Città del Vaticano , 06 June, 2020 / 9:00 AM
Il broker italiano Gianluigi Torzi, coinvolto nella intricata vicenda dell’acquisto di un immobile di pregio a Londra da parte della Segreteria di Stato, è stato arrestato in Vaticano con l’accusa di estorsione, peculato, truffa aggravata e autoriciclaggio. Il 5 giugno, Torzi era andato al Tribunale vaticano, assistito dai suoi legali, per essere ascoltato nell’ambito delle indagini sull’acquisto del palazzo di Londra, vicenda che ha creato una crisi istituzionale nella Santa Sede e ha portato a sei sospensioni. Al termine dell’interrogatorio, Torzi è stato arrestato ed è rimasto detenuto negli appositi locali della Gendarmeria vaticana. Rischia fino a 12 anni di carcere.
Il comunicato della Sala Stampa
La Sala Stampa della Santa Sede ha dato notizia dell’arresto in uno scarno comunicato diffuso alle 21.32 del 5 giugno. Vi si legge che il mandato di cattura nei confronti di Torzi “a firma del Promotore di Giustizia, Prof. Gian Piero Milano, e del su Aggiunto, Avv. Alessandro Diddi, è stato emesso in relazione alle note vicende collegate alla compravendita dell’immobile londinese di Sloane Avenue, che hanno coinvolto una rete di società in cui erano presenti alcuni Funzionari della Segreteria di Stato”.
Si legge ancora nel comunicato che “all’imputato vengono contestati vari episodi di estorsione, peculato, truffa aggravata e autoriciclaggio, reati per quali la Legge vaticana prevede pene fino a dodici anni di reclusione. Allo stato il Sig. Gianluigi Torzi è detenuto in appositi locali presso la Caserma del Corpo della Gendarmeria”.
Torzi, cittadino italiano residente a Londra, curò il passaggio dell’immobile di Londra dal controllo del Fondo Athena controllato da Raffaele Mincione, in cui la Segreteria di Stato aveva investito 200 milioni di dollari nel 2013, verso una società controllata al 100 per cento dal Vaticano. Quando l’operazione immobiliare fu ristrutturata, l’intermediazione di Torzi fu liquidata con 10 milioni di euro.
Il caso dell’immobile di Slaone Avenue
Fra il 2011 e il 2012, la prima sezione della Segreteria di Stato, il cui ufficio amministrativo è guidato dal 2009 da monsignor Alberto Perlasca, decide di investire su un immobile di lusso a Londra, a Sloane Avenue numero 60, nel quartiere di Chelsea. L’immobile è gestito dalla società 60 SA. La Segreteria di Stato vaticana ne sottoscrive l’acquisto per 160 milioni di dollari con il fondo lussemburghese Athena del finanziere Raffaele Mincione, che fa da intermediario.
Quando il fondo Athena viene liquidato, tra la fine del 2018 e la primavera del 2019, alla Santa Sede non viene restituito l’investimento. La Santa Sede rischia di perdere tutto se non acquista il palazzo..
Torzi era intervenuto proprio nel passaggio dal fondo Athena ad un altro fondo controllato al 100 per cento della Santa Sede. Il problema è che l’acquisto dell’immobile era incluso in una serie di schemi e schermi societari che non facevano figurare il Vaticano tra gli acquirenti, mentre veniva esaltato il ruolo del mediatore. Un modo per tirare sul prezzo. Ed è a questa situazione che fa riferimento il comunicato della Sala Stampa, quando parla di “di una rete di società in cui erano presenti alcuni funzionari della Segreteria di Stato”.
La Segreteria di Stato
È stata la stessa Segreteria di Stato a notare le incongruenze. L’accordo tra il fondo Athena e Torzi è siglato il 22 novembre 2018, ma già il 27 novembre arriva ai vertici della Segreteria di Stato un testo domanda-risposta sull’operazione.
In questo testo – pubblicato dal Corriere della Sera – si mette in luce come Torzi sieda nel consiglio della Gutt, la società lussemburghese che rileva il palazzo per conto del Vaticano, insieme all’avvocato Michele Intendente di Ernst&Young (che però agiva in proprio) e Fabrizio Tirabassi, officiale della Segreteria di Stato e ora tra gli indagati.
La nota rileva anche che Credit Suisse “è il principale operatore bancario della Segreteria di Stato dopo la chiusura del rapporto con BSI, su disposizione del Cardinale Pell”. Si legge anche che Credit Suisse ha accesso “un conto corrente ad hoc intestato a Gutt in seguito al buon esito della due diligence (verifica) sulla società e sul dottor Torzi”.
Nonostante i dubbi, Torzi viene inizialmente considerato affidabile. Eppure, sembra che Torzi abbia anche diritti sulla società che gli permettono di gestire il palazzo in autonomia.
La segnalazione all’Autorità di Informazione Finanziaria
Il sostituto della Segreteria di Stato, l’arcivescovo Edgar Pena Parra, vede poca chiarezza nell’operazione e la segnala all’AIF. L’Autorità di Informazione Finanziaria ha emanato regolamenti precisi, che prevedono piena trasparenza di chi movimenta il denaro. E l’AIF consulta cinque UIF estere e blocca l’acquisto, comunicando la decisione sia all’UIF inglese che alla Segreteria di Stato.
Resta il fatto che il contratto obbliga la Segreteria di Stato all’acquisto. L’AIF ristruttura l’investimento, escludendo gli intermediari e facendo così risparmiare la Santa Sede. La Segreteria di Stato, a quel punto, si muove e chiede allo IOR risorse sufficienti per chiudere il vecchio mutuo e consentire di aprirne uno nuovo, così da concludere l’acquisto.
Lo IOR dice no, coinvolge l’ufficio del revisore generale guidato ad interim da Alessandro Cassinins Righini, e si rivolge al promotore di giustizia vaticano, denunciando l’operazione per la scarsa chiarezza dei fondi da parte della Segreteria di Stato. La denuncia viene inoltrata il 2 luglio 2019 dal direttore generale dello IOR, Gianfranco Mammì, che ha prima avvertito direttamente il Papa, con cui ha un rapporto personale.
L’inizio delle indagini vaticane
L’8 agosto 2019, invece, è l’ufficio del revisore generale ad inviare un documento ai magistrati vaticani, per segnalare che quasi l’80 per cento delle riserve della Segreteria di Stato sono versate nella Credit Suisse, e non nello IOR, e tra l’altro è proprio attraverso Credit Suisse che si è arrivati al fondo Athena.
Per il revisore generale, il mancato utilizzo dello IOR crea un conflitto di interessi, perché si tratta di donazioni ricevute dal Papa per il sostentamento della Curia.
Il promotore di Giustizia, con la collaborazione della Gendarmeria avvia una operazione che ha portato al “raid” in Segreteria di Stato e Autorità di Informazione Finanziaria e alla sospensione di cinque funzionari.
Questi sono: due dirigenti della Segreteria di Stato, Vincenzo Mauriello e Fabrizio Tirabassi, un’ addetta all’amministrazione, Caterina Sansone, e due alti dirigenti vaticani: monsignor Maurizio Carlino, capo dell’Ufficio informazione e Documentazione, e il direttore dell’Aif (l’Autorità di informazione finanziaria) Tommaso Di Ruzza. A questi si è aggiunto successivamente monsignor Alberto Perlasca, che per dieci anni era stato a capo dell’Ufficio Amministrativo della Segreteria di Stato e che era stato poi trasferito alla Segnatura Apostolica.
La sospensione aveva lasciato il sospetto che la magistratura non avesse valutato tutti i passaggi precedenti, e che il lavoro dell’AIF sia stato volutamente messo da parte. Sarebbe anche da definire se qualcuno avrebbe potuto avere un vantaggio dalla compravendita immobiliare.
(La storia continua sotto)
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Il 30 aprile, la Sala Stampa della Santa Sede aveva parlato di “provvedimenti individuali per alcuni dipendenti della Santa Sede, alla scadenza di quelli adottati all’inizio dell’indagine sugli investimenti finanziari e nel settore immobiliare della Segreteria di Stato”. Si trattava, in pratica, di licenziamenti.
Monsignor Carlino è tornato nella diocesi di Lecce, Sansone sarebbe stata spostata in un altro ufficio, con minori responsabilità mentre Mauriello e Tirabassi sarebbero sospesi ancora fino a luglio.
Di Ruzza non ha semplicemente avuto rinnovato il suo mandato di direttore dell’AIF, che scadeva a gennaio. Tuttavia, Di Ruzza lascia un grande credito: è stato tra coloro che ha permesso al sistema finanziario vaticano di diventare un punto di riferimento a livello internazionale.
La prosecuzione delle indagini
Lo scorso 23 maggio, il giornale svizzero Neue Zücher am Sonntag, ha riferito che i promotori di giustizia della Santa Sede hanno inviato il 30 aprile alle autorità una rogatoria con la richiesta formale di assistenza per esaminare l’investimento della Santa Sede nell’immobile di Sloane Avenue. Il portavoce dell’ufficio federale di Giustizia Raphael Freij ha riferito che “l’ufficio federale ha inviato al Vaticano una prima parte dei documenti richiesti”. Secondo lo stesso giornale, decine di milioni di euro appartenenti alla Santa Sede sono stati congelati in diverse banche svizzere.
La posizione della Santa Sede
Lo scorso 3 maggio, il Corriere della Sera ha affermato che la Santa Sede starebbe cercando di rinegoziare il mutuo da 120 milioni che aveva acceso per completare l’acquisto del Palazzo di Sloane Avenue di Londra. La ricerca del nuovo finanziamento avviene a seguito della nuova licenza edilizia concessa dal comune di Londra e il municipio di Kensington per il palazzo di Sloan Avenue, che non sarà più destinato ad appartamenti di lusso, ma ad uffici. Il palazzo avrà ulteriori due piani.
La nuova licenza dà alla Santa Sede la possibilità di ristrutturare e di rinegoziare le condizioni per il mutuo da 120 milioni di sterline acceso con Cheney Capital.
Il mutuo era scaduto il 31 aprile. Aveva interessi del 5 per cento più il Libor, un tasso interbanche. Secondo il Corriere della Sera, la Santa Sede puntava ad allungare il debito a 5-10 anni, con tassi di interesse intorno al 2 – 2,5 per cento. In alternativa, l’idea è quello di sostituirlo con un mutuo acceso con un’altra banca.
Il tutto in modo da non perdere l’investimento, che ha impiegato tra il 2013 e il 2018 una somma di circa 300 milioni di euro della Segreteria di Stato.
Le domande in sospeso
Se la Santa Sede sta cercando di rinegoziare il mutuo, allora l’investimento era un buon investimento. Se si trattava di un buon investimento, allora gli sforzi fatti per preservarlo, uscendo da tutte le aree opache (espressione copyright del Cardinale Pietro Parolin) sono stati sforzi fatti per preservare la Santa Sede, più che per metterla in una situazione complicata. Anche il “taglio” di Torzi dall’affare è stato parte della strategia di difendere l’investimento della Santa Sede. Se questa ricostruzione è vera, perché le sospensioni, che hanno portato poi a un totale cambiamento di vertici della finanza vaticana, quando si era tra l’altro alla vigilia di una delle valutazioni del Comitato della Commissione Europea Moneyval?
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