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Letture, dall'esilio e la sopravvivenza dei cristiani armeni nel romanzo di Henri Verneuil

Mayrig,  "mammina". Un dolce nome, un termine coniato dalla musicale lingua armena, che rievoca il più forte tra i legami terreni. Mamma, mammina. Un nome con cui ci si può rivolgere  a Colei che è la nostra Madre celeste. "Mamma, mammina": quante volte,  in questi ultimi giorni,  ci è venuto spontaneo usare questo termine come un'invocazione. ..Mamma, mammina, aiutami! E, tragicamente, anche come un addio straziante, rivolto da lontano, senza neppure poter guardarsi negli occhi ...

Ma ora Mayrig lo vogliamo rievocare innanzitutto con quella sfumatura di tenerezza, di nostalgia, di fiducia e di speranza che conserva nella lingua armena e che fa da filo conduttore al romanzo appena ripubblicato dalla casa editrice Terra Santa, con il titolo "Le Bugatti di Marsiglia". L'autore è Henri Verneuil,  alla nascita Achod Malakian (1920-2002), celebre regista, sceneggiatore e produttore cinematografico francese di origine armena. Basterebbe citare una delle sue produzioni più famose, "Il clan dei siciliani". Anche da questo romanzo, che rievoca le vicende della sua infanzia e adolescenza e quelle della sua famiglia, Verneuil ha tratto due film di successo, ossia "Mayrig" e "Quella strada chiamata paradiso", interpretato da Omar Sharif e Claudia Cardinale.

Perché leggere ora questo romanzo? Proprio per la capacità di rievocare il  senso di speranza, di forza, che scaturiscono dall'amore vero, dal senso di sacrificio, dal senso di appartenenza ad una fede, ad una tradizione, ad una terra. Anche se questa terra te l'hanno sottratta,  e se con la violenza hanno tentato di fare a pezzi la tua storia, il tuo popolo. Chi ha amato il grande racconto della "Masseria delle allodole"  di Antonia Arslan amerà anche questa storia.

Inevitabilmente, le vicende  del piccolo protagonista e della sua famiglia in fuga si intrecciano strettamente con la tragedia del genocidio del popolo armeno. Ma sono soprattutto pagine poetiche che tracciano un quadro vivido di queste esistenze votate all'amore reciproco, al sostegno, alla fede. Arrivati a Marsiglia dopo un difficile viaggio per mare, il padre, la madre, il bombetta di soli quattro anni, Achod,  e le due zie, cominciano la loro nuova vita. Camminano lungo le strade di quella città pullulante di vita, stranieri, in fuga, senza conoscere se non qualche parola di francese, portandosi dietro  qualche fagotto e qualche prezioso risparmio sotto forma di monete cucite con la stoffa intorno, come se fossero  bottoni. E cominciano le fatiche, le umiliazioni, le lacrime versate di  nascosto, per non far soffrire gli altri.Tutto, per rimanere uniti. Tutto, per permettere ad Achod di crescere libero, forte e capace di avere un futuro prospero e felice.

Ma la felicità è già tutta lì,  in quella stanza di Rue Paradis,  in cui vivono e lavorano in continuazione il padre,  la madre e le due zie - che il protagonista chiama "le altre due madri" - mentre il ragazzo faticosamente costruisce quel futuro radioso che illumina i loro sogni. A scuola viene emarginato, i professori lo ignorano,  i compagni lo prendono in giro, ma lui impara a non soffrirne più di tanto. A casa ci sono sorrisi, canti, racconti, preghiere,  sogni. ..tanto basta per andare avanti e per credere ai miracoli. La famiglia mette in piedi una piccola sartoria artigianale,  che sarà molto apprezzata.

Giorno dopo giorno, anno dopo anno, il traguardo si avvicina, Achod cresce, riesce negli studi, si prepara a diventare qualcuno. La sua strada sarà lunga e piena di soddisfazioni, totalmente libera dal bisogno,  dalla miseria. Ma è evidente che il suo cuore tornerà spesso in Rue Paradis, la sua memoria ripercorrerà quelle strade soleggiate in cui camminava mano nella mano di suo padre, al tram sferragliante che lo portava al favoloso luogo di villeggiatura, Montolivet,  a venti chilometri dal centro di Marsiglia. Un'estate calda passata in un piccolo giardino, pieno di fiori e di odori, in cui era facile immaginarsi un eroe da romanzo, un novello conte di Montecristo o una creatura partorita dalla fantasia di Jules Verne. Magari alla guida di una di quelle sfavillanti Bugatti che sfrecciano lungo le strade di Marsiglia...

A tutto questo, alla nostalgia per questa felicità perduta e irripetibile,  a molto altro ancora,  pensa Achod,  diventato grande, anzi quasi anziano,  uomo di successo, ricco, famoso, con un nuovo nome, mentre guarda la sua Mayrig mentre muore, in una bella camera, tra mobili raffinati e infermiere specializzate. Ricorda e scriverà,  poi: " Ora nessuno mi metterà più in guardia contro il freddo delle notti,  nessuno mi tenderà più quell'inutile maglioncino di lana che mi ha sempre infastidito tanto. E io resto solo, con il rimorso delle mie stupide collere,  suscitate da quegli eccessi di premura. Nei grandi dolori, talvolta tornano alla mente sciocchezze che diventano via via sempre più grandi. (...) Realizzo, tornando indietro nel tempo, che durante tutti questi anni nei quali ci siamo tanto amati, non ci siamo mai detti quanto ci volevamo bene. Forse per un pudore comune, o forse per il timore di sottolineare uno stato di fatto che era evidente". Un "amore di nascita", lo descrive l'autore. Un legame indistruttibile,  e una luce illumina queste pagine, come quella che inondava la piccola cappella in cui si celebravano i riti sacri nella scomparsa terra d'Armenia,  e poi in quelle piccole chiese in terra d'esilio,  nei giorni struggenti di festa e di gioia, in quelle Pasque in cui si  festeggiava la certezza della Risurrezione.

Henri Verneuil,  Le Bugatti di Marsiglia, edizioni Terra Santa, pp. 296, euro 18

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