Città del Vaticano , 18 April, 2020 / 4:00 PM
Le misure prese per contrastare la diffusione della pandemia del COVID-19 hanno portato anche ad una limitazione dell’accesso ai luoghi di culto per i fedeli, nonché all’impossibilità di partecipare alle Messe, visto il divieto di assembramenti anche per funzioni religiose. Per ora, l’urgenza della risposta della pandemia ha messo da parte il problema, che si riproporrà. Vale a dire: fino a che punto misure straordinarie dello Stato possono limitare la libertà di culto? In molti casi, la questione può diventare diplomatica, perché andrà richiesto che nelle misure sia inserita, almeno formalmente, la libertà di culto. Per ora, la Santa Sede non ha preso una posizione in merito, lasciando l’iniziativa ai vescovi locali. Il tema sarà di nuovo discusso in futuro.
Coronavirus, il tema della libertà di culto. Il caso italiano
C’è un dialogo serrato tra la Conferenza Episcopale Italiana e il governo per permettere le celebrazioni pubbliche, seppur con tutte le cautele, durante la fase 2 di risposta all’emergenza, che continuerà il 3 maggio. In particolare, si pensa alla celebrazione dei funerali, perché in troppi sono andati via senza il conforto religioso.
Ha colpito, in particolare, che il governo abbia legiferato sulle celebrazioni religiose, vietando le celebrazioni pubbliche, stabilendo restrizioni anche per l’accesso alle chiese e per quanti partecipavano alla liturgia, e parificato quello del sacerdote a un lavoro. Colpisce anche che la Santa Sede non abbia fatto notare che la libertà di culto andava almeno formalmente preservata nei decreti del governo, come è successo per esempio in Ungheria. Colpisce anche che la Santa Sede non abbia fatto notare che i bisogni spirituali andavano considerati tanto quelli materiali. A norma di Costituzione, la libertà di culto è un diritto, e riguarda sia i fedeli che il celebrante. Celebrare senza fedeli, seppure in una situazione eccezionale, va in qualche modo a toccare la libertà di culto, mentre ci sono altri luoghi di potenziale assembramento che sono rimasti aperti.
Ma quale è il punto di vista giuridico? Il tema è stato affrontato da padre Bruno Esposito, domenicano, giurista, che è stato anche tra gli “Aiuti Speciali” dei due sinodi sulla famiglia, in un saggio pubblicato sul sito dell’università Angelicum.
Padre Esposito nota che le restrizioni date dai Decreti del Presidente del Consiglio Italiano sono analoghi a quelli che si sono avute in diverse parti dl mondo.
Il decreto, sottolinea padre Esposito, “non sembra avere restrizioni nei confronti dei vari ministri di culto nell’esercizio individuale del loro ministero (che non può e non deve essere qualificato come ‘lavoro’ essenziale)”, quindi i ministri che decidono di limitarsi lo fanno a titolo personale o in accordo con i loro superiori gerarchici.
Padre Esposito rimarca che, al di là delle polemiche, si deve guardare ai principi fondamentali.
Secondo padre Esposito, ci sono prima di tutto delle premesse da fare. Prima di tutto, le comunità politiche esistono “in funzione di quel bene comune che solo permette la realizzazione piena dei singoli consociati”. E la Chiesa – spiega la Costituzione conciliare Gaudium et Spes – “in ragione del suo ufficio e della sua competenza, in nessuna maniera si confonde con la comunità politica e non è legata ad alcun sistema politico”. Chiesa e comunità politica sono indipendenti e allo stesso tempo sono entrambe “a servizio della vocazione personale e sociale degli uomini”.
C’è quindi da chiarire il tema della libertà religiosa, e questo chiarimento lo fornisce la dichiarazione conciliare Dignitatis Humanae, che sottolinea come “nell’esercitare i propri diritti, i singoli esseri umani e i gruppi sociali, in virtù della legge morale, sono tenuti ad avere riguardo tanto ai diritti altrui, quanto ai propri doveri verso gli altri e verso il bene comune”.
Padre Esposito sottolinea che “la fede, il credo, la religiosità è un atto intellettuale e personale” e per questo “nessuno Stato ha competenza e diritto a legiferare in maniera di religione”, e il credente “in questo deve avere la coerenza di rifarsi a Dio ed alle competenti autorità della sua confessione”.
Padre Esposito nota che la “pur essendo la religiosità di una persona un diritto naturale personalissimo, e per questo inviolabile, esso ha delle manifestazioni esterne”, e queste manifestazioni possono “creare situazioni che mettono in pericolo gli altri consociati o valori sovraordinati, come i diritti naturali”.
La giustizia umana – aggiunge il giurista domenicano – si basa proprio alle azioni esterne, e “lo Stato che ha la responsabilità del bene comune, ha quindi principalmente il dovere di fare tutto per il suo conseguimento”, anche “proibendo o sanzionando tutto ciò che lo impedisce o lo mette in pericolo”.
Ci sono poi delle situazioni di emergenza, in cui “è impensabile poter gestire con quanto era previsto per le situazioni ordinarie” quello che si presenta. Lo Stato, insomma, “non ha nessun diritto di intervenire in materia di fede, ma data la rilevanza sociale degli atti di fede esterni può, anzi ha il dovere, d’intervenire per disciplinare le manifestazioni esterne della libertà religiosa”, e questo accade “in situazioni di normalità, dando quel minimo di norme che ne tutelano il corretto di esercizio”, ma anche “in casi eccezionali e di emergenza, anche nel limitare in modo responsabile e razionale le sue diverse manifestazioni”.
Ovvio che la decisione spetta al politico, ma questa decisione deve seguire il principio di legalità e deve “fare riferimento ai dati riferiti dagli scienziati dei vari istituti di sanità”. Non solo. Gli interventi con normative speciali “si applicano solo ed esclusivamente fino a quando perdura la situazione di eccezionalità”.
Ad ogni modo, conclude padre Esposito, “solo dal rispetto dei ruoli di ciascuno e dall’equo contemperamento dei diritti doveri di ognuno, si potranno evitare scissioni e conflitti prima di tutto nella persona stessa: allo stesso tempo, cittadino e fedele”.
Coronavirus, in Germania una sentenza afferma che la limitazione di culto viola la libertà religiosa
Se in Italia, in generale, CEI e Santa Sede hanno collaborato e seguito le direttive del governo, anche a costo di perdere qualcosa in termini di libertà di culto, in Germania la questione dell’accesso ai luoghi sacri è arrivata in tribunale, dove gli oppositori dei divieti hanno ottenuto una parziale vittoria nella Corte costituzionale federale.
Questa ha stabilito che il divieto delle chiese chiuse era, sì, motivato da motivi di prevenzione sanitaria, ma è stato comunque applicato in modo uniforme senza che si fosse verificato se l’evento fosse proporzionato.
Secondo l’Alta Corte tedesca, vietare le funzioni religiose è “un’ingerenza estremamente grave sulla libertà di religione”. Una sentenza in controtendenza con quelle dei tribunali inferiori di Berlino e dello Stato dell’Assia che invece il divieto non era una grave violazione della libertà di religione, perché esisteva la possibilità di celebrare le funzioni religiose online e in streaming.
Le sentenze erano state impugnate da una serie di gruppi di credenti, che avevano chiesto alla Corte Costituzionale un’ingiunzione temporanea e la revoca del divieto per permettere che le celebrazioni religiose potessero essere almeno essere celebrate con cinquanta partecipanti distanti 1,5 metri l’uno dall’altro.
Queste mozioni sono state respinte dalla corte, per via degli attuali rischi per la salute. Allo stesso tempo, la Corte ha accettato le motivazioni dei querelanti. In pratica, i divieti sono legittimi, ma sono comunque considerati un freno importante per la libertà religiosa. La libertà religiosa, tra l’altro, è considerata un diritto fondamentale irrevocabile nella costituzione tedesca.
Coronavirus, la proposta delle Chiese di Ucraina al governo
Il Consiglio di tutte le Chiese e le Organizzazioni Religiose ucraine ha inviato una serie di proposte a Denys Smihal, primo ministro ucraino, e al ministero degli Interni perché tutti possano godere del diritto costituzionale alla libertà religiosa durante il periodo di quarantena in tempi di coronavirus.
(La storia continua sotto)
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Il Consiglio ha posto l’attenzione sul fatto che il decreto del Consiglio dei Ministri ucraino dell’11 marzo 2020, emendato il 2 aprile, proibisce tutti gli eventi di massa, inclusi gli eventi religiosi. Allo stesso tempo, il decreto si riferisce solo agli eventi di massa, e il governo ha sottolineato di non aver chiuso le chiese.
Tuttavia, i rappresentanti e le autorità locali hanno interpretato le restrizioni della quarantina in maniera differente, a volte chiedendo la completa chiusura delle chiese, che è una violazione dell’articolo 35 della Costituzione dell’Ucraina.
Il Consiglio delle Chiese ha chiesto così al governo delle chiarificazioni e spiegazioni alla risoluzione, in modo da risolvere queste incomprensioni. In più, il Consiglio ha chiesto siano date spiegazioni opportune alla polizia e alle autorità locali, in modo che si possano fornire servizi di preghiera senza ostacoli, sempre in osservanza delle restrizioni della quarantena.
Tra le varie cose, il Consiglio delle Chiese ha proposto di stabilire una procedura per organizzare le celebrazioni durante i periodi di quarantena. In particolare, viene sottolineato che le celebrazioni e i riti religiosi non sono proibiti, e devono poter essere celebrati seguendo delle restrizioni, considerando ad esempio la quantità di persone ammesse sula base di uno spazio congruo.
Il Consiglio ha richiesto che anche le persone del clero e quelle coinvolte nell’organizzare le celebrazioni siano incluse nella lista di quanti possono utilizzare il trasporto pubblico o le auto personali ufficiali per viaggiare da e verso edifici religiosi o sedi dell’organizzazione religiosa.
Il Consiglio delle Chiese ha anche messo in luce la necessità di garantire l diritto, per i membri del clero e quanti sono coinvolti nelle celebrazioni, di dichiarare che il motivo dei loro spostamenti riguarda proprio la celebrazione religiosa. Si chiede inoltre al governo di assicurare che tutte le persone impegnate nell’organizzazione dei servizi si muovano liberamente.
Il consiglio ha posto anche l’attenzione del governo sulla necessità di continuare a distribuire cibo gratis e prodotti a persone senza residenza permanente e fornire anche assistenza mirata a individui con basso reddito o soli.
Il Consiglio ha anche fatto notare che “un più chiaro e bilanciato regolamento delle restrizioni sulle attività religiose durante la quarantena aiuterà ad evitare il caos, lo scontento di massa dei credenti e l’accumulazione delle persone che hanno bisogno di essere nutriti, e che hanno i loro bisogni religiosi, specialmente durante le festività religiose, e aiuterà anche ad assicurare che più credenti possano partecipare alle festività”.
Coronavirus, il caso degli Stati Uniti
Negli Stati Uniti, le restrizioni all’attività religiosa differiscono da Stato a Stato. È del 17 aprile la notizia che Alliance for Defending Freedom, la società cristiana internazionale di avvocati che si impegna per difendere la libertà religiosa, ha denunciato il governatore del Kansas Laura Kelly per conto di due chiese del Kansas. La denuncia chiede al governatore di rivedere il suo ordine che impedisce alle chiese di tenere raduni di più di 10 persone, mentre ci sono molti raduni di tipo non religioso che superano quel numero, inclusi bar, ristoranti, biblioteche e centri commerciali.
Le due chiese raccolgono entrambe meno di 100 fedeli e si trovano in contee rurali del Kasas, dove i tassi di infezione da COVID-19 sono meno di un decino dell’1 per cento. Entrambe le chiese hanno volontariamente implementato rigorose misure di distanziamento sociale, inclusi i controlli di temperatura, la distanza di circa due metri tra persona e persona, drastica riduzione dei limiti di occupazione, nessun uso di bollettini ecclesiastici o di doni all’offertorio, accresciuta ventilazione, distribuzione di mascherine e soluzioni alcoliche.
Le chiese hanno anche messo in piedi una serie di servizi esterni della chiesa, ma chiedono la possibilità di incontrarsi in maniera sicura nei locali della chiesa se questi servizi non sono fattibili.
Coronavirus, il nunzio negli USA sottolinea che i pastori sono stati chiamati a scelte difficili
L’arcivescovo Cristophe Pierre, nunzio negli Stati Uniti, ha celebrato negli scorsi giorni i 50 anni di sacerdozio. In una intervista concessa a Catholic News Agency, ha spiegato anche in che modo sta vivendo la quarantena. “Siamo confinati nelle nostre case – ha detto – è piuttosto doloro. La sofferenza è immensa, ma non possiamo restare soli. Vogliamo uscire, ricostruire e riscoprire i valori cristiani fondamentali, spesso dimenticati, come la dignità umana, la centralità della persona umana, la solidarietà e la fraternità”.
Parlando della collasso economico, il nunzio è detto che questo è “disastroso”, e che l’economia ha mostrato “tutta la sua fragilità”, ma che oggi “non c’è altra soluzione che ricostruire”. E ha sottolineato di essere testimone del “lavoro straordinario delle istituzioni cattoliche a tutti i livelli, coinvolte nell’aiutare e condividere. Il particolare contributo della Chiesa sarà sempre l’attenzione ai più poveri e ai più deboli”.
Riguardo le reazioni alle limitazioni al culto, l’arcivescovo Pierre dice di sapere che “i pastori sono stati obbligati all’improvviso a prendere decisioni difficili riguardo la celebrazione della liturgia e dei sacramenti, particolarmente durante la Settimana Santa”. E – ha aggiunto – “per la maggior parte del tempo, non hanno altra scelta che riconoscere le decisioni di quanti hanno la responsabilità per il bene comune. È stato necessario, e hanno fatto bene”.
È ovvio che ci si deve “adattare a nuove situazioni”, e ci sono molti sacerdoti che “hanno fatto sacrifici per stare con la loro gente, e alcuni hanno anche dato le loro vite”.
Coronavirus, prosegue l’impegno di solidarietà dell’ambasciata di Taiwan presso la Santa Sede
Dopo aver consegnato derrate alimentari all’Elemosineria pontificia, l’ambasciata di Taiwan presso la Santa Sede prosegue il suo impegno di solidarietà in tempi di emergenza del coronavirus. Sono arrivate da Taipei 280 mila mascherine, che sono state donate al Vaticano e alla Conferenza Episcopale Italiana.
Matthew Lee, ambasciatore di Taiwan presso la Santa Sede, ha detto che le mascherine sono “un segno di vicinanza a Papa Francesco e al popolo italiano, ma anche un aiuto alla Chiesa italiana, molto impegnata nell’accompagnare i malati e i più bisognosi che soffrono per il coronavirus”.
L’ambasciatore Lee ha consegnato le mascherine lo scorso 14 aprile al vescovo Stefano Russo, segretario generale della CEI, e a padre Donato Cauzzo, che rappresentava l’ordine dei Ministri degli Infermi Religiosi Camilliani, nonché da altri rappresentanti di diverse congregazioni in prima linea nella lotta contro il coronavirus.
Le mascherine sono state destinate alla Farmacia Vaticana, a tre ospedali romani (Bambino Gesù, Gemelli e Campus biomedico), e a diverse strutture religiose e sanitarie del nord Italia. L’ambasciatore Lee ha notato che “Taiwan è uno dei pochi Paesi che ha avuto successo nella lotta contro questo virus. Questo è stato possibile perché il governo ha reagito velocemente, prendendo tutte le misure necessarie come fare i tamponi a tutta la popolazione e l’utilizzo obbligatorio delle mascherine”, ha detto Lee ai presenti.
Taiwan è stata tra i primissimi a dare l’allarme e ad affrontare l’emergenza. Il fatto che Taiwan sia esclusa dall’Organizzazione Mondiale della Sanità ha fatto sì che gli appelli del Paese non fossero considerati.
L’ambasciatore Lee ha anche ricordato che Taiwan è stata colpita duramente nel 2003 dall’epidemia della Sars, riconoscendo che quella prova ha consentito oggi all’isola di acquisire gli strumenti per affrontare l’emergenza del Covid 19 con successo.
Il vescovo Russo ha ringraziato la popolazione di Taiwan, per un gesto di generosità che “diventa un dono straordinario nell’emergenza di oggi”.
L’ambasciatore di Taiwan ha anche donato 6 mila mascherine all’Ordine di Malta. La donazione è avvenuta lo scorso 15 aprile. Ivo Graziani, capo dello staff del Grande Ospedaliere, ha ringraziato l’ambasciatore Lee per “supportare gli sforzi dell’Ordine di Malta nel combattere la pandemia”, e l’ambasciatore ha replicato che l’Ordine di Malta e Taiwan “continueranno la cooperazione per combattere insieme il coronavirus”.
Giovedì Santo, l’Ambasciatore Lee è arrivato fino a Milano per portare mascherine chirurgiche, tute e occhiali protettive alla Fondazione “Opera di San Camillo” a Milano, per permettere all’ospedale di curare in tutta sicurezza i pazienti affetti da coronavirus. Il viaggio dell’ambasciatore si è reso necessario perché durante il periodo pasquale, le società di spedizioni operavano in orari limitati.
Coronavirus, i vescovi del Centro America chiedono lo stop alle deportazioni di massa
L’ufficio per la Pastorale della mobilità umana delle Conferenze Episcopali di Messico, Guatemala e Honduras ha criticato la politica del Messico, che “non sta trattando la questione della migrazione come fenomeno di vitale importanza in questi tempi di Covid-19, permettendo al suo vicino a nord (gli Stati Uniti, ndr) di deportare cittadini di qualsiasi Paese nel suo territorio molti dei quali senza un giusto processo e senza fornire la necessaria protezione ai richiedenti asilo”.
L’ufficio ha anche notato che non tutti i governi, in tempo di pandemia, hanno messo in atto misure sufficienti per proteggere i propri cittadini e vicini. I vescovi della pastorale si dicono preoccupati in particolare di fronte alla “espulsione di cittadini non messicani dagli Stati Uniti, che il Messico riceve senza concedere loro un permesso di soggiorno legale nel Paese”. Non solo. I vescovi accusano il Messico di “deportare cittadini centroamericani, specialmente migranti honduregni in Guatemala, violando il diritto internazionale e lasciando questi cittadini honduregni in una situazione di totale mancanza di protezione, aumentando così il loro grado di vulnerabilità”.
La pastorale della mobilità fa dunque appello ai governi di Messico, Honduras e Guatemala di “fermare le deportazioni e far rispettare il diritto internazionale, che vieta ad uno Stato di deportare uno straniero in una nazione diversa dal suo Paese di origine o di residenza legale”.
A motivo della emergenza sanitaria, i vescovi chiedono di evitare anche il sovraffollamento, permettendo alle persone di lasciare le stazioni di emigrazione e i centri di detenzione. Inoltre, chiedono di garantire assistenza medica e tutela dei diritti a migranti e rifugiati e di non politicizzare la crisi che si è causata con la pandemia.
Coronavirus, teleconferenza dei segretari generali di CELAM, Spagna e Italia sulla crisi
Lo scorso 15 aprile, i segretari generali delle Conferenze Episcopali di Spagna e Italia sono entrati in contatto in videoconferenza con la riunione dei segretari generali della Conferenza Episcopale Latino Americano. I segretari generali hanno condiviso le loro esperienze sugli effetti che sta provocando la pandemia del Covid 19.
Nella riunione, è stata messa in luce la creatività pastorale, la vicinanza della Chiesa e lo sviluppo delle Chiese domestiche per accompagnare e far fronte a questa crisi. C’è stata convergenza su una speciale preoccupazione per gli anziani e per l’accompagnamento dei defunti.
I vescovi del CELAM hanno messo in luce anche la creatività dei giovani e la loro partecipazione nelle reti sociali. Hanno anche mostrato preoccupazione, nell’ambito ecclesiale, per le ripercussioni della crisi nei seminari e nei collegi della Chiesa, e a livello sociale per la situazione nei carceri e per i senzatetto.
Un nunzio per il Guatemala e uno per le Samoa
Dopo la morte del vescovo Camillo Ballin, vicario apostolico per l’Arabia del Nord, la penisola arabica perde un altro punto di riferimento importante: il nunzio Francisco Montecillo Padilla è stato nominato nunzio apostolico in Guatemala.
Il diplomatico filippino era entrato nel servizio diplomatico della Santa Sede nel 1985, e aveva lavorato nelle rappresentanze pontificie di Santo Domingo, Venezuela, Austria, India, Giappone e Australia.
Nel 2006, fu nominato arcivescovo e nunzio a Papua Nuova Guinea e nelle Isole Salomon. Nel 2011, fu nominato ambasciatore del Papa in Tanzania. Nel 2016, Papa Francesco lo nominò nunzio apostolico in Kuwait, Bahrein, Emirati Arabi Uniti, Qatar, Yemen e delegato apostolico della Penisola Arabica. È stato lui ad organizzare il viaggio di Papa Francesco ad Abu Dhabi, che ha portato alla firma della Dichiarazione sulla Fraternità Umana.
Mancava invece solo l’accreditamento alle Isole Samoa per l’arcivescovo Novatus Rugambwa, che dal 29 marzo 2019 era nunzio apostolico in nuova Zelanda / Area Pacifico.
Santa Sede e Repubblica di Samoa hanno stabilito relazioni diplomatiche il 10 giugno 1994, ed è stata così costituita la nunziatura, separata dalla delegazione apostolica dell’Oceano Pacifico, di cui fanno parte le Samoa americane. Il nunzio risiede a Wellington, capitale della Nuova Zelanda.
L’arcivescovo Rugambwa è entrato nel servizio diplomatico della Santa Sede nel 1991, e ha servito nelle missioni diplomatiche di Panama, Repubblica del Congo, Pakistan, Nuova Zelanda e Indonesia. Nel 2007, è stato nominato sottosegretario del Pontificio Consiglio dei Migranti, e nel 2010 è stato destinato all’incarico di nunzio a Sao Tomé e Principe ed Angola. Era nunzio in Honduras dal 2015.
Macedonia del Nord, il vescovo di Skoje riceve il primo ministro macedone
Lo scorso 13 aprile, il vescovo Kiro Stojanov ha ricevuto nella sua residenza il primo ministro macedone Oliver Spasovski e il direttore della Commissione per le Comunità Religiose Darijan Sotirovski in occasione delle festività della Pasqua. Il vescovo Stojanov è anche eparca della comunità bizantina in Macedonia, che celebra la Pasqua seguendo il calendario giuliano il 19 aprile.
Il vescovo Stojanov si è detto grato al primo ministro per la visita e gli auguri, e ha spiegato come è stata preparata la celebrazione della Pasqua. Il vescovo ha anche sottolineato che la Chiesa Cattolica si sforza di seguire tutte le istruzione e le raccomandazioni delle istituzioni competenti del governo durante la pandemia.
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