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San Giovanni de Matha ed il signum Trinitario

Salendo per la strada che costeggia il colle Celio, a Roma, si scorge in alto sulle mura di destra, sopra la porta della chiesa di San Tommaso in Formis, un mosaico che rappresenta il Cristo che tiene nelle mani due persone poste in schiavitù.

Questa rappresentazione non ha solo una funzione decorativa, ma nasconde un mondo ed una realtà più grande descritta nella vita di San Giovanni di Matha. Il santo, già docente di Teologia, intorno a 40 anni lascia il suo mondo per dedicarsi con maggiore vigore al servizio dei fratelli. Scegliendo il sacerdozio si pose nelle mani del Cristo per meglio comprendere quella volontà che doveva uniformare tutta la propria esistenza. Ed il segno non tardò a mostrarsi: in quel lontano 28 gennaio 1193, a Parigi, durante la sua Prima messa gli apparve la visione, descritta in quella rappresentazione.

Gli storici si sono, spesso, interrogati sul senso di tale privilegio ed ad essi, padre Cosimo Mazzarisi, studioso ed innamorato del santo, scrisse : “la risposta più semplice è che Giovanni era lo strumento adatto, preparato” (P. C. Mazzarisi, L'ordine Trinitario nella Chiesa e nella storia, Marietti, Roma, 1963, pg.85). E visti gli esiti tale spiegazione è la più plausibile.

Da quel momento, nel corso del suo procedere, comprese che la sua strada sarebbe stata quella della Redenzione degli schiavi ed ad essa, con spirito innovativo e forte, si dedicò con tutto il suo cuore.

Tale apostolato non fu dei più semplici, anzi mostrava molte incognite ed era, particolarmente, pericoloso per gli alti rischi che correvano, spesso, questi religiosi che, animati dalla sola fede in Dio, compivano grandi opere in funzione della libertà, fisica e spirituale, delle persone poste in schiavitù, da loro riscattati mediante le elemosine raccolte. Per tale ragione, gli appartenenti alla famiglia fondata da San Giovanni de Matha, vivevano una vita molto dura fatta di penitenza e preghiera, pur di raggiungere il proprio fine:la liberazione dell'uomo dalle catene.

Unicità, altruismo, fede e coraggio dovevano animare il religioso trinitario che, recandosi nel Nord Africa o in Palestina, o in altre nazioni viveva molte difficoltà, pur di redimere il proprio fratello in difficoltà.

Nel 1998, l'Ordine ha compiuto i suo ottocento anni di storia e di fedeltà alla trasmissione di quel carisma, che il santo francese ha voluto trasmettere ai suoi religiosi, ed è identificato in quella rappresentazione. Questa visione chiamata il fatto-segno o anche il sigillo fondazionale sarà l'emblema della futura iconografia dell'Ordine della SS. Trinità. Ed è bello osservare come, da questo momento storico, come ritengono i più accreditati storici Trinitari, questo rappresentò un' esperienza, concreta e tangibile di Dio, che il santo volle onorare, con il suo lavoro, in soccorso del prossimo.

Nel 1198 presentò al Pontefice Innocenzo III la Regola che accoglieva, al suo interno il segreto di quella espressione privilegiata della Trinità e lo concretizzava nella più ferma realtà, fondando una struttura religiosa, con diversi finalità, espresse nella Redenzione degli schiavi, nei numerosi ospedali fondati e da un apostolato che impegnava non solo i religiosi, ma anche molti laici in quest'opera rivolta al prossimo.

E non è possibile capire la mens di questo santo se non si passa attraverso questa rappresentazione che è stata la scintilla di quell'amore, che lo ha infiammato per portare la Parola di Dio, nel suo mondo.

Ieri come oggi e dopo il Concilio Ecumenico Vaticano II, i religiosi trinitari sono dediti alla nuove forme di schiavitù che cercano di tenere vincolato l'uomo alle proprie difficoltà e che potranno essere vinte guardando il volto di Cristo, espresso in quella visione, segno concreto dell'amore del Padre per l'umanità sofferente.

 

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