Torino, 25 October, 2019 / 10:00 AM
Il 7 ottobre 1865 a Lanzo Torinese moriva don Vittorio Alasonatti. Il suo nome è legato al ricordo di un grande santo italiano: Giovanni Bosco.
Nato nel 1812 ad Avigliana, incontrò il santo nei pressi del santuario della Madonna dei laghi. In questo luogo, nel quale si conserva una splendida immagina della Vergine del milletrecento, don Bosco vi portava spesso i suoi ragazzi in gita. In due di queste occasioni, ebbe modo di incontrare il santo che gli chiese di aiutarlo nell'impresa che ha dato vita ai Salesiani.
Il sacerdote apparteneva al clero secolare dell'Arcidiocesi di Torino e godeva di una buona posizione sociale. In più la vicinanza della sua famiglia, rendeva la sua vita piena di buoni affetti, ma quando sentì l'invito di don Bosco che lo chiamava a dare la propria vita per quei ragazzi, poveri e soli, il suo assenso fu totale. Ed altrettanto fu la sua vita in oratorio.
Don Alasonatti conosceva, benissimo, ciò che lasciava ma di più cosa lo attendeva: sacrificio, povertà, pazienza infinita e molto lavoro. In quegli anni la società salesiana incontrò molte prove, da cui il santo, amico della gioventù, seppe far fronte, con adamantina fiducia ed incrollabile fede in Dio che è Padre. Tutto questo, non lo scoraggiò, anzi ne confermò le ottime qualità umane e morali.
E dal quel lontano 14agosto 1854 fu sempre con don Bosco. Con il santo, condivise le gioie e le difficoltà e quanto veniva in sorte. Non lesinò il suo lavoro e lasciate le proprie sicurezze, accettò la sfida per il Regno dei cieli, che non avvilisce ne svilisce.
Uomo di preghiera, chi visse con lui, lo ricorda fedele nella recita del breviario e sempre in unione con Dio. Nelle Costituzioni salesiane si legge che il religioso: “Operando per la salvezza della gioventù, il salesiano fa esperienza della paternità di Dio e ravviva continuamente la dimensione divina della sua attività: "Senza di me non potete far nulla”. Coltiva l’unione con Dio, avvertendo l’esigenza di pregare senza sosta in dialogo semplice e cordiale con il Cristo vivo e con il Padre che sente vicino. Attento alla presenza dello Spirito e compiendo tutto per amore di Dio, diventa, come Don Bosco, contemplativo nell’azione”.Questo fu il suo modo di essere.
Dopo venti anni di sacerdozio, spesi a servizio della diocesi, rimise la sua esistenza in gioco, divenendo padre dei ragazzi, raccolti dal santo, in quella realtà nella quale, alle volte, un duro destino segnava una triste sorte.
Ma non fu così per quei giovani che, in quel prete, seppero scorgere il padre che non avevano.
Tanto era stimato che fu lui, il 18 dicembre 1859, che stese il primo verbale della nascente Società di San Francesco di Sales, che nella camera di don Bosco stava, giuridicamente, nascendo con lo scopo :”di erigersi in Società o Congregazione che avendo di mira il vicendevole aiuto per la santificazione propria si proponessero di promuovere la gloria di Dio e la salute delle anime specialmente delle più bisognose d'istruzione e di educazione”.
Dotato di ottime capacità sapeva farsi tutto a tutti. Primo prefetto generale della Società Salesiana, ebbe tra i molti incarichi anche quello, delicatissimo, della direzione amministrativa e di disciplina.
Amò don Bosco e la famiglia salesiana, come un figlio la propria madre e comprese, fin in fondo, il pensiero e l'attivismo del santo che, in quegli anni, fu davvero provvidenziale per tanti giovani.
Sul letto di morte, a don Lemoyone che lo assisteva, stringendo la mano, per l'importanza di ciò che stava per esprimere, disse: “Prosegua nella grande opera che ha intrapresa...Si faccia coraggio... Abbiamo tanto bisogno di apostoli che lavorino in mezzo ai giovani. Le auguro che salvi molte anime, migliaia e migliaia di anime, specialmente di poveri giovanetti... Le salvi!... Sono troppi i nemici che le insidiano. Oh, quanto vi è bisogno di salvarle!... Oggigiorno appena nelle campagne e sui monti, e ben di rado, si trova ancora un innocente... Se le venisse fatto di incentrarlo, lo difenda dai cattivi compagni... ».( Bollettino Salesiano, 15ottobre 1965, LXXXIX n.20).
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