Città del Vaticano , 30 December, 2019 / 10:00 AM
Papa Francesco ha terminato l’anno modificando le norme sul Decano del Collegio Cardinalizio: non più un incarico a vita, ma un incarico di cinque anni, rinnovabile per altri cinque. Ed è una decisione che, in fondo, è nello spirito della riforma della Curia. Perché la Curia riformata secondo la Praedicate Evangelium, se tutte le indiscrezioni saranno confermate, prevedrà che tutti gli incarichi potranno essere tenuti per cinque anni, rinnovabili di altri cinque.
Non è la sola novità prevista, nella riforma. Si parla di una maggiore presenza di laici e donne anche in incarichi apicali della Curia, e poi di una generale ristrutturazione di pontifici consigli e congregazioni, che saranno tutti chiamati dicasteri. Nel suo discorso di auguri natalizio, Papa Francesco ha indicato, in particolare, quattro dicasteri :il dicastero per l’Evangelizzazione, la Congregazione per la Dottrina della Fede, il Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale e il Dicastero per la comunicazione.
Se il discorso del Papa è indicativo, sarà in questi dicasteri che ci saranno i cambiamenti maggiori. Il dicastero per l’Evangelizzazione ha già un prefetto, il Cardinale Luis Antonio Tagle. Arriverà a metà gennaio da Manila, dove è stato fino ad ora arcivescovo, e si troverà a guidare la transizione verso un dicastero rinnovato, che andrà ad assorbire anche il Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione. Prima evangelizzazione e nuova evangelizzazione vengono così inclusi in un unico portafoglio, perché – come ha spiegato Papa Francesco nel discorso di Natale alla Curia – non si vive più in un mondo cristiano. Tutto, insomma, deve essere evangelizzazione.
La Congregazione della Dottrina della Fede sarà il dicastero della fede, e nella nuova costituzione di Curia verrà subito dopo il Dicastero per l’Evangelizzazione. Le modifiche riguardano soprattutto il modo in cui vengono affrontati gli abusi. Già nel 2015, c’era stata l’istituzione di un collegio speciale per esaminare i ricorsi riguardanti i delicta graviora, ovvero i delitti più gravi. E a capo del collegio era stato messo l’arcivescovo Charles J. Scicluna, di La Valletta, che poi è stato anche inviato speciale di Papa Francesco per andare a investigare la questione degli abusi in Cile e quindi è stato nominato segretario aggiunto della Congregazione della Dottrina della Fede. Ma si parla anche di una competenza “dottrinale” demandata alle Conferenze Episcopali, come si legge già nell’esortazione Evangeli Gaudium, e persino di tribunali locali della Congregazione della Dottrina della Fede per andare meglio ad affrontare i casi di abuso.
Certo è che la riforma sembra andare a due velocità. Da una parte, le decisioni di Papa Francesco, che arrivano spesso un attimo prima della riunioni del Consiglio dei Cardinali che sta definendo la nuova costituzione apostolica Praedicate Evangelium.
Successe, per esempio, sia con l’istituzione del Dicastero Laici Famiglia e Vita che con il motu proprio “Come una madre amorevole”, che andava a stabilire una procedura per rimuovere i vescovi che si macchino di negligenza, con uno speciale riferimento ai casi di abusi sui minori.
Proprio il motu proprio “Come una madre amorevole” certificava un po’ il modo in cui è andata avanti la riforma: per passi avanti e passi indietro, con un disegno generale che però non si traduceva in un modo sistematico. Il motu proprio nasceva da una proposta del consiglio del 2015, in cui si era persino proposto un tribunale per punire i vescovi negligenti. Una proposta di difficile attuazione, anche perché non si capiva in che modo questo tribunale sarebbe andato ad affiancare la Congregazione per la Dottrina della Fede. Il motu proprio andava invece a stabilire una specie di chiarificazione delle procedure, caldeggiata soprattutto dalle ex vittime che lavoravano con la Pontificia Commissione per la Protezione dei Minori.
E sono stati molti i passi avanti e indietro della riforma.
Il Revisore Generale dei Conti ha avuto un nuovo regolamento, che lo ha meglio introdotto all’interno della struttura della Curia, mentre prima sembrava essere un corpo estraneo. La Segreteria per l’Economia ha perso le competenze sulla gestione amministrativa del patrimonio, tornate all’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica (APSA), considerata una sorta di banca centrale. E, sempre in tema di finanze, sembrava tramontata l’idea di stabilire un Vatican Asset Management. Idea che però sembra ancora al centro di battaglie e dibattiti interni, e che alla fine è anche uno dei temi che si nascondono dietro lo scontro istituzionale in corso.
Anche la riforma della comunicazione vaticana ha attraversato varie stagioni, con un comitato e una commissione per prepararla, e poi con un cambio di nome (da Segreteria a dicastero) che ne ha un po’ cambiato la natura. Ora, si va avanti nel segno della multimedialità, come ha detto Papa Francesco.
Ci si trova, così, di fronte ad una riforma a due velocità. Da una parte, le decisioni di Papa Francesco, che già mettono in atto alcuni dei principi della riforma, mentre alcuni dicasteri già appaiono nella forma che sarà definitiva: la Segreteria per l’Economia, il Dicastero della Comunicazione, il Dicastero Laici, Famiglia e Vita, il dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale. Dall’altra, le discussioni sulla Praedicate Evangelium, la nuova costituzione apostolica che andrà a sostituire la Pastor Bonus.
Si tratta di una riforma a due velocità perché nessuna delle novità già in atto è stata inserita nella Pastor Bonus, la costituzione che è tuttora in vigore. Non è nella Pastor Bonus la Segreteria per l’Economia, recentemente dotata di un nuovo prefetto, anche quello con mandato quinquennale, vale a dire padre Juan Antonio Guerrero Alves. Non è nella Pastor Bonus. Come non lo sono i nuovi dicasteri, mentre paradossalmente esiste ancora formalmente la Prefettura degli Affari Economici, privata di presidente e segretario.
Si tratta di una riforma a due velocità, perché la discussione ha portato a passi avanti e passi indietro. Inizialmente, si pensava persino di smantellare la Segreteria di Stato. Ora, la Segreteria di Stato resta il centro della Curia come voluto da Paolo VI, ha già acquisito una terza sezione (ora ci sono le sezioni di Affari Generali, Rapporti con gli Stati e personale di ruolo diplomatico della Santa Sede) e dovrebbe includere un secondo sottosegretario alla seconda sezione, questa volta dedicato al multilaterale, questione cui Papa Francesco ha dato recentemente tanta enfasi.
In più, ci dovrebbe essere, all’interno della Segreteria di Stato, una “segreteria papale” che abbia lo scopo di coordinare i diversi organismi, e che dunque prenderebbe il posto dei segretari particolari del Papa. Verrebbe da qui anche la decisione di Papa Francesco di non avvalersi più dei servigi di monsignor Fabian Pedacchio come suo primo segretario, mentre il secondo segretario, monsignor Yoannis Lahzi Gaid, è molto attivo nel Comitato per l’Implementazione della Dichiarazione sulla Fratellanza Universale.
Si parlava anche di passare le funzioni di protocollo e organizzazione delle udienze del Papa alla Segreteria di Stato, abolendo di fatto la Prefettura della Casa Pontificia. Ma questo sembra, per ora, un tema non più sul tavolo.
Il coordinamento della segreteria papale riguarda la convocazione di riunioni di gabinetto, che sono previste proprio per evitare dispersioni di informazioni. Così, nella bozza viene stabilito che i capi dicastero sono “ricevuti personalmente”, mentre ci sono votazioni interdicasteriali su materie che riguardano più competenze e dicasteri, si prevede anche l’istituzione di una commissione interdicasteriale per fatti di maggiore importanza e la convocazione periodidca di dicasteri.
Un primo esempio di applicazione sono state alcune riunioni di ad limina, che hanno visto anche riunioni di Papa Francesco con i vescovi e più dicasteri coinvolti, e l’ultimo incontro interdicasteriale convocato da Papa Francesco con sinodo e metropoliti della Chiesa Greco Cattolica Ucraina. E si pensa ce ne saranno altri.
Altro tema, quello del Camerlengo. Il Camerlengo è colui che guida la Camera Apostolica, ovvero l’organismo che amministra i beni della Chiesa nel periodo di sede vacante. Attuale Camerlengo è il Cardinale Kevin J. Farrell, prefetto del Dicastero Laici Famiglia e Vita. Ma, proprio per queste sue competenze economiche, la Praedicate Evangelium prevede che a prendere l’ufficio di Camerlengo sarà quello che, al momento della morte o rinuncia di Papa Francesco, sarà coordinatore del Consiglio per l’Economia.
Tutto, comunque, mira ad operare un cambio di mentalità. La Praedicate Evangelium sottolinea anche che gli officiali della Curia dovranno dimostrare di avere almeno quattro anni di esperienza pastorale, e che è desiderabile svolgano una attività pastorale mentre lavorano in Curia, mentre spetta ai dicasteri curare una formazione personale permanente del loro personale.
In questo senso, la recente nomina di padre Juan Antonio Guerrero Alves come prefetto della Segreteria per l’Economia risponde a questi criteri. Padre Guerrero avrebbe chiesto di non ricevere ordinazione episcopale, per poter tornare ai suoi incarichi nella Compagnia di Gesù al termine del mandato di cinque anni. Si pensa, infatti, a una maggiore mobilità dei membri di Curia, con incarichi a cinque anni non rinnovabili più di una volta.
Oppure, c’è un’altra soluzione, anche questa anticipata dalle decisioni di Papa Francesco: quella di tenere incarichi in Curia e allo stesso tempo una competenza pastorale. Questo è testimoniato dalla nomina dell’arcivescovo Charles J. Scicluna a segretario aggiunto della Congregazione della Dottrina della Fede, lasciandolo però nella sua sede di La Valletta.
Secondo il vescovo Marcello Semeraro, segretario del Consiglio dei Cardinali, tutte queste decisioni si spiegano con il “criterio pastorale”. È attraverso quelle lenti che si devono leggere alcune delle decisioni del Papa: dalla Terza Sezione della Segreteria di Stato, destinata alla cura specifica del personale diplomatico della Santa Sede, fino al Magnum Principium, il motu proprio di Papa Francesco con cui si è data maggiore responsabilità alle conferenze episcopali nella traduzione dei testi sacri; ma anche il lavoro della Pontificia Commissione per la Protezione dei Minori, teso proprio a migliorare la cura pastorale delle vittime.
Questa è una chiave di lettura delle riforme di Papa Francesco, che può portare a varie conclusioni. Ci si aspetta una sempre maggiore responsabilizzazione delle diocesi, perché alla fine è proprio nel lavoro diocesano che si sperimenta la preoccupazione pastorale e la vicinanza con i fedeli. Ci si aspetta una Curia più leggera, non nel senso di strutture, ma nel senso delle responsabilità e anche del peso politico: la Curia serve a far funzionare la macchina, ma è chiamata soprattutto ad avere una cura pastorale delle persone che lavorano in Vaticano e ad aiutare quelli che hanno questo tipo di cura.
Ci si aspetta, alla fine, che la bozza sarà profondamente modificata. Molti gli emendamenti arrivati al termine della consultazione mondiale. Erano rimaste, tra l’altro, fuori dal primo dibattito della Curia alcune questioni normative irrisolte, come quella del Papa emerito, mentre colpiva il riferimento nella bozza all’attuazione degli Obiettivi di Sviluppo Umano Sostenibile: in pratica, il linguaggio delle Nazioni Unite era entrato nella bozza di riforma, mettendo da parte la Dottrina Sociale e il principio dello sviluppo umano integrale.
(La storia continua sotto)
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D’altro canto, ci si aspetta anche che Papa Francesco andrà avanti per la sua strada. La strada di una generale parificazione degli uffici di Curia. Tutti devono essere considerati uffici, servizio, senza però assumere un ruolo preponderante, nemmeno se hanno la storia dalla loro parte. Nemmeno l’ufficio del decano del Collegio dei Cardinali è esente da questo processo. Nemmeno lo sarà la Camera Apostolica, né potrebbe esserlo la Prefettura della Casa Pontificia.
Si tratta di un lavoro per far funzionare meglio la macchina, ma senza concedere nulla all’istituzione.
Alla fine, ci si aspetta soprattutto che, se riforma sarà, questa non sarà da considerare un punto di arrivo, bensì un punto di partenza. Ci si troverà di fronte ad un collegio dei Cardinali profondamente rinnovato, e con nuovi ranghi curiali. Infatti, quest'anno compiono (o hanno compiuto) 75 anni i prefetti della Congregazione dei Vescovi, dell'Educazione Cattolica e delle Chiese Orientali. Probabile che Papa Francesco procederà a scegliere i successori dopo la stesura della riforma. E questo dà l'idea che si cercherà di chiudere tutto entro la metà del 2020.
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