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Un servizio di EWTN News

Dottrina Sociale, il primo documento del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli

La copertina di "Per la vita del mondo", documento del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli sull'ethos sociale

Ci sono voluti tre anni di lavoro e una commissione speciale per dare alla luce “Per la vita del mondo”, il primo compendio di dottrina sociale del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli. È un documento importante, per due ragioni fondamentali. La prima è che l’idea di una “dottrina sociale” non viene mai accostata alla Chiesa ortodossa, ed è la prima volta che invece viene prodotto un documento comprensivo sul tema nell'ambito ortodosso. E la seconda è che il documento può anche essere letto come una risposta a “Le basi del Concetto sociale”, il compendio di dottrina sociale che il Patriarcato di Mosca pubblicò nel 2000.

Che quest’ultima sia una possibile lettura lo spiega anche John Chryssavgis, portavoce del Patriarca Bartolomeo, che, presentando il volume in un articolo, ha definito il documento del Patriarcato di Mosca come “un ammirevole, seppur rudimentale sforzo di delineare i principi sociali della Chiesa ortodossa in Russia dopo un esteso periodo di soppressione di Stato”. E ha aggiunto: “L’approccio globale di quel documento era critico nei confronti del mondo, considerato come una minaccia da smascherare e sconfiggere. È una posizione difensiva che può sopravvivere e anche svilupparsi in condizioni di isolamento confessionale, ma non può rendere allo stesso modo nel contesto ecumenico”.

Il Patriarcato ecumenico si presenta, invece, con un approccio differente. La Chiesa ortodossa è la Chiesa “una, Santa, cattolica e apostolica” del credo niceno-costantinopolitano, ma prova allo stesso tempo a leggere i segni dei tempi con prudenza. Il documento è anche l’occasione di ristabilire alcuni degli insegnamenti della Chiesa ortodossa.

E così vi si affronta anche il tema dei divorziati risposati, cui magari può essere ammesso di ritornare alla comunione dopo un periodo di sette anni di penitenza; si mette in luce come la Chiesa ortodossa non sia contraria agli anticoncezionali se questi sono usati all’interno del matrimonio e non sono abortifacenti; si delineano le sfide del dialogo ecumenico e del dialogo interreligioso.

Ma è anche un documento che condanna il traffico di armi e la schiavitù, ed è ansioso anche di spiegare alcune posizioni controverse che la Chiesa può avere avuto nel tempo. Fino a fare mea culpa quando magari i cristiani hanno deciso di accettare i governi che c’erano, senza ergersi a difensori dei diritti umani.

Il testo è composto da una introduzione, una conclusione e sette parti: “La Chiesa nella sfera pubblica”, “il corso della vita umana”, “Povertà, Ricchezza e Giustizia Civile”, “Guerra, pace e violenza”, “Relazioni ecumeniche e relazioni con altre fedi”, “Ortodossia e diritti umani”, “Scienza, tecnologia e mondo naturale”.

Quello che si può notare è un approccio molto pragmatico ai temi del mondo. Ovviamente, tutto è permeato da riferimenti ai Padri della Chiesa, ma c’è poca filosofia e molto attivismo nelle parole del Patriarcato. Di certo, i fedeli ci potranno trovare un punto di riferimento essenziale. Ma è uno strumento anche utile alla Chiesa cattolica, per comprendere in che modo portare avanti il dialogo ecumenico.

Se è vero che l’approccio nei confronti del mondo è positivo, è anche vero che il documento inizia con l’affermazione che “il mondo nel quale abitiamo, è un mondo decaduto, frantumato e oscuro, schiavo della morte e del peccato, tormentato dalla violenza e dall'ingiustizia”.

Alcune note possono aiutare ad esplorare il documento. Prima di tutto, i cristiani abitano il mondo, ma la loro casa principale è “nella celebrazione”. Quindi, il tipo di governo in cui vivono i cristiani non è importante. Ma viene chiarito che la Chiesa “condanna inequivocabilmente ogni tipo di corruzione istituzionale e totalitarismo, sapendo che non può portare altro che sofferenza e oppressione di massa”, ma allo stesso tempo “non insiste sul fatto che i cittadini cristiani di Paesi ufficiali siano tenuti a sottomettersi ai poteri esistenti o ad acconsentire agli ordini sociali e politici dentro i quali si trovano”.

Colpisce il fatto che si ammetta che “gli speciali vantaggi della Chiesa, sotto una direzione di governo cristiana, possono aver consentito la gestazione e la formazione di un distinto ethos Ortodosso, all'interno di paesi con popolazione Cristiana Ortodossa, ma hanno anche avuto lo sfortunato effetto aggiuntivo, di vincolare la Chiesa a certe limitazioni paralizzanti”.

Il testo si configura, dunque, anche come un tentativo di slegare definitivamente l’alleanza tra trono e altare. Il documento mette in luce anche che “non può esistere un nazionalismo cristiano, né una qualsiasi altra forma di nazionalismo tollerabile alla coscienza cristiana”.

Si chiede ai cristiani e ortodossi di continuare a parlare nella sfera pubblica, perché “mettere a tacere la voce della fede nella sfera pubblica è mettere a tacere anche la voce della coscienza per molti cittadini ed escluderli del tutto dalla vita civile”.

Il documento tocca anche il tema degli abusi su minori, sottolinea che “i peccati contro l’innocenza dei bambini sono peccati di tipo particolarmente ripugnante”, afferma che “nessun sacerdote dovrebbe mai concedere l'assoluzione all'autore di un tale reato, fino a quando quest'ultimo non si è costituito e ha affrontato un procedimento penale”.

Questione bioetica: c’è il no, netto, alla eugenetica, ma c’è anche la concessione al fatto che “nel corso di alcune gravidanze si verificano situazioni mediche tragiche e insolubili, in cui la vita non può essere preservata o prolungata senza gravi pericoli per la vita della madre” e in quel caso la Chiesa “non può pretendere di essere competente” e si affida al giudizio dei medici e alla coscienza dei genitori.

No al suicidio, ma, nel caso, ci possono essere i riti funebri. Attenzione prioritaria per i poveri, perché “la Chiesa non può seguire veramente Cristo o renderlo presente al mondo se non riesce a porre al centro della sua vita morale, religiosa e spirituale la assoluta preoccupazione per i poveri e gli svantaggiati”. Richiamo ad agire in campo sociale, perché “la Chiesa deve esigere da ogni società, con i mezzi che possiede, di proteggere i propri lavoratori, sia che abbiano i documenti o che ne siano privi, da abusi, umiliazioni, negligenza e sfruttamento cinico” e “deve anche chiedere leggi, che non sottopongano i lavoratori senza documenti al terrore della sanzione legale, quando chiedono un risarcimento per gli abusi da parte dei loro datori di lavoro. Allo stesso tempo, la Chiesa dovrebbe incoraggiare le società a investire in modo umano nelle aree depresse del mondo e a cercare di offrire opportunità, dove prima non esistevano”.

E ancora, si sottolinea che la Chiesa censuri le nazioni che sprecano una parte sproporzionata delle casse pubbliche in imprese, che non fanno altro che favorire o lusingare la loro piattaforma elettorale”, o quando si sceglie “di deviare somme pubbliche dal benessere sociale a grandi e inutili programmi di armi”.

Si tratta di una Chiesa attiva sul lato sociale, anche se non viene ben definito se sono le gerarchie ecclesiastiche o sono i cristiani nella sfera pubblica a dover seguire le indicazioni. Il documento affronta anche il tema dell’assistenza sanitaria, di sfollati e rifugiati, della tratta degli esseri umani.

La violenza viene descritto come “il peccato per eccellenza”, si condanna l’uso dei termini “guerra santa o giusta”, anche se si ammette la possibilità di una giusta difesa in casi estremi, c’è un no, netto alla pena di morte”.

Nessun compromesso nella sfera pubblica sulle “convinzioni fondamentali del proprio credo”, massima apertura nel dialogo con le altre fedi, sì al linguaggio dei diritti umani, di cui viene rivendicata l’origine cristiano, sebbene “il linguaggio dei diritti umani non possa dire tutto ciò che può e dovrebbe essere detto sulla dignità profonda e sulla gloria di coloro che sono stati creati a immagine e somiglianza di Dio”.

Il documento difende con forza la libertà religiosa e la libertà di coscienza.

Colpisce che in un documento ufficiale e generale si ponga attenzione a situazioni particolare, specialmente per quanto riguarda i temi dei migranti. Si punta in particoalre il dito contro “alcuni governi europei e un gran numero di ideologi, che influenzano la difesa dell'’Europa cristiana’, cercando di chiudere completamente i confini, promuovendo idee nazionaliste e persino razziste e rifiutando, in innumerevoli altri modi, le parole di Cristo stesso” e contro “il panico autoctono che vene incitato in Europa, in Australia, in America”.

Sono “azioni costituiscono un attacco alla immagine di Dio in coloro che cercano la nostra misericordia. Sono offese contro lo Spirito Santo. Nel nome di Cristo, la Chiesa Ortodossa denuncia queste pratiche e implora i colpevoli di pentirsi e di cercare invece, di diventare servitori della giustizia e della carità”.

Il documento chiede anche di superare l’antagonismo tra fede e scienza, ma soprattutto rivendica la possibilità per la religione di agire nella sfera pubblica. Sottolinea infatti che “caratteristico segno comune di molte delle nostre società contemporanee, spesso in modo curioso, con sistemi politici incompatibili tra loro, sia in Oriente che in Occidente, è il nuovo insegnamento che debba esistere una sfera puramente pubblica che, per essere allo stesso tempo neutrale e universale, deve escludere l'espressione religiosa. La religione, inoltre, è intesa in tali società come essenzialmente un fatto privato, che non deve intromettersi nelle discussioni pubbliche per il bene comune. Ma questo è falso in linea di principio e risulta vessatorio nella pratica.

Sono molti gli spunti che vengono fuori dal documento. Aiutano a comprendere meglio la prospettiva della Chiesa ortodossa, ma anche il dibattito interno alla stessa Chiesa ortodossa. D'altronde, il testo è nato nel 2016, nell’ambito del Santo e Grande Concilio della Chiesa ortodossa che si è tenuto a Creta, durante il quale  si affrontarono le questioni contemporanee. A quel punto, il Patriarca Bartolomeo chiese di proseguire "nello spirito del Concilio" il lavoro.

(La storia continua sotto)

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