Città del Vaticano , 09 October, 2019 / 9:00 AM
Ecco la seconda parte della riflessione su John Henry Newmann. Qui la prima parte
Dopo gli studi nel Trinity College a Oxford, Newman fu eletto Professore dell’Oriel College e divenne ministro anglicano e più tardi vicario di St. Mary’s, la chiesa dell’Università di Oxford. Nell’Oriel College fece conoscenza di alcuni rappresentanti della High Church dell’anglicanesimo e cominciava ad occuparsi dei Padri della Chiesa, nei quali scopriva la freschezza della Chiesa antica che doveva affermarsi in mezzo a un mondo pagano. Nel contempo fu sempre più insoddisfatto della situazione spirituale della sua confessione e preoccupato dall’influsso crescente del liberalismo a Oxford e in tutta l’Inghilterra.
Per combattere questi sviluppi, nel 1833 Newman iniziò, insieme con alcuni amici, il cosiddetto Movimento di Oxford. I suoi promotori denunciavano il distacco della nazione inglese dalla pratica della fede e lottavano per un ritorno al cristianesimo antico, attraverso una solida riforma dogmatica, liturgica e spirituale. Newman riassume il principio fondamentale del Movimento, quello dogmatico, con queste parole: “Ciò che combattevo era il liberalismo, e per liberalismo intendo il principio antidogmatico con tutte le sue conseguenze... Dall’età di quindici anni il dogma è stato il principio fondamentale della mia religione: non conosco altra religione; non riesco a capire nessun’altra specie di religione; una religione ridotta a un semplice sentimento per me è un sogno e un inganno. Come non ci può essere amore filiale senza l’esistenza di un padre, così non ci può essere devozione senza la realtà di un Essere Supremo”.
Con la pubblicazione di trattati di facile divulgazione, il Movimento di Oxford cercava di penetrare nella coscienza degli ecclesiastici e dei laici, posta fra due estremi: da una parte il sentimentalismo, che riduceva la fede a puro sentimento, e dall’altra il razionalismo, che negava le realtà soprannaturali della fede. Newman si rendeva conto che la polemica contro il liberalismo religioso aveva bisogno di un saldo fondamento dottrinale. Fu convinto di aver trovato questo fondamento negli scritti dei Padri i quali ammirava come i veri araldi della Verità, i rappresentanti di quella fede che, secondo Newman, “era pressoché scomparsa dalla terra e che deve essere ripristinata”. Mentre il Movimento di Oxford si diffondeva, Newman sviluppava la teoria della Via media. Con essa intendeva dimostrare che la Comunione anglicana era l’erede legittima della prima cristianità, in quanto non presentava né gli errori dottrinali dei protestanti né le corruzioni e gli abusi che pensava di vedere nella Chiesa di Roma.
Ma studiando la storia della Chiesa del quarto secolo, Newman faceva una grande scoperta: trovò rispecchiata nei tre gruppi di allora la cristianità del suo secolo – negli ariani i protestanti, nei romani la Chiesa di Roma, nei semi-ariani gli anglicani. Poco dopo lesse un articolo in cui si paragonava la posizione dei donatisti africani al tempo di Agostino con quella degli anglicani. Newman non poteva più dimenticare la frase “Securus iudicat orbem terrarum”, citata dal Vescovo di Ippona, ovvero, nella traduzione dello stesso Newman: “La Chiesa universale, nei suoi giudizi, è sicura della verità”. Egli capiva che nella Chiesa antica i conflitti dottrinali venivano risolti non soltanto in base al principio dell’antichità, ma anche in base alla cattolicità: il giudizio della Chiesa intera è decreto infallibile. Di conseguenza, “la teoria della Via media era assolutamente polverizzata”.
“L’unico ovile di Cristo”
Fedele al principio di conformarsi alla Verità, Newman decise di ritirarsi a Littlemore, un piccolo villaggio vicino a Oxford, per alcuni anni di preghiera e di studio. Iniziava a tirare le fila di una riflessione che lo accompagnava già da anni: se la Chiesa cattolica romana era nella continuità apostolica, come giustificare quelle dottrine che non sembravano far parte del patrimonio di fede dell’antica cristianità? Il principio dell’autentico sviluppo, che egli poi elaborò, gli permise di rendere ragione dei vari “nuovi” insegnamenti della Chiesa cattolica: i dogmi più tardi erano sviluppi autentici della Rivelazione originale. Questo argomento, decisivo per il suo futuro, egli ha illustrato nel suo famoso saggio su Lo sviluppo della dottrina cristiana.
In questo capolavoro teologico si trova un passo in cui Newman, rigettando l’idea secondo la quale la verità e l’errore in materia di religione sarebbero solo questioni opinabili, riafferma la sua convinzione di fondo: “Vi è una verità; vi è una sola verità; l’errore religioso è per sua natura immorale; i seguaci dell’errore, a meno che non ne siano consapevoli, sono colpevoli di esserne sostenitori; si deve temere l’errore; la ricerca della verità non deve essere appagamento di curiosità; l’acquisizione della verità non assomiglia in nulla all’eccitazione per una scoperta; il nostro spirito è sottomesso alla verità, non le è, quindi, superiore ed è tenuto non tanto a dissertare su di essa, ma a venerarla; la verità e l’errore sono posti davanti a noi per prova dei nostri cuori; scegliere fra l’una e l’altro è un terribile gettar le sorti da cui dipende la nostra salvezza o la nostra dannazione… Questo è il principio dogmatico, che è principio di forza”.
Mentre Newman procedeva con lo studio sullo sviluppo della dottrina cristiana, comprese che la Chiesa di Roma era la Chiesa dei Padri. Nell’Apologia scrive in proposito: “Ero indotto a esaminare più attentamente un’idea che senza dubbio era nel mio pensiero da molto tempo, e cioè la concatenazione degli argomenti, mediante la quale la mente ascende dalla sua prima idea religiosa a quella finale; e arrivai alla conclusione che, in una vera filosofia, non vi era via di mezzo tra l’ateismo e il cattolicesimo, e che uno spirito pienamente coerente, nelle circostanze in cui si trova quaggiù, deve abbracciare o l’uno o l’altro”. Il 9 ottobre 1845 egli abbracciò la fede cattolica e fu ricevuto dal beato Domenico Barberi, un passionista italiano, nella piena comunione della Chiesa cattolica, che definì allora “l’unico ovile di Cristo”.
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