Città del Vaticano , 30 March, 2020 / 4:00 PM
Due sono i rischi che la pandemia del Covid-19 porta con sé. Il primo: che l’emergenza sanitaria ci porti ad una insufficiente disponibilità di risorse, al punto che si potrebbe andare a decidere chi curare e chi no, basando così le decisioni su una differenza di valore della vita umana e della dignità di ogni persona. Il secondo: che il dato biologico prenda il sopravvento sulle scienze politiche, ovvero il rischio della biopolitica.
I due rischi sono tra quelli delineati dalla Pontificia Accademia per la Vita, in una nota pubblicata sul proprio sito internet istituzionale e presentata a Papa Francesco la mattina del 30 marzo, durante una udienza che il Papa ha concesso all’arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente dell’Accademia.
“Ho portato – ha detto in proposito l’arcivescovo Paglia – il nostro documento a Papa Francesco. Il Papa mi ha confidato la sua doppia preoccupazione. Nel presente, come aiutare soprattutto i più deboli. Per il futuro, in che modo uscire rafforzati nella solidarietà, perché in questa crisi emerga un po’ di più di fraternità a livello globale”.
La Pontificia Accademia per la Vita ha come scopo specifico la tutela e la promozione della vita umana attraverso l’impegno di scienziati di diverse aree geografiche, tradizioni culturali e religiose, nonché di diverse discipline scientifiche. La nota è stata ricavata proprio da una consultazione con tutti i 163 Accademici che sono parte dell’Accademia, e vi si possono leggere anche le differenze di approccio.
Nella nota, si nota che il coronavirus mette “tutta l’umanità alla prova”, anche perché “per sopravvivere alla malattia dobbiamo isolarci gli uni dagli altri”.
Ed è proprio questo isolamento che ci fa capire che “il vivere con gli altri è essenziale per la nostra vita”.
Gli accademici notano una “destabilizzazione” operata dal fatto che “ci siamo trovati socialmente e tecnicamente impreparati al diffondersi del contagio”. Una destabilizzazione che è “al di fuori dalla portata della scienza e della tecnica degli apparati terapeutici”.
L’Accademia per la Vita ci tiene a mettere in luce il dato umano, che va al di là del dato tecnico, spiegando che una riflessione sul senso della vita ha la stessa urgenza di quella per terapie e vaccini. Tanto più che il coronavirus ha messo in luce il limite umano, che resta nonostante i progressi tecnologici. Tanto che “oggi siamo addirittura indotti a pensare che, insieme con le straordinarie risorse di protezione e di cura che il nostro progresso accumula, si sviluppano anche effetti collaterali di fragilità del sistema, sui quali non abbiamo vigilato abbastanza”.
Così, appaiono “globali, reali e comuni” anche “la precarietà e i limiti delle nostre conoscenze.”. Vero che “verosimilmente, troveremo una soluzione per quello che ci aggredisce ora”. Ma questo – si legge nella nota – dovrà essere fatto “con la consapevolezza del fatto che questo tipo di minaccia sta accumulando una sua potenzialità sistemica di lungo periodo”.
Il tema è quello di non far “coincidere salvezza e salute”, mettendo in luce come la vita umana non sia “solo un fatto biologico”, perché questo crea risorse, e “accompagna responsabilmente anche tutte le necessarie attività della cura”, e questo si vede nella “dedizione degli operatori sanitari”, che si mettono in gioco e a rischio per curare i malati, andando oltre la logica dei vincoli contrattuali.
“Forse – si chiedono gli accademici – abbiamo eroso spensieratamente questo patrimonio, la cui ricchezza fa la differenza in momenti come questi, sottovalutando gravemente i beni relazionali che esso è in grado di condividere e di distribuire nei momenti in cui i legami affettivi e lo spirito comunitario sono messi a dura prova”.
La Pontificia Accademia per la Vita mette in guardia dal prendere decisioni politiche che si basino solo dati scientifici, perché “lasciare che i fenomeni umani siano interpretati solo sulla base delle categorie delle scienze empiriche significherebbe produrre risposte solo sul piano tecnico”, e questa è una via pericolosa, conosciuta come biopolitica.
Affrontare l’assenza di risorse è un altro tema. Ma, anche in quel caso, si deve tenere presente “che la decisione non può basarsi su una differenza di valore della vita umana e della dignità di ogni persona, che sono sempre uguali e inestimabili”, quanto piuttosto sull’impiego di “trattamenti nel modo migliore possibile sulla base delle necessità del paziente, cioè la gravità della sua malattia e il suo bisogno di cure”.
Insomma, l’Accademia mette in guardia dal considerare l’età come un fattore discriminante per la somministrazione di cure, perché questo crea una discriminazione verso i più fragili.
Serve, piuttosto, un “coordinamento globale dei sistemi sanitari”, e che si prenda a riferimento una autorità che può considerare le emergenze con sguardo complessivo.
L’attenzione per i più fragili è importantissima, e questo è compito particolare dei cristiani, perché “ogni forma di sollecitudine, ogni espressione di benevolenza, è una vittoria del Risorto”. Per questo, non si possono “dimenticare le altre calamità che si abbattono sui più fragili come i profughi e gli immigrati o quei popoli che continuano ad essere flagellati dai conflitti, dalla guerra e dalla fame”.
Infine, la Pontificia Accademia per la Vita sottolinea l’importanza della preghiera.
Conclude la nota. “Anche chi non condivida la professione di questa fede, può trarre in ogni caso dalla testimonianza di questa fraternità universale tracce che orientano verso la parte migliore della condizione umana. L’umanità che non abbandona il campo in cui gli esseri umani si amano e faticano insieme, per amore della vita come bene rigorosamente comune, si guadagna la gratitudine di tutti ed è segno dell’amore di Dio presente in mezzo a noi”.
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