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Un servizio di EWTN News

Diplomazia pontificia: emergenza coronavirus, acqua, nunzio in Sudan

L'ambasciatore Lee con l'Elemosiniere, il Cardinale Krajewski, alla consegna delle derrate alimentari per i poveri, 23 marzo 2020

Non solo la diplomazia. In tempi di coronavirus, con le attività necessariamente rallentate, le ambasciate continuano a promuovere iniziative. L’ambasciata di Taiwan presso la Santa Sede, per esempio, ha messo in campo una serie di donazioni ad opere caritative per far fronte all’emergenza.

Nel corso della settimana, Papa Francesco ha nominato un nuovo nunzio in Sudan ed Eritrea: il posto era vacante da poco più di un anno, e la presenza di un diplomatico di alto livello è cruciale considerata la persecuzione che la Chiesa cattolica sta subendo in Eritrea.

La posizione della Santa Sede sulla destinazione dell’acqua è stata invece resa nota con un documento del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, pubblicato nel corso della Settimana. Ma cosa fa la Santa Sede nel multilaterale? Un dietro le quinte del lavoro a favore dell’essere umano aiuterà a comprendere meglio.

                                                FOCUS CORONAVIRUS

Coronavirus, l’attività dell’ambasciata di Taiwan presso la Santa Sede

Per rispondere all’emergenza coronavirus, l’ambasciata di Taiwan presso la Santa Sede ha messo in piedi una serie di iniziative per supportare la Santa Sede nelle sue attività di contrasto alla pandemia in favore di più poveri.

Lo scorso 23 marzo, l’ambasciata ha consegnato al Cardinale Konrad Krajewski, Elemosiniere di Sua Santità, una partita di 600 lattine di tonno. Le derrate alimentari sono state consegnate davanti al Palazzo Migliori, appena fuori dal colonnato, che Papa Francesco ha voluto dedicato all’accoglienza dei senzatetto.

Nel consegnare le derrate, l’ambasciatore Matthew Lee – rende noto l’ambasciata – “ha espresso la sua massima ammirazione per quei lavoratori della Santa Sede che continuano a fornire assistenza a quanti hanno bisogno nonostante l’emergenza coronavirus”. L’ambasciatore ha aggiunto che “sebbene il tonno non sia un cibo costoso, rappresenta l’amore di Taiwan per queste persone che non hanno nulla” e sottolineato che Taiwan continuerà a supportare la Santa Sede e le sue iniziative caritatevoli. Il cardinale Krajewski, dal canto suo, ha ringraziato Taiwan per il dono.

L’ambasciata di Taiwan ha anche voluto fornire maschere mediche provenienti da Taiwan a un numero di congregazioni vaticani e collegi, come il Pontificio Collegio Urbano, la Pontificia Accademia Ecclesiastica. Le mascherine sono state distribuite anche a sacerdoti e seminaristi che studiano a Roma. In questo modo, Taiwan ha voluto aiutare ad affrontare la mancanza di mascherine, in un momento in cui il numero dei contagi sembra aumentare.

Mascherine sono state donate anche in collaborazione con la fondazione Buddhist Compassion Relief Tzu Shi. In particolare, sono state donate 4 mila mascherine alla farmacia vaticana. L’ambasciatore Lee ha dichiarato che “aiutare è un dovere morale per noi”. Altre mascherine sono state donate dall’ambasciata alle Suore Ministre degli Infermi di San Camillo.

La Santa Sede è per Taiwan un partner cruciale, essendo uno dei 22 Stati al mondo che ne riconoscono la sovranità.  La Santa Sede non dà segnali di voler abbandonare la nunziatura di Cina a Taipei, ma alcuni ipotizzano che la presenza vaticana a Taiwan si abbassi a quella di semplice delegazione apostolica in vista di più stretta relazioni diplomatiche con Pechino, che considera Taiwan una provincia ribelle. I contatti diplomatici tra Cina e Santa Sede si sono stretti con l’incontro tra l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario vaticano per i rapporti con gli Stati, e il suo omologo cinese Wang Yi lo scorso 14 febbraio.

Taiwan si sta comunque mostrando un partner importante per la Santa Sede, anche attraverso queste iniziative di carità.

Coronavirus, dichiarazione congiunta COMECE / CEC

Il Cardinale Jean Claude Hollerich, presidente della Commissione delle Conferenze Episcopali in Europa, e il pastore Christian Krieger, presidente del Consiglio delle Chiese Europee, hanno diffuso un comunicato congiunto delle loro due organizzazioni per l’emergenza coronavirus.

Nella dichiarazione, si legge che la crisi creata dalla pandemia Covid-19 “ha esposto le vulnerabilità e apparenti certezze delle nostre politiche, economie e società”, ma che questo ci permette “anche di riscoprire la nostra umanità comune come fratelli e sorelle”.

COMECE e CEC pregano “con gratitudine” per medici, infermieri, fornitori di servizi basilari, forze dell'ordine e personale della giustizia - e persone coinvolte nell'assistenza pastorale, i quali continuano a fornire servizi, ma anche per tutti quanti stanno soffrendo durante questa crisi, dai malati agli anziani fino ai bambini.

Le due organizzazioni, inoltre, incoraggiano “i decisori politici dell'Unione Europea e dei suoi Stati membri a continuare ad agire in maniera determinata, trasparente, empatica e democratica”.

“Questo – si legge nella dichiarazione - è il momento per tutti noi per dimostrare il nostro impegno congiunto al progetto Europeo ed ai valori comuni Europei di solidarietà e unità, non di capitolare alla paura ed al nazionalismo”.

La proposta è, ad esempio, “una condivisione dei carichi nella cura agli anziani, in una facilitazione dello scambio di materiali medici, in misure creative volte ad alleviare gli shock sociali, economici e finanziari, così come in una cooperazione internazionale ed un'assistenza umanitaria rafforzata per sostenere i sistemi”.

Infine, la dichiarazione invita a guardare “a questo tempo di prova anche come ad un tempo di grazia e speranza. Rimaniamo uniti e facciamo sentire la nostra vicinanza a tutti, specialmente a coloro che sono nel bisogno”.

La COMECE fu fondata con l’approvazione della Santa Sede il 3 marzo 1980. Prima della COMECE c’era il Servizio Pastorale di Informazione Cattolico europeo, che è rimasto in vita dal 1976 al 1980. Fu in quegli anni che i vescovi discussero se era opportuno creare uno strumento di liaison tra le Conferenze Episcopali e la Comunità Europea. Nel 1979 si decise di stabilire la COMECE, mentre si stava per tenere la prima elezione diretta al Parlamento Europeo.La CEC, invece, è stata fondata nel 1959 per promuovere la riconciliazione, il dialogo e l’amicizia tra le varie confessioni in Europa, e ne fanno parte la maggior parte delle principali Chiese europee protestanti, ortodosse anglicane e vetero cattoliche. Non vi partecipa la Chiesa cattolica, come non partecipa formalmente al Consiglio Mondiale delle Chiese che Papa Francesco ha visitato a Ginevra nel 2018. Il motivo è nella denominazione “Chiese”, inaccettabile per la Santa Sede che considera l’unica Chiesa legittima la Chiesa cattolica romana. In tutto, nella CEC sono rappresentate 125 confessioni cristiane.

                                                FOCUS NUNZIATURE

Un nunzio per Sudan ed Eritrea

Dopo più di un anno, Papa Francesco sceglie il nunzio per Sudan ed Eritrea: è monsignor Luis Miguel Munoz Cardaba, classe 1965, che è nunzio di prima nomina e sarà dunque ordinato arcivescovo.

(La storia continua sotto)

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Succede all’arcivescovo Hubertus van Megen, inviato il 16 febbraio 2019 come nunzio in Kenya e Sud Sudan e successivamente come rappresentante della Santa Sede presso la sede ONU di Nairobi.

In questo anno e due mesi, in Eritrea in particolare si sono vissuti violenti attacchi contro la Chiesa, con espropriazioni di scuole e di ospedali. Del tema si è parlato anche recentemente al Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite di Ginevra. Sarà una delle sfide che sarà chiamato ad affrontare il nuovo nunzio.

La nunziatura del Sudan è legata dal 2004 alla rappresentanza pontificia in Eritrea. Dal 1992 al 2004, invece, i nunzi del Sudan erano al contempo delegati aposotlici per la Somalia.

Monsignor Munoz è spagnolo, classe 1965, sacerdote dal 1992 e nel servizio diplomatico della Santa Sede dal 2001. Ha prestato servizio nelle rappresentanze pontificie di Grecia, Messico, Belgio, Italia, Australia, Francia e Turchia.

                                                FOCUS SANTA SEDE

L’acqua, un bene di destinazione universale

È stato pubblicato lo scorso 30 marzo il documento Aqua fons vitae del dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale. Il sottotitolo del documento è “Orientamenti sull’acqua, simbolo del grido dei poveri e del grido della terra”, e si presenta come una serie di orientamenti sull’accesso all’acqua, che la dottrina sociale della Chiesa include tra i “beni di destinazione universale”.

Il documento è parte di un lavoro che la Santa Sede fa da tempo nei forum internazionali. Lo scorso agosto, la Santa Sede aveva partecipato alla Settimana Mondiale dell’Acqua, organizzata dallo Stockholm International Water Institute. Durante l’incontro, la Santa Sede aveva rimarcato come le organizzazioni di ispirazione religiosa possono essere un partner essenziale per le Nazioni Unite per risolvere le questioni dell’Acqua.

Il dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, e il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace da cui trae origine, ha partecipato anche ad alcune edizioni passate del Forum Mondiale dell’Acqua, forum triennale organizzato dal Consiglio Mondiale dell’Acqua. Il tema dell’accesso all’acqua potabile e sicura era presente nell’enciclica Laudato Si, ed è stato rimarcato da Papa Francesco nel Messaggio per la giornata di preghiera per la salvaguardia del creato dell’1 settembre 2019.

Gli orientamenti sono, dunque, frutto di un lavoro internazionale che la Santa Sede porta avanti da tempo. Secondo una nota del dicastero per la Promozione dello Sviluppo Umano Integrale, il documento distingue “tre aspetti o dimensioni relative all’acqua”: ‘l’acqua per uso umano, l’acqua come risorsa usata in molte attività umane, e in particolare nell’agricoltura e nell’industria; e l’acqua come una superficie, per esempio fiumi, falde acquifere, laghi e specialmente oceani e mari.

Nel documento, l’acqua è considerata come “valore religioso”, come “valore socio culturale ed estetico” e come “valore istituzionale e valore per la pace”, e “valore economico”.

Affrontando il tema della privatizzazione dell’acqua, il dicastero sottolinea che “le autorità pubbliche devono sempre garantire, attraverso una adeguata legislazione e monitoraggio, che le compagnie private seguano pratiche virtuose e trasparenti, e che l’acqua mantenga la sua destinazione universale in conformità con le richieste del bene comune e per il pubblico interesse”.

Il documento afferma anche che ci sono troppi impianti di potabilità che non hanno accesso adeguato all’acqua nella nazioni povere o in via di sviluppo, impedendo così i bisogni primari di pulizia e igiene. Senza acqua pulita, rubinetti, saponi, bagni e procedure di igiene, molti pazienti sono a rischio perché non ci sono infrastrutture che permettano una cura decente, sicura e di qualità.

In più, le nascite, le operazioni chirurgiche e le epidemie non possono essere affrontate in maniera sicura senza acqua, e questo rende la situazione ancora più allarmante in tempo di pandemia.

Il Dicastero nota che alcuni leaders mondiali sono sempre più consapevoli del problema, e ci sono coalizioni di agenzie governative o private che stanno cercando di affrontare il problema della carenza di acqua.

La Santa Sede è stata pioniera in questo, e gli orientamenti pastorali lo stanno a dimostrare.

Dietro le quinte: il lavoro della Santa Sede alle Nazioni Unite di Ginevra

Tutte le nazioni che aderiscono al Consiglio dei Diritti Umani sono sottoposte ad un Esame Periodico Universale per definire in che modo i diritti umani nel Paese. Si tratta di un esame tra pari, in cui le nazioni fanno raccomandazioni per rafforzare l’impatto dei diritti umani nello Stato “esaminato”. E si trasforma spesso in una sorta di promozione delle agende pro aborto o pro gender, specialmente quando si tratta di Paesi come El Salvador, uno dei pochissimi dove l’aborto è ancora proibito.

L’Esame Periodico Universale di El Salvador si è tenuto il 4 novembre 2019, e anche la Santa Sede ha presentato una serie di raccomandazioni. Si trattava, in particolare, di raccomandazioni che, al contrario di quelle degli altri Stati, incoraggiavano El Salvador a mantenere la legge che proibisce l’aborto.

Nelle raccomandazioni, la Santa Sede chiedeva di “rifiutare le richieste di liberalizzare ulteriormente le leggi dell’aborto, e di riaffermare e implementare piuttosto leggi e programmi sociali che promuovono la vita famigliare, supportano madri single e proteggano il diritto alla vita del bambino non nato in tutte le circostanze”.

Inoltre, la Santa Sede aveva raccomandato a San Salvador di “migliorare il sistema sanitarie e fornire specificamente ulteriori misure o infrastrutture e risorse per la salute materna, inclusa la preparazione delle ostetriche, con un focus sulla salute per le madri e i bambini durante la gravidanza e la nascita del bambino”.

Le raccomandazioni della Santa Sede andavano in direzione contraria dalle raccomandazioni pro aborto presentate da Islanda, Norvegia, Italia, Francia, Germania, Svezia, Islanda, Lituania, Messico, Olanda, Nuova Zelanda, Slovenia, Regno Unito, Spagna e Australia.

Il rapporto di El Salvador, con le risposte del piccolo Stato caraibico alle raccomandazioni è stato adottato il 12 marzo, appena il giorno prima che la plenaria del Consiglio dei Diritti Umani fosse sospeso. Tutte le raccomandazioni sono state rigettate da El Salvador. E colpisce che sia stata rigettata anche quella della Santa Sede.

Il governo salvadoregno aveva rigettato le valutazioni – si legge nelle risposte – riguardo la “coincidenza con gli obblighi derivati dall’ambito costituzionale e legale e dalle politiche, piani e programmi dello Stato che già sono in esecuzione”, nonché “sotto il focus dei diritti umani”. Ma la Santa Sede chiedeva proprio di mantenere quel focus costituzionale, non di andarvi contro.

Lo ha fatto notare ADF International, organizzazione legale di ispirazione cristiana che lavora sui temi della libertà religiosa, e che nel Consiglio dei Diritti Umani siede tra le Ong osservatori. In una dichiarazione, ADF ha notato “con rammarico che El Salvador non ha supportato o incluso tra la sua lista di raccomandazioni” quella della Santa Sede di rifiutare una ulteriore liberalizzazione dell’aborto. A riguardo, ADF international ha “con rispetto chiesto perché questa raccomandazione positiva e in supporto della famiglia sia stata rigettata”, dato che questa era “pienamente in linea con l’articolo 1 della Costituzione di El Salvador”. Tra l’altro, notava ancora ADF, la raccomandazione “è supportata dalle protezioni legali internazionali sul diritto alla vita, e dall’articolo 6 dell’Accordo Internazionale sui Diritti Civili e Politici, nonché dal preambolo della Convenzione dei Diritti del Fanciullo”.

Per questo, ADF International incoraggiava “il governo a raddoppiare gli sforzi per supportare le donne attraverso una gravidanza in salute”, e di “continuare a promuovere una società in cui nessuna vita umana è considerata meno degna di altre”.

Parlando con ACI Stampa, Giorgio Mazzoli, rappresentante di ADF a Ginevra, ha sottolineato che "ogni vita umana ha uguale dignità e valore, sia prima che dopo la nascita e l'articolo 1 della costituzione di El Salvador abbraccia pienamente questa realtà riconoscendo come persona ogni essere umano dal momento del concepimento".

Per questo, "sorprende e rattista che il governo abbia ritenuto che la raccomandazione della Santa Sede di mantenere la propria posizione pro life in materia di aborto sia incompatibile con le obbligazioni della nazione in tema di diritti umani, sia dal punto di vista della legge nazionale che di quella internazionale".

Mazzoli conclude che "senza l'assoluto rispetto per il diritto alla vita, nessuna società può fiorire". 

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