiche o basate sulla fede, mentre gli Sati partecipanti devono essere richiamati a “permettere e incoraggiare i rappresentanti delle comunità religiose di mostrare il loro punto di vista”, che darà una alternativa al mainstream politico.

La Santa Sede chiede anche di dare speciale attenzione all’uso di internet e dei social network, sempre più veicolo di incitamento all’odio e alla violenza contro le manifestazioni religiose.

La Santa Sede nota infine che la pandemia del COVID 19 ha enfatizzato le “ineguaglianze nell’accedere all’informazione da parte di quanti sono in situazioni vulnerabili” e che questo divario tra ricchi e poveri “può costare vite, specialmente quando informazioni cruciali sul COVID 19 non arrivano in tempo, quando sono ricevute, in comunità a basso reddito”.

La Santa Sede all’UNESCO, cinque strategie per costruire la pace con l’educazione

Cinque strategie per la pace a partire dall’educazione. Le ha delineate monsignor Francesco Follo, osservatore permanente della Santa Sede presso l’UNESCO a Parigi. Questi è intervenuto lo scorso 23 settembre alla Tavola Rotonda di Alto Livello per la presentazione del “Rapporto Mondiale di Monitoraggio dell’Educazione 2020: inclusione ed educazione”.

Monsignor Follo ha sottolineato che il rapporto va usato bene per una “educazione integrale, quindi inclusiva, notando che il testo “riguarda anche l’inclusione nell’istruzione, prestando particolare attenzione a tutti coloro che ne sono esclusi”.

Monsignor Follo ha messo in luce che “il Rapporto ci ricorda che, indipendentemente dall'argomentazione contraria, abbiamo l'obbligo morale di garantire che ogni bambino abbia diritto a un'istruzione adeguata e di alta qualità”.

Tra le sfide che impediscono di portare avanti questa visione, ci sono “le differenze di concezione della parola inclusione, la mancanza di supporto da parte degli insegnanti, la mancanza di dati sulle persone escluse dall’istruzione, l’inadeguata infrastruttura, la governance non coordinata, leggi e politiche multiple ma incoerenti.

Per raggiungere l’obiettivo dell’inclusione – ha notato monsignor Follo – “dobbiamo lasciarci abitare dal linguaggio della reciprocità, dal dono di sé, dello scambio, della convivenza”, andando oltre la trasformazione della parola inclusione che ormai è impregnata di riferimenti a “deficit e handicap”.

L’inclusione, però, non riguarda solo individui, ma anche le diverse culture, perché un problema “non è in effetti la diversità culturale in quanto tale”, quanto la costruzione dell’interculturalità.

In particolare, la Santa Sede apprezza, nel rapporto, quando si parla di solidarietà e cooperazione, e nota che “tutte le religioni sono una risorsa, non un problema”, e di questo “l’educazione integrale deve tenere conto”.

Per quanto riguarda l’istruzione, la Santa Sede richiama al Patto Globale per l’educazione lanciato da Papa Francesco, mette in luce le disparità di accesso all’istruzione e la globalizzazione dell’indifferenza e sottolinea che “l'inclusione richiede la promozione e la protezione della diversità culturale” e per questo l’educazione deve essere considerata sia come veicolo per la conoscenza della diversità culturale e una educazione nel senso del diritto dell’individuo e della comunità.

Sono cinque le strategie delineate dalla Santa Sede per costruire la pace: che il politico abbia il suo posto, e che non sia sostituita dalla religione; fede e ragione siano alleate contro la violenza; cercare la verità; riconoscere la ricchezza dell’altro; considerare il carattere sacro del dovere di educazione e di libertà di coscienza, che sono fattori essenziali di democrazia.

                                                FOCUS EUROPA

Dialogo USA – Russia, la posizione della COMECE e dei vescovi USA

Prima dell’incontro tra Stati Uniti e Russia a Vienna per discutere del controllo nucleare e il destino del trattato START, il più vasto accordo di controllo sulle armi atomiche, i vescovi di USA Ed Europa hanno rilasciato una dichiarazione congiunta, diffusa lo scorso 19 giugno.

La dichiarazione è stata firmata dal vescovo David J. Mally di Rockford, che presiede il Comitato Internazionale Giustizia e Pace della Conferenza Episcopale Usa, e dal vescovo Rimantas Norvila di Vilkaviškis, Lituania, che presiede la Commissione COMECE per le Relazioni Esterne dell’Unione Europea.

La dichiarazione è stata diffusa alla vigilia dell’incontro USA – Russia, che si è tenuto il 22 giugno.

I due vescovi hanno detto di offrire le loro preghiere e messo in luce che “se davvero si lascerà scadere nel 2021 il nuovo trattato START, Stati Uniti e Russia non avranno, per la prima volta dal 1972, limiti legalmente vincolanti e verificabili sui loro arsenali strategici nucleari, cosa che potrebbe avere anche significative implicazioni per la sicurezza europea e la pace globale”.

La dichiarazione auspica che in un ambiente “sempre più multipolare e complesso”, l’incontro possa essere marcato da saggezza, costruzione di fiducia e cooperazione”.

Spagna, incontro tra la vicepremier e il Cardinale Omella

Lo scorso 24 giugno, Carmen Calvo, vicepremier di Spagna, si è riunito con il Cardinale Juan José Omella alla Moncloa, la sede del governo. Si è trattato del primo incontro tra i due da quando è stata rinnovata la presidenza della Conferenza Episcopale Spagnola. Il Cardinale Omella è stato eletto presidente dei vescovi spagnoli lo scorso marzo.

Secondo un comunicato della Conferenza Episcopale Spagnola, “durante la riunione si è constata la buona disposizione di entrambi gli interlocutori, che hanno affrontato senza restrizioni questioni di mutuo interesse”. Le due parti hanno anche definito una agenda ampia di lavoro per portare avanti un modello che permetta la collaborazione e risoluzione delle possibile discrepanze tra Stato e Chiesa.

Il Cardinale Omella e Calvo hanno anche parlato della tassazione della Chiesa, la protezione dell’infanzia, la riforma dell’educazione. Infine, si è mostrata intenzione a rivitalizzare il lavoro della Commissione Mista, prevista negli accordi con la Santa Sede, come “spazio di lavoro e dialogo istituzionale che permetta di attualizzare le relazioni tra la Chiesa e lo Stato nei momenti che viviamo”.

I vescovi tedeschi solidali con le Chiese di Gerusalemme

Con una dichiarazione diffusa lo scorso 19 giugno, l’arcivescovo Ludwig Schick, presidente della Commissione Chiesa Universale della Conferenza Episcopale tedesca, e il vescovo Udo Bentz, presidente del gruppo di lavoro per il Medio Oriente, si sono detti “profondamente preoccupati” per le conseguenze della decisione del governo israeliano di annettere territori.

Il vescovo Bentz ha inviato una nota al governo federale tedesco, chiedendo di “continuare a lavorare intensamente per il rispetto degli accordi vincolanti a livello internazionale e delle risoluzioni delle Nazioni Unite”, e ricordato “come la Santa Sede di recente abbia richiamato il rispetto del diritto internazionale come prerequisito indispensabile affinché entrambi i popoli possano vivere fianco a fianco in due Stati secondo l’auspicata soluzione ‘Due Popoli, Due Stati’.”

Ha aggiunto l’arcivescovo Schick: “Molti vescovi della regione ripongono la loro speranza nei capi di Stato e di governo dell’Ue” da cui ci si attende che “utilizzino tutte le possibilità politiche per dissuadere il governo israeliano dai piani di annessione”, che si teme generi “un’ulteriore destabilizzazione della regione” e “nuovi ostacoli per una giusta pace tra le parti”, con il rischio che “la soluzione dei due Stati si allontani ulteriormente”.

                                                FOCUS AMERICA LATINA

Uruguay, i vescovi dicono no all’eutanasia.

Il 22 giugno, i vescovi dell’Uruguay hanno pubblicato una “Dichiarazione sull’eutanasia e il suicidio assistito dal punto di vista medico. Un contributo al dibattito pubblico” con l’obiettivo di “rendere pubblica la propria posizione e di “contribuire al dibattito pubblico, necessario e civile su una questione così rilevante”.

Nella dichiarazione, i vescovi uruguayani sostengono la necessità di un Uruguay “che accolga, protegga, promuova e accompagni ogni persona durante la sua esistenza, compreso lo stadio finale della sua vita terrena, attraverso l’aiuto fondamentale della famiglia, la medicina palliativa e la vera esperienza religiosa”.

La dichiarazione presenta un no netto all’eutanasia, perché per i vescovi uruguayani “non è eticamente accettabile causare la morte di una persona malata, nemmeno per evitare il dolore e la sofferenza, anche se lo richiede espressamente. Né il paziente, né il personale sanitario, né i familiari hanno il potere di decidere o causare la morte di una persona”, anzi “quell’azione costituisce un tipo di omicidio realizzato in un contesto clinico”. Al tempo stesso, “non è eticamente accettabile l’accanimento terapeutico, che consiste nel voler prolungare la vita del paziente a tutti i costi, sapendo che non ci sono benefici per il paziente”.

I vescovi chiedono dunque leggi che “impediscano e scoraggino qualsiasi tipo di eutanasia e di suicidio assistito”.

                                                FOCUS AMBASCIATORI

Le ambasciate di USA e Gran Bretagna promuovono un simposio sul ruolo delle rleigiose al tempo dle Coronavirus

Si chiamava “Women Religious on the frontlines” il simposio organizzato dalle ambasciate di Gran Bretagna e Stati Uniti presso la Santa Sede lo scorso 23 giugno. Il simposio è stato organizzato in collaborazione con la Unione Internazionale delle Superiori Generali, con lo scopo di far conoscere lo sforzo umanitario delle religiose missionarie nei luoghi più distanti, al fianco delle persone più vulnerabili.

Tre gli ospiti dell’incontro: suor  Stan Terese Mario Mumuni, fondatrice in Ghana  del Nazareth Home for God's Children, un orfanotrofio per accogliere e salvare bambini con malformazioni congenite che spesso, nel Paese africano, vengono uccisi, anche con l’accusa di stregoneria.; suor Imelda Poole, impegnata in Albania nella missione contro la tratta e fondatrice della Ong Mary Ward Loreto, e presidente della Renate, network europeo di religiosi concentrati nella lotta al traffico e allo sfruttamento degli esseri umani; e suor Alicia Vacas,  Provinciale per il Medio Oriente delle Missionarie Comboniane e responsabile della comunità di Betania, vicino a Gerusalemme, che durante la crisi dovuta al Covid-19 è accorsa in Italia, come infermiera, al fianco delle consorelle ammalatesi. Delle 55 suore della sua comunità a Bergamo, 10 sono morte.

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