Carpi, 10 November, 2019 / 10:00 AM
Il brano evangelico di oggi ci presenta l’incontro-scontro tra Gesù e un gruppo di sadducei i quali avevano dato vita ad una corrente religiosa che non credeva alla resurrezione dei corpi. L’idea della resurrezione dei corpi era contrastata non solo dai sadducei, ma anche dal mondo pagano dove il corpo era valutato negativamente perché considerato il carceriere dello spirito. Pertanto, la salvezza consisteva nel liberarsi da esso. Per questo nella cultura greca si parlava di immortalità dell’anima, ma era inconcepibile la fede nella resurrezione dei corpi.
I sadducei, per ridicolizzare l’idea della resurrezione e sottolinearne l’estraneità con la Parola di Dio sottopongono a Cristo un esempio concreto: una donna che ha avuto sette mariti, nella resurrezione di chi sarà moglie?
Gesù risponde alla domanda dei suoi interlocutori partendo proprio dalla Sacra Scrittura e cita un testo di Mosè, nel quale, tuttavia, non si parla espressamente della resurrezione, ma di Dio. Utilizzando questo metodo Gesù, ancora una volta, non si ferma al singolo caso concreto, ma conduce il discorso alla radice, alla rivelazione del Dio vivente e alla sua fedeltà. E’ come se dicesse: Se Dio ama l’uomo, non può abbandonarlo in potere della morte.
In altre parole il Signore proclama che Dio non esaurisce il suo potere con la creazione del mondo attuale. Egli conduce al di là di esso e dona a coloro che ne sono degni la resurrezione e la vita nuova e, pertanto, la vita in questo mondo non è la nostra sola vita. Dio non ci lascia in potere della morte perché Egli non è un Dio dei morti, ma di viventi.
Dopo avere dichiarato che la vita continua oltre la morte, Gesù spiega che la resurrezione sfugge alle categorie umana perché non consiste, in alcun modo, in un prolungamento dell’esistenza terrena e neppure nella rianimazione di un cadavere in quanto è divina ed eterna. Esiste, quindi, una differenza assoluta tra la vita presente e quella che deve venire. Con la morte la persona, se ne viene giudicata degna dal Signore, entra, nella sua unità di anima e corpo, in un’esistenza nuova, in un “mondo altro”. Prima, però, c’è una specie di “esame d’ammissione” che interessa il nostro modo di vivere “in questo mondo”.
Gesù afferma che nel Regno di Dio saremo “uguali agli angeli”. Si tratta di un’espressione che serve ad indicare il nostro essere “altro” rispetto ad oggi. Alla vita attuale appartengono il limite, la vecchiaia, la sofferenza, la morte. Alla vita eterna, invece, la comunione con Dio, l’assenza della morte e di conseguenza la mancanza di una discendenza. Coloro a cui Dio dona questa vita saranno introdotti nella Sua intimità per vivere veramente come suoi figli, vedranno Dio, conosceranno una infinita beatitudine e non moriranno mai.
In definitiva la nostra vita non è un andare verso il nulla, ma un cammino che ci porta da questo mondo al Padre, perché, come insegna la rivelazione, “da Dio veniamo e a Dio ritorniamo”. Pertanto la morte non è l’ultima parola della nostra vita, ma la penultima.
Chi realizza il legame tra noi e il “Dio dei vivi” è l’Eucarestia che attualizza la morte e la resurrezione del Signore da cui scaturisce la vita per noi. La comunione al corpo e sangue ci porta “a seguire il Verbo di Dio, facendoci stranieri con il Verbo per dimorare con il Verbo” per sempre (S. Ireneo).
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