Parigi, 25 April, 2020 / 4:00 PM
Mentre ci si avvicina alla “fase 2” della risposta alla pandemia del COVID 19 in molte nazioni, due casi in Italia e Francia rischiano di diventare casi diplomatici. In entrambi i casi, la polizia ha interrotto una Messa. Nel primo caso, la Conferenza Episcopale italiana ha rimproverato il sacerdote, ma nel secondo la Conferenza Episcopale Francese ha sottolineato l’illiceità dell’irruzione della polizia. Sia in Italia che in Francia, c’è un concordato che regola i rapporti con la Chiesa cattolica e che stabilisce la libertà di culto. Si tratta di precedenti da non sottovalutare?
Nella settimana si segnala anche una telefonata tra Papa Francesco e Macron, di cui non c’è comunicazione vaticana, ma solo della presidenza francese; una preghiera interreligiosa per la pace a Gerusalemme, organizzata tra gli altri dal Ministero degli Esteri di Israele; le donazioni di mascherine alla Santa Sede da parte di Taiwan e Ungheria; la posizione dei vescovi europei, specialmente in relazione al tema “migranti e coronavirus”.
FOCUS LIBERTÀ DI CULTO
Libertà di culto: il caso della Francia
È un possibile caso diplomatico, quello che ha portato tre poliziotti armati a fare irruzione in una chiesa di Parigi per interrompere la celebrazione della Messa domenicale. La chiesa è quella di Saint-André-de-l’Europe, e il gesto ha ricevuto le vibranti proteste dell’arcivescovo Michel Aupetit di Parigi.
Il fatto è avvenuto lo scorso 19 aprile. Padre Phillippe de Maistre, il parroco, trasmette la Messa in diretta sui social network. Alla Messa di domenica partecipavano sette persone: il sacerdote, un ministrante, il cantore, l’organista e tre parrocchiani per le letture e le risposte. La polizia ha fatto irruzione a metà messa, intimando di interrompere la funzione.
Un atto contro il concordato. L’arcivescovo Aupetit è stato informato, e il 22 aprile, parlando su Radio Notre dame, questi ha stigmatizzato l’evento. “La polizia – ha detto l’arcivescovo Aupetit – è entrata armata in una chiesa dove vige rigorosamente il divieto della polizia di entrare portando le armi all’interno di una chiesa. Non c’erano dei terroristi! Dobbiamo mantenere il sangue freddo e fermare questo circo persecutorio. Se è necessario urleremo e abbaieremo molto forte”.
Padre de Maistre non sarà sanzionato. Con la benedizione dell’arcivescovo Aupeti, il parroco ha anche denunciato il fatto al responsabile della stazione di polizia dell’ottavo arrondissement, dove si trova la chiesa.
Pare che la polizia sia stata allertata da un vicino che ha sentito il suono dell’organo e ha denunciato una “Messa clandestina”. Per De Maistre, la situazione è chiara: “Stanno approfittando questa crisi sanitaria per mettere in discussione la libertà di culto”.
La situazione giuridica in Francia è poco chiara. Secondo il governo francese, si può andare nel luogo di culto, ma questo non può accogliere assembramenti di fedeli, con l’eccezione della celebrazione dei funerali che, secondo le disposizioni, permette l’accoglienza della famiglia stretta, entro il limite delle 20 persone.
Il decreto n.2020-2913 del 23 marzo 2020 è comunque nebuloso, tanto che il 17 marzo l’arcivescovo Eric de Moulins-Beaufort, presidente della Conferenza Episcopale Francese, ha specificato in una raccomandazione che nessuna messa pubblica può essere celebrata, ma possono essere celebrate quelle private. La diocesi di Parigi non ha considerato, poi, come un assembramento una Messa celebrata in una chiesa chiusa, con un parroco e i concelebranti. Secondo invece un chiarimento del ministero dell’Interno “un cerimonia di culto è come un raduno organizzato”. Lo stesso ministero ha specificato poi che “un ufficio liturgico può essere celebrato da un ministro del culto, ma a porte chiuse”, e il ministro “può essere assistito da poche persone, se necessario e nel minor numero possibile, per procedere alla registrazione della cerimonia”.
L’irruzione della polizia è stata denunciata dall’arcivescovo Aupetit come una violazione del concordato. Sin dalla promulgazione delle “leggi di laicità” del 1905 e del 1907, che garantiscono la libertà di culto, la persona responsabile di un luogo di culto è l’unica responsabile della polizia nella sua chiesa, e la polizia può intervenire in un luogo di culto solo su richiesta espressa del parroco. L’unica eccezione è la minaccia dell’ordine pubblico, come specificato da un decreto del Consiglio di Stato francese del 1993.
La giurisprudenza specifica inoltre che la polizia deve consentire alle persone coinvolte di abbandonare liberamente l’edificio prima di fare uso della forza.
Coronavirus, il caso in Italia
Lo scorso 17 aprile, a Soncino, in provincia di Cremona, un funerale celebrato da don Lino Viola è stato interrotto dai carabinieri, che sono entrati in chiesa durante la celebrazione, invitando il prete a sospendere la funzione.
A differenza di quanto accaduto a Parigi, la diocesi ha invece preso posizione, e la ha presa contro il sacerdote che ha favorito una funzione di quel tipo nonostante le restrizioni. Ci sarà una sanzione per il prete e per gli astanti.
Il tema però riguarda proprio la libertà di culto. Le forze dell’ordine non possono interrompere una funzione religiosa. Lo ha sottolineato anche il Cardinale Angelo Becciu, attuale prefetto della Congregazione dei Santi, e diplomatico vaticano di lungo corso. Questi, in un tweet, ha sottolineato con chiarezza che le Messe non possono essere interrotte.
Il dibattito nasce mentre la Chiesa in Italia, che si è subito adeguata alle normative del governo, ora sta spingendo per una graduale riapertura delle Messe al pubblico nella “fase 2” di risposta al coronavirus. Il 23 aprile, il Cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Conferenza Episcopale Italiana, nella sua lettera alla diocesi ha sottolineato che “è tempo di prendere le celebrazioni”.
FOCUS CORONAVIRUS
Papa Francesco e Macron, telefonata sul coronavrius
Forse hanno parlato anche della messa interrotta a Parigi, Papa Francesco e il presidente francese Emmanuel Macron. L’Eliseo ha reso noto che lo scorso 21 aprile c’è stata una telefonata tra il presidente francese Emmanuel Macron e Papa Francesco. Non c’è stata alcuna comunicazione o conferma vaticana su questo. Secondo le l’Eliseo, la telefonata è durata 45 minuti, con il presumibile ausilio di un interprete, dato che il Papa parlava spagnolo e Macron francese.
Secondo fonti governative, Papa Francesco e Macron hanno concordato sulla necessità di ridurre il debito ai paesi più poveri. La conversazione ha riguardato la crisi del coronavirus, ed è stata descritta dall’Eliseo come “piena di convergenze” sulle risposte alla crisi, con una particolare comunanza di vedute sull’aiuto da dare all’Africa e sul cessate il fuoco globale chiesto dalle Nazioni Unite – un appello cui si sono uniti sia Papa Francesco che il presidente Macron.
Papa Francesco avrebbe “lodato le iniziative costruttive pressa dalla Francia a livello internazionale dall’inizio della crisi sanitaria”.
Secondo l’Eliseo, il Papa ha espresso la sua “tristezza” per la prova subita dalla Francia, che conta oggi più di 20 mila morti per coronavirus.
(La storia continua sotto)
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Nella stessa giornata, il presidente Macron ha incontrato i rappresentanti dei culti e delle associazioni laiche in Francia, con i quali ha parlato del lockdown della popolazione a causa dalla pandemia. La Chiesa cattolica era rappresentata dall’arcivescovo Eric de Moulins-Beaufort di Reims, presidente della Conferenza Episcopale Francese. Alla riunione hanno partecipato anche il ministro dell’interno Christophe Castaner e un rappresentante del consiglio scientifico e un altro del consiglio nazionale di etica.
L’arcivescovo de Moulis-Beaufort ha notato che impedire alle persone di riunirsi è “una difficoltà, un dolore, una complicazione” per i fedeli”, e che anche la Settimana Santa senza fedeli è stata vista da alcuni in maniera positiva, ma da altri è stata vissuta in maniera complicata. Il presidente della Conferenza Episcopale Francese ha anche affrontato il discorso della salute, sottolineando che c’è bisogno di aumentare il numero di dipendenti negli ospedali, perché questo porta ad una ingiustizia nel dover scegliere chi accompagnare.
Coronavirus, il documento del gruppo UE sull’Etica nella Scienza e nelle nuove tecnologie
La COMECE – Commissione delle Conferenze Episcopali dell’Unione Europea – ha accolto con favore il documento pubblicato dal Gruppo Europeo sull’Etica nella Scienza e nella Tecnologia su “Solidarietà europea e protezione dei diritti umani nella pandemia COVID 19”.
Nel documento, si legge che gli effetti di questa pandemia “avranno impatto su una intera generazione”, e che gli atti di generosità cui stiamo assistendo sono un segno di speranza. Ma allo stesso tempo, il documento mette in luce “la meno edificante vista di persone in fila ai confini delle nazioni, politici che utilizzano questa situazione difficile dei rifugiati contro le sofferenze di persone in Europa e a volte una mancanza di cooperazione degli Stati membri per il bene di tutti”.
Il documento sottolinea che non tutti sono colpiti allo stesso modo dalla pandemia, perché alcuni hanno accesso a trattamenti sanitari salvavita, mentre altri no, e anhce le quarantene sono differenti. “Dobbiamo riconoscere e affrontare i significativi squilibri in termini di risorse economiche e sociali, sia durante che dopo questa pandemia”, si legge nel documento.
Il gruppo europeo chiede di istituire immediatamente misure di supporto come assistenza finanziaria e psico-sociale, ricorda che molti hanno perso il lavoro a seguito delle misure restrittive e sottolinea la necessità di usare tutte le forme di supporto, come quelle messe in atto dopo la crisi economica del 2008.
Il gruppo sottolinea che oggi “trasparenza, responsabilità e stato di diritto” sono più importanti che mai, nel momento in cui si chiede ai cittadini di fidarsi delle istituzioni e di mettere da parte alcune libertà.
Per questo si chiede di essere vigili sulla necessità, evidenza e proporzionalità di ogni intervento politico e tecnologico che anche temporaneamente sospenda i diritti fondamentali, in quanto “le deroghe dei diritti umani, sebbene nell’interesse del bene comune, devono essere temporanei, e ci devono essere criteri chiari e trasparenti che ne giustifichino la sospensione”.
“Il più grande pericolo – si legge nel documento – è quello di una nuova normalità di diritti e libertà erose”.
Dal punto di vista scientifico, va sostenuta la ricerca perché la differenza tra scienza e tecnologia sta proprio “nell’instancabile ricerca di ciò sembra impossibile e non fattibile in prima istanza”. Il documento chiede anche un approccio comune, perché “siamo più forti se affrontiamo la minaccia posta dal COVID 19 insieme, e non da soli”.
Per questo, il gruppo che “una volta che la crisi sarà terminata, le società europee dovranno lavorare insieme per implementare le lezioni imparate durante la pandemia”, sviluppando una comune strategia per altri casi simili.
Comece, dichiarazione per i diritti dei migranti
Da giorni, una nave con a bordo 47 migranti si trova al largo di Malta, nell’area di competenza del piccolo stato mediterraneo, senza possibilità di attraccare. La COMECE, in una nota, ha sottolineato di “condividere la preoccupazione epsressa dalla Conferenza Episcopale di Malta sulla sorte delle 47 persone bloccati su una nave di una NGO”.
La COMECE sottolinea che l’Unione Europea dovrebbe supportare i suoi Stati membri “nell’assicurare un sbarco sicuro e veloce di migranti e richiedenti asilo al più vicino porto sicuro”. Monsignor Manuel Barrios Prieto, segretario della COMECE, aggiunge che il porto “dovrebbe essere europeo, perché i porti libici non possono essere considerati sicuri”.
Per evitare che il Mar Mediterraneo diventi un grande cimitero, la COMECE chiede all’Unione Europea e ai suoi Stati membri di lavorare per una risposta comune alla migrazione forzata, stabilendo “un meccanismo di solidarietà accordato tra gli Stati membri per affrontare le situazioni di emergenza dei migranti vulnerabili in situazioni difficili in mare”.
La COMECE riconosce che la situazione attuale è resa più complicata a causa della pandemia del coronavirus, ma allo stesso tempo afferma che i principi umanitari dovrebbero sempre prevalere, e che “nessuno dovrebbe essere lasciato indietro, inclusi i migranti in una nave di salvataggio”.
Coronavirus, le donazioni di Taiwan e Ungheria
Taiwan prosegue le donazioni in favore della Santa Sede nel mezzo della crisi sanitaria del coronavirus. Il piccolo Stato, considerato dalla Cina continentale una provincia ribelle e per questo escluso da molti consessi internazionali, mantiene strette relazioni con la Santa Sede, uno dei 15 Stati a riconoscerlo. Lo scorso 22 aprile, Taiwan ha donato oltre 200 mila maschere chirurgiche alla Santa Sede, definita dai media locali “alleato europeo”.
La donazione è stata ufficializzata al ministero degli Affari Esteri di Taipei, e le 200 mila maschere sono state consegnate dal vice-ministro degli esteri Kelly Wu-chiao Hsieh e consegnate a monsignor Arnaldo Catalan, incaricato di Affari della Santa Sede. Questi ha ringraziato il governo di Taiwan per la sua generosità e portato i migliori auguri di Papa Francesco al popolo di Taiwan. Il viceministro ha sottolineato che la donazione aiuterà le istituzioni cattoliche nei loro bisogni e aiuteranno anche a proteggere medici in prima linea nel fronteggiare l’emergenza.
Anche il governo ungherese ha donato 45 mila mascherine chirurgiche alla Santa Sede. I dispositivi chirurgici sono stati consegnati il 24 aprile a Fra Binish Thomas Mulackal, direttore della Farmacia Vaticana, da Eduard Habsburg-Lothringen, ambasciatore di Ungheria presso la Santa Sede.
La donazione è stata deliberata dal governo ungherese lo scorso 20 aprile, su iniziativa del vice primo ministro Zsolt Semjen e del ministro per gli Affari Esteri e per il commercio.
L’ambasciata di Ungheria presso la Santa Sede ha comunicato che “nelle ultime settimane, il governo ungherese ha potuto assicurarsi un continuo rifornimento di dispositivi di protezione individuale (in tutto oltre 30 milioni), potendo così anche venire incontro alle richieste di diversi Paesi e organizzazioni”. Si impianterà presto una fabbrica di mascherine in Ungheria, per facilitare la produzione.
Gerusalemme, una preghiera interreligiosa contro il coronavirus
Lo scorso 22 aprile, a Gerusalemme, presso il King David Hotel, 19 capi religiosi tra rabbini capo, patriarchi, arcivescovi, imam e sceicchi hanno pregato insieme, chiedendo a Dio di alleviare la sofferenza nel mondo colpito dalla pandemia del coronavirus.
Un comunicato sottolinea che l’iniziativa si colloca anche nel quadro di “un crescente antisemitismo e razzismo in varie parti del mondo”. La preghiera è stata composta dai rabbini capo di Israele. Tra i partecipanti, il rabbino capo sefardita di Israele, rav. Yitzhak Yosef, quello askenazita David Lau, insieme al patriarca greco-ortodosso di Gerusalemme Teofilo III, l’Amministratore apostolico del Patriarcato latino di Gerusalemme, arcivescovo Pierbattista Pizzaballa, gli Imam Gamal el Ubra e Agel Al-Atrash e il leader druso Mowafaq Tarif.
La preghiera è stata curata dal Gran Rabbinato di Israele e dai ministeri degli Affari Esteri e dell’Interno, insieme al Consiglio Mondiale dei leader religiosi e di numerose organizzazioni, ebraiche e non.
Myanmar, il cardinale Charles Maung Bo si unisce all’appello per il cessate il fuoco globale
In una nazione ancora divisa da vari conflitti etnici, il Cardinale Charles Maung Bo, arcivescovo di Yangoon in Myanmar, ha chiesto di unirsi all’appello del segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres per un cessate il fuoco globale per meglio contrastare la pandemia. L’appello era stato anche raccolto da Papa Francesco, che lo aveva menzionato due volte, l’ultima durante l’urbi et orbi di Pasqua.
“Le conseguenze della pandemia – ha dichiarato il cardinale Bo – sono catastrofiche per la salute pubblica e per la vita sociale ed economica. Non è tempo di far crescere i conflitti”.
In Myanmar, i conflitti etnici sono cresciuti negli stati di Shan, di Chin e di Rakhine. Se l’ultimo Stato presenta il ben conosciuto dramma dei rifugiati Rohingya, non sono da meno gli altri Stati, dove i rifugiati si contano a migliaia e sono anche cristiani.
Il cardinale si è detto convinto che “le continue operazioni militari, precisamente quando l’intera nazione sta soffrendo una crisi, potrebbe avere conseguenze catastrofiche”.
A causa di questi conflitti, il Myanmar è particolarmente a rischio per una catastrofe sanitaria, e per questo – aggiunge l’arcivescovo di Yangon – “è ora tempo di decisioni che costruiranno il Myanmar come una nazione unita, pacifica, prospera e membro della famiglia delle nazioni”.
Il cardinale Bo ha sottolineato che tutte le operazioni di protezione dalla pandemia sono messe a rischio dalle crescenti operazioni militare, da qualunque parte esse vengano, e così “i soldati sono a rischio senza necessità perché esposti ad un invisibile assassino virale, mentre i negoziati di pace sono messi a rischio da continue minacce di aggressione” e pure l’economia non se la passa molto bene in questa situazione.
Il Cardinale Bo ha anche notato che alcuni gruppi armati in Camerun, Filippine, Yemen e Siria hanno già accettato di ridurre la violenza a causa della minaccia della pandemia, e ha quindi chiesto alle parti in guerra di “mettere da parte tutte le armi e di fermare gli atti di aggressione”.
FOCUS DIALOGO
“La Civiltà Cattolica” esce in cinese. La lettera del Cardinale Parolin
Lo scorso 20 aprile, la Civiltà Cattolica, rivista bimestrale dei gesuiti le cui bozze sono approvate della Segreteria di Stato, ha inaugurato la sua edizione in cinese semplificato in occasione del 170esimo anniversario della fondazione. La rivista si pone così in dialogo con la Cina continentale, sulla scorta ideale di padre Matteo Ricci, il gesuita che fu apostolo di Cina nel XVI secolo ed entrò così bene nella cultura del posto da diventare mandarino.
Nell’occasione, il Cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, ha inviato una lettera a padre Antonio Spadaro, direttore della rivista, per sottolineare che l’iniziativa di Civilltà Cattolica “corrisponde con una particolare vocazione della rivista a costruire ponti e stabilire dialogo con tutti”.
Papa Francesco aveva indicato padre Matteo Ricci come un modello per La Civiltà Cattolica. Questi si trasferì in Cina a trenta anni e redasse una gigantesca mappa del mondo in lingua cinese, che servì a creare una più ampia comprensione del mondo e di mettere il popolo cinese in connessione con altre civiltà.
Nel 1601, Matteo Ricci compose anche un trattato sulla amicizia, offerto ai mandarini della Cina e ai letterati della Dinastia Ming, in modo da presentare il pensiero dei grandi filosofi della cultura occidentale.
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