Roma, 26 March, 2020 / 7:27 PM
Non è un Dio che ci abbandona, ma è un Dio che “ci apre la porta della sua casa”, la cui grandezza sta “nella decisione di starci vicino al punto di condividere la nostra sorte”. Ed è per questo che “nella vita e nella morte siamo dunque compagni di Dio”.
È il vescovo Daniele Libanori, ausiliare per il settore centro, a celebrare la Messa al Divino Amore, che si terrà ogni sera fino al Mercoledì Santo. E la sua omelia è tutta centrata sulla I Lettura, sull’episodio del vitello d’oro.
Mosè è lontano, tarda a tornare, il popolo chiede ad Aronne di fabbricare una immagine. Commenta il vescovo Libanori: “Il popolo non voleva rinnegare un Dio che lo aveva liberato, ma qualcosa che lo facesse sentire vicino”. Un po’ come facevano le truppe romane, che avevano sempre un vessillo da seguire, chiosa.
Ma il Signore “nel patto di alleanza aveva proibito di fabbricare immagini”. E ciononostante, Aronne “diede forma all’immagine di un toro”, che era da considerare come “un piedistallo su cui Dio può sedere come un sovrano”. Si sceglie un animale che “rappresenta forza e prosperità” e che per il popolo era “come un luogo dove incontrare il Signore che lo aveva liberato dalla schiavitù ed esprimeva l’idea che Israele si era fatta di Dio”.
Dio però – nota il vescovo Libanori – “non accetta di essere evocato da una immagine, perché le immagini sono suggerite dalle nostre attese dalle nostre paure, e si finisce per immaginare un Dio a immagine nostra”. E così, “professando che egli è buono, ci aspettiamo che egli accondiscenda alle nostre domande, e restiamo scandalizzati quando questo non si realizza”.
Commenta il vescovo Libanori: “Dio è parola che si rivolge al cuore, non immagine. Dio parla ad Abramo, a Mosè dal roveto ardente, Dio continua a parlare attraverso i profeti, e si manifesta come un Dio amante e geloso. Il Signore ha parlato per mezzo del figlio della Vergine Maria e lo ha accreditato. In lui, Parola fatta carne si è fatto conoscere come Dio che ama la sua creatura senza condizioni”.
Guardando a Gesù crocifisso, morente, che promette la vita eterna ad un altro morente, il buon ladrone, scopriamo invece “che la grandezza di Dio sta nella decisione di starci vicino al punto di condividere la nostra sorte”.
E dunque, conclude il vescovo, “nella vita e nella morte siamo dunque compagni di Dio, che non ci abbandona a noi stessi ma ci apre la porta della sua casa. A deludere le nostre attese sono le immagini che ci siamo fatti di Dio, perché queste sono costituite dalle nostre attese che spesso diventano delle pretese”.
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