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Un servizio di EWTN News

Slovacchia, lo Stato si scusa per l’abolizione della Chiesa 70 anni fa

Il vescovo Pavel Gojdic, morto in prigione a Presov nel 1960

Doveva essere una commemorazione del Beato Paul Peter Gojdic, sacerdote slovacco e martire che fu tra i pochi a denunciare pubblicamente la Shoah e per questo è anche stato proclamato “Giusto tra le Nazioni”. Il presidente del Consiglio Nazionale di Slovacchia, Boris Kollar, lo ha trasformato in un evento storico facendo ufficialmente le scuse per l’abolizione della Chiesa Greco Cattolica nel Paese, settanta anni fa.

C’è una visita a Papa Francesco della presidente Zuzana Caputova programmata per giugno, che capita in concomitanza con il settantesimo anniversario della cosiddetta “notte barbarica”; il brutale attacco del governo comunista ai monasteri - ne furono distrutti 76 in una notte. 

Ma non solo. La Chiesa Greco Cattolica slovacca fu annessa Patriarcato di Mosca con il “sinodo” di Presov del 1950, durante il quale cinque preti e un certo numero di laici avevano firmato un documento che dichiarava nulla l’unione con Roma decisa a Uzhorod nel 1646. Il Beato Pavel Gojdic, insieme al suo ausiliare il beato Basilio Hopko, si opposero e furono imprigionati. E il vescovo Gojdic morì in carcere nel 1960.

Le dichiarazioni del presidente Kollar sono particolarmente importanti. Settanta anni dopo, c’è ancora da purificare la memoria e da portare avanti una riconciliazione. E questo non solo in Slovacchia, ma in tutti i Paesi sui quali è passata la dominazione sovietica. In molti casi, ci sono anche annosi procedimenti di restituzione delle chiese o dei beni della Chiesa.

Kollar si è anche scusato con tutte le persone i cui diritti fondamentali sono stati violati dalla dominazione sovietica. “All’epoca – ha detto Kollar – molti preti e vescovi greco cattolici finirono in prigione. Tra questi c’era anche il vescovo Pavel Peter Gojdic”.

Sì, ha spiegato, la Chiesa greco cattolica è già stata riabilitata e parte delle sue proprietà le sono state restituite, ma non c’è mai stata una vera scusa da parte dello Stato.

Kollar ha anche detto che “quando lo Stato scivola fuori dalla strada delle decenza, della giustizia e dell’umanità, non solo gli autori dei crimini, ma anche coloro che meritano i più alti onori si troveranno dietro le mura di una prigione”. E ha aggiunto che Gojdic “ha scelto volontariamente la propria sofferenza per salvare la vita di molti ebrei dalla morte certa nei campi di concentramento. Ha messo a rischio la propria vita per salvare il proprio vicino. Non tutti i sacerdoti lo hanno fatto”.

L’arcivescovo Jan Bajbak di Presov ha detto che le scuse ci sarebbero dovute essere state tempo fa, ha ringraziato Kollar per il passo fatto e aggiunto che ora le questioni del passato possono essere chiuse.

Nell’occasione, Kollar, l’arcivescovo Bajbak e il vicepresidente dell’Unione delle Comunità Religiose Ebraiche Igor Rintel hanno esposto una lapide commemorativa dedicata al beato Gojdic.

Questi era stato amministratore della diocesi Greco Cattolica di Presov dal 1927, in una giurisdizione che comprendeva alcuni ortodossi russi. I credenti nella sua amministrazione erano di nazionalità slovacca, rutena, ucraina e ungherese, il risultato di una serie di spostamenti territoriali che erano avvenuti dopo la Prima Guerra Mondiale. In effetti, la storia della Chiesa Greco Cattolica Slovacca si è intrecciata con la Chiesa Greco Cattolica Rutena.

Come eparca, Gojdik lavorò per minimizzare le differenze delle quattro diverse popolazioni, enfatizzando i fattori unificanti dei credenti. Furono sforzi che furono vanificati dal nazionalismo slovacco, filo-tedesco e clerico-fascista, che portò all’autonomia slovacca nell’ottobre 1938 e allo Stato indipendente slovacco nel 1938, e che influenzò anche alcuni sacerdoti slovacchi nella sua diocesi.

In seguito all’indipendenza, il Partito Popolare Slovacco di Hlinka, guidato da monsignor Jozef Tiso, divenne un partito unico e si dotò di una milizia armata che divenne l’ala più intransigente e antisemita del regime. La milizia, chiamata la Guardia di Hlinka, arrivò a collaborare con i nazisti nel rastrellamento e la deportazione degli ebrei slovacchi.

Gojdic difese gli ebrei dalla persecuzione sin dall’inizio. Il 25 gennaio 1939, due giorni dopo lo stabilimento di un comitato speciale dei governi autonomisti Slovacchi che doveva trovare una soluzione alla “questione ebrea”, il vescovo Gojdic scrisse una lettera a tutte la parrocchie della diocesi di Presov, in cui condannava queste politiche discriminatorie, ricordò alle persone i principi basici della loro fede e mise in guardia dalle conseguenze dell’ideologia nazista e del razzismo.

A seguito alle proteste dei sacerdoti aderenti al nazionalismo slovacco, nel novembre 1939 Gojdic si dimise da amministratore apostolico. La Santa Sede reagì accettando le sue dimissioni, ma allo stesso tempo nominandolo vescovo della diocesi di Presov.

Gojdic continuò la sua attività contro la Shoah, protestò apertamente contro la deportazione degli ebrei slovacchi dopo la speciale legge di espulsione degli ebrei, chiese al Vaticano di intervenire per far cessare le azioni del presidente (e sacerdote) Tiso, sottolineando che, se non si potevano fermare le deportazioni, almeno si sarebbero dovute chiedere le dimissioni di Tiso dalla presidenza per non farlo macchiare di quei crimini.

Secondo alcuni rapporti, Gojdic accettò anche delle conversioni di ebrei per poterli salvare dalle persecuzioni. Dopo la guerra, quanti erano stati salvati da Gojdic si offrirono di aiutarlo a scappare dal Paese, sapendo che il regime comunista non sarebbe stato tenero. Lui non volle lasciare il suo posto come vescovo. Fu processato e condannato a molti anni di prigione.

È stato beatificato da San Giovanni Paolo II il 4 novembre 2001. Il Papa sottolineò che, nemmeno nei momenti più difficili della sua vita, Gojdic aveva mai abbandonato i principi della Chiesa Greco Cattolica e della Sede Apostolica a Roma.

Lo Yad Vashem lo ha riconosciuto giusto tra le nazioni nel 2007.

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