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Un servizio di EWTN News

Armenia, la musica come memoria. Un concerto a Roma

Un ritratto di Komitas Vardapet

Per gli armeni, la musica è memoria. E così, dopo il genocidio del 1915 che ha ucciso circa 1,5 milioni di armeni, era necessario ricostruire un archivio musicale che era andato perduto. Ci pensò Komitas Vardapet, che pure di quel genocidio fu vittima e che a causa di quel genocidio impazzì. Il 150esimo della sua nascita viene ricordato a Roma con un concerto in Santa Maria in Trastevere il prossimo 12 dicembre. Un concerto particolare: per la prima volta, infatti, si esibisce a Roma il coro dei diaconi di Etchmidzin, il “vaticano” della Chiesa apostolica armena.

Sono molti i significati di questo concerto. Ha, prima di tutto, un significato ecumenico, che va alle radici della cultura armena e a quel rapporto della Chiesa Cattolica con la Chiesa Apostolica Armena che si è risolto solo recentemente. E poi, ha un senso per le Chiese orientali. Per questo, ci saranno sia il Cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, che il Cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione delle Chiese Orientali. E per questo entrambi hanno dato il patrocinio all’iniziativa.

Ma c’è anche una storia che in Armenia si misura in millenni, e si cura con il libro e i 36 soldati (le lettere dell’alfabeto) che hanno salvato la fede della prima nazione cristiana. E così, il concerto serve a tornare indietro e riscoprire quelle melodie che Komitas fece appena in tempo a salvare dall’oblio.

Ma chi era Komitas Vardapet? Fu un musicista geniale, dalla produzione modesta (80 lavori corali e canzoni, arrangiamenti della Messa armena, alcune ballate per pianoforte), eppure fu colui che da solo ha messo le fondamenta della tradizione classica armena perché fu uno straordinario collezionista e arrangiatore di canzoni folk.

Dopo un concerto a Parigi, Claude Debussy, sulla base di una sola canzone, che Debussy meritava di essere riconosciuto come un grande compositore.

Komitas in realtà si chiamava Soghomon Soghomonyan, era nato in Turchia da genitori armeni, entrambi noti cantanti, nel 1869. In un mondo in cui la minoranza cristiana veniva spesso perseguitata, Soghomon crebbe e poi entrò nel seminario di Etchmiadzin dopo che un vescovo ne scoprì il talento.

E lì mimava le canzoni che trovava nei villaggi alle pendici del Monte Ararat, e scriveva tutto ciò che ascoltava, lo sistemava in un arrangiamento a tre voci e lo affidava ad un coro. Ogni trascrizione incluse musica, movimenti, ma anche relazioni sociali.

A 25 anni., Soghomonyan fu ordinato e prese il nome di Komitas, come il famoso poeta del VII secolo, andò a studiare a Berlino, poi a Parigi e lì fondò un coro.

Nel 1013, Komitas e un gruppo di amici intellettuali cominciarono un progetto di storia orale per celebrare la comunità armena in Turchia. I musulmani turchi furono incoraggiati da governanti politicamente insicuri di saccheggiare i villaggi armeni cristiani e uccidere gli abitanti. E così, gli Armeni di Turchia furono ghettizzati, disarmati e, il 24 aprile 1915, deportati in massa. Tra loco c’era anche Komitas.

E così, portato sulle montagne, fu all’inizio colui che confortava i suoi amici, ma poi fu brutalizzato da una guarda, e si ritirò in un mondo paranoide, trascorrendo in manicomio i suoi ultimi 20 anni di vita.

Secondo alcuni, la sua follia era dovuta al fatto che aveva perso la sua ricerca. Diceva di aver trovato il codice dei neumi, ma nessuno trovò questo codice. E, in fondo, il fatto che Komitas rifiutò sempre di riconoscere ogni tipo di divisione tra la musica folk di Turchia e Armenia fu un modo per raccontare al mondo che le divisioni che avevano portato al genocidio potevano essere appianate.

C’è tutto questo nel concerto del prossimo 12 dicembre a Santa Maria in Trastevere.

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