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Crisi del sacerdozio, la risposta è Cristo. Parola di Benedetto XVI e dei suoi allievi

Benedetto XVI durante un pranzo dello Schuelerkreis del 2007

La risposta è Cristo. Lo dice la teologia di Joseph Ratzinger / Benedetto XVI, tutta centrata sulla verità. E lo dicono, seguendo il maestro, i suoi allievi, i membri del vecchio e del nuovo Schuelerkreis, che per la prima volta prendono parola a Roma in un simposio pubblico, con una dichiarazione finale sul sacerdozio.

Joseph Ratzinger non ha mai voluto creare una scuola teologica. Troppo umile per pensare di poter essere un maestro. Eppure, intorno a lui si è radunato un circolo di studenti, il Ratzinger Schuelerkreis, coordinato da padre Stephan Horn, che di Ratzinger era stato assistente. Ogni anno, questo circolo si è incontrato con Ratzinger da quando il loro maestro era diventato arcivescovo di Monaco, e poi prefetto della Congregazione della Dottina della Fede, e poi Papa. Nonostante gli impegni, Benedetto XVI è rimasto un professore, amante del dibattito e della ricerca della verità.

Quando è diventato Papa emerito, non ha più presieduto gli incontri. Ma ha continuato a guidarli. E, nel frattempo, ai vecchi dottorati si erano affiancati nuovi e giovani studenti, che della teologia di Ratzinger si erano innamorati. Sono stati costituiti in un circolo, il “Nuovo Schuelerkreis”, che ha tenuto già vari simposi, mentre la Fondazione Ratzinger e poi la Biblioteca Ratzinger ha dato ulteriore impulso allo studio del pensiero di Benedetto XVI. Per la prima volta, il 28 settembre, hanno tenuto un simposio pubblico a Roma, dopo l’incontro privato annuale che c’è con i membri dello Schuelerkreis.

La crisi del sacerdozio

Il tema scelto era quello del sacerdozio. Tema cruciale, cui gli studenti di Benedetto XVI guardano con attenzione, considerando anche il contesto da cui molti di loro provengono: quella Chiesa di Germania da cui venne la dichiarazione di Colonia del 1989 che puntava a concedere la comunione ai divorziati risposati, e che ora vuole celebrare un sinodo per ridiscutere i temi della dottrina della Chiesa.

La convinzione è però quella di dover guardare prima di tutto al ruolo del sacerdote. Dice ad ACI Stampa il Cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, che “la crisi del sacerdozio è una crisi di identità, e ritrovare l’identità teologica è molto importante”.

Il Cardinale Koch ricorda che “Benedetto XVI ha scritto un volume intero sul sacerdozio, di 900 pagine, approfondendo molto questa tematica nella visione del Concilio Vaticano II”. Per Benedetto XVI – ha aggiunto – “il sacerdote è in primo luogo l’annunciatore della Parola di Dio, ma è anche colui che celebra i sacramenti. Benedetto XVI ha molto cara l’espressione di Sant’Agostino, che ricorda come nella Bibbia Giovanni il Battista sia chiamato voce, mentre Gesù è chiamato Parola”.

Le due giornate di Schuelerkreis

La seconda parte del Simposio è stata pubblica, e ha visto una partecipazione notevole, con tantissime richiesta. Ma cosa è successo il 27 settembre, quando membri dello Schuelerkreis e del Neuer Schuelerkreis si sono riuniti?

Il professor Christoph Ohly, tra gli organizzatori della due giorni, ha spiegato ad ACI Stampa che ci sono state tre relazioni, che hanno portato ad un dibattito animato ed approfondito.

“La prima relazione – ha detto – è stata tenuta da padre Vincent Twomey, verbita irlandese, membro dello Schuelerkreis, il quale ha analizzato l’ultimo scritto di Benedetto XVI sugli abusi nella Chiesa. Padre Twomey ha evidenziato che lo scritto è diviso in tre parti, di cui la parte preponderante è quella che riguarda l’assenza di Dio. Però, ha notato, le critiche non hanno compreso la centralità di questa parte. Giustamente, Benedetto XVI ha notato che le critiche riguardano proprio l’assenza di Dio”.

La seconda relazione è stata fatta dall’abate di Heiligenkreuz Maximilan Heim, membro del Neuer Schuelerkreis. Questi ha parlato degli impedimenti alla vocazione sacerdotale, che si sostanziano soprattutto nella mancanza di una cultura dell’adorazione e del senso del sacro. Ma – ha aggiunto il professor Ohly – l’abate Heim “ha anche indicato le grandi porte per arrivare alla vocazione, che sono la preghiera, la santità, l’accompagnamento spirituale per i giovani, una dottrina chiara, la predicazione forte, la vita sacramentale”.

Infine, ha preso la parola il professor Karl-Heinze Menke, teologo molto stimato da Benedetto XVI. Si prevedeva tenesse una relazione sul “Sacerdozio ministeriale nella Chiesa”, ha piuttosto voluto parlare della crisi della Chiesa nella prospettiva tedesca. D’altronde, il dibattito in Germania, con la “tirata d’orecchi” della Congregazione dei Vescovi sui progetti sinodali del Cardinale Marx, è entrato con forza proprio nel tema del sacerdozio. Il professor Ohly ha riferito che il professor Menke ha fatto una analogia tra la situazione delle Chiesa in Germania e le Cinque Piaghe della Chiesa delineate dal Beato Antonio Rosmini (la divisione del popolo dal clero; l’insufficiente educazione del clero; la disunione dei vescovi; la nomina dei vescovi abbandonata al potere laicale; e la servitù dei beni ecclesiastici).

Il professor Menke – spiega il professore Ohly “vede nella Cristologia l’antidoto a queste piaghe: se noi non confessiamo Cristo come il Dio incarnato, che ha sofferto e che è risorto come figlio di Dio, non si capisce poi più il senso per la Chiesa”. Il professor Menke ha anche messo in luce il pericolo di funzionalismo che si insinua tra i ranghi della Chiesa.

La sessione pubblica del Ratzinger Schuelerkreis

La sessione pubblica del 28 settembre si è conclusa con una dichiarazione di tutti i partecipanti, dedicata proprio al ruolo del sacerdote, che va proprio nella direzione di rimettere al centro Cristo. “In tempi di crisi e di dolorosa purificazione ecclesiale – sottolineano i partecipanti – non sono primariamente le riforme strutturali a portare guarigione e aiuto, ma la testimonianza della fede autenticamente vissuta. Solo quando lo sguardo comune si orienta verso Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, la Chiesa può rinnovarsi”.

I partecipanti ricordano che la teologia di Ratzinger afferma chiaramente che “nel centro interiore della Chiesa vi sono quelle persone che vivono una vita di santità” , e per questo c’è da essere grati “per ogni testimonianza di questa santità, nel matrimonio e nella famiglia, nella vita consacrata e in tutte le altre forme presenti anche oggi nella Chiesa”.

Il sacerdote, dicono i membri dello Schuelerkreis, “non è un funzionario; piuttosto, adempie la sua missione proveniente da Dio essendo Cristo”. Insomma, “il sacerdote, in modo sacramentale, rappresenta Cristo come il Buon Pastore”, e “in questa relazione personale tra Cristo e la Chiesa, tra il sacerdote e il credente, secondo la dottrina della Chiesa, risiede il motivo fondamentale del fatto che il sacerdote rappresenta sacramentalmente Cristo. Egli non rappresenta Cristo come farebbe un ambasciatore; si tratta piuttosto di una rappresentazione reale, per la quale il criterio decisivo è la sequela della croce”.

Per questo motivo, la presenza di Cristo nella vita del sacerdote deve essere “riconoscibile ed efficace nella vita quotidiana”, ed è da qui che vengono “gli obblighi di obbedienza e di celibato per il Regno dei Cieli, obblighi che sono l’espressione umana e spirituale della conformazione sacramentale del sacerdote a Cristo. Di conseguenza, l’ordinazione sacerdotale implica la sequela personale di Cristo, mentre il peccato è lo scandalo che oscura la sua credibilità”.

Parlando durante la sessione pubblica, il professor Kal Heinz Menke ha ricordato che “il ministero sacramentale nella Chiesa è oggetto di critica – non solo a partire dallo scandalo sugli abusi e dalle nuove discussioni scatenatesi sul celibato o sull’ordinazione delle donne”, in quanto “esistono tendenze teologiche che mettono in discussione la sacramentalità della Chiesa in generale e la differenziazione tra sacerdozio ministeriale degli ordinati e sacerdozio comune di tutti i battezzati”.

La professoressa Marianne Schlosser ha sottolineato a sua volta che “secondo la concezione cattolica, l’ordinazione sacerdotale significa non solo il conferimento di una funzione nella Chiesa, ma anche la chiamata alla sequela personale di Cristo, il Buon Pastore”. Per questo, aggiunge, “la vita celibe sembra essere conveniente sotto molti aspetti (Presbyterorum Ordinis 16): è il modo di vivere di Gesù che ha dato la vita per l’umanità fino alla morte”. Inoltre, “il celibato è una testimonianza eloquente della fedele speranza nella vita eterna. Rinunciando al matrimonio e alla propria famiglia, nel sacerdote deve crescere l’amore generoso per la famiglia di Cristo, come pure l’adesione personale al Signore”.

La relazione di padre Twomey

Di particolare interesse è la relazione di padre Twomey durante la parte riservata del Ratzinger Schuelerkreis del 27 settembre. Padre Twomey ha dedicato la sua analisi al testo che Benedetto XVI ha scritto sulla crisi degli abusi sessuali da parte del clero. Testo che non è stato esente da attacchi e critiche, cui Benedetto XVI ha risposto con una lettera in cui notava che la questione di Dio era centrale nel suo testo, eppure non veniva mai menzionata dai suoi critici.

Lo sottolinea anche padre Twomey, che sottolinea di essere diventato più critico sul testo ad una lettura sistematica semplicemente perché ha una parte argomentativa in alcuni casi deboli, che può essere soggetta ad attacchi, come è successo. Ma la verità è che il testo viene condiviso parola per parola, così come le critiche possono essere facilmente smontate.

(La storia continua sotto)

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Le critiche si sono concentrate soprattutto sulla prima parte del testo, quella in cui si parla di come la rivoluzione sessuale del 1968 abbia influito sull’incidenza degli abusi.

Padre Twomey afferma con forza che Benedetto XVI non ha negato che ci fossero abusi precedentemente al 1968, e sapeva certamente delle severe pene sugli abusi previste dal codice del 1917”, e che allo stesso tempo “nessuno che abbia vissuto gli anni Sessanta può negare che la rivoluzione sessuale caratterizzò un cambiamento di epoca”, e prova ne sono “le molte organizzazione che fiorirono negli anni Settanta per promuovere la pedofilia come una opzione accettabile, non infrequentemente con il supporto di sacerdoti cattolici”.

Il professor Twomey ci tiene a mettere in luce che Benedetto XVI ha sottolineato “il collasso della teologia morale cattolica del tempo, che ha reso la Chiesa senza difese di fronte a questo massivo attacco culturale contro la morale tradizionale negli anni Sessanta e Settanta”.

Questa teologia morale nega “che alcun atto possa essere di se stesso intrinsecamente male” e dunque “nega norme assolute”, un principio che, unito ad una comprensione della sessualità che considera la fertilità come un accidente dell’atto coniugale, ha portato all’emergere di una nuova moralità sessuale in contraddizione con la tradizione morale cattolica”.

Per provare queste affermazioni, il professor Twomey ricorda lo studio commissionato dalla Catholic Theological Society of America, il cosiddetto Kosnik Report, che in 322 pagina punta a mostrare che “la teologia contemporanea stava andando oltre l’approccio tradizionale basato su datate nazioni di moralità e sessualità”, fornendo scuse per masturbazione convivenza, adulterio, omosessualità e anche bestialità, e divenendo però un approccio standard all’insegnamento della teologia morale.

C’era poi la questione dei club gay all’interno dei seminari. Padre Twomey sottolinea che la Santa Sede mandò due visite apostoliche, che non ebbero i risultati sperati: la prima fallì di fronte ad una coltre di silenzio, la seconda non ebbe alcun risultato tangibile perché “la nomina di vescovi in accordo con il criterio di conciliarità” aveva portato vescovi che non prendevano provvedimenti.

Ma è la questione di Dio quella centrale. La morte di Dio doveva preconizzare una nuova era di libertà, ma “in realtà ha delineato la fine della libertà”, perché “se non c’è scopo nella vita, nessuno scopo fisso, nessun modo di distinguere bene e male, non c’è vera libertà”.

E così, si ha un mondo occidentale in cui “Dio è assente dalla vita pubblica”, il male è “dato per scontato”, e dunque il danno diventa incalcolabile, come è successo con la pedofilia, che da quando fu teorizzato fosse legittima si è diffusa sempre di più.

Padre Twomey nota che c’è il rischio di dare per scontato di essere i signori della fede invece di “essere rinnovati e guidati dalla fede”, mentre la Chiesa oggi è “ampiamente considerata come un certo tipo di apparato politico”; e se ne parla in categorie quasi esclusivamente politiche, cosa che si applica anche ai vescovi, i quali formulano le loro idee della Chiesa del domani quasi esclusivamente in termini politici”.

Per Benedetto XVI, nota Twomey, la dimenticanza di Dio non è “un” problema, ma è “il problema”. Le note di Benedetto XVI sugli abusi non tornano su battaglie perdute, perché la questione della teologia morale è un tema attualissimo, e questo “è evidente se si guardano le controversie intorno al Sinodo dei vescovi sulla famiglia”, mentre è evidente che “ la causa dello smantellamento dell’Istituto Giovanni Paolo II per il Matrimonio e la Famiglia quest’anno” deriva proprio dalla interpretazione dell’Amoris Laetitia”.

È stata messa sotto accusa anche l’Humanae Vitae di Paolo VI, perché distante dalla “vita reale”. Ma quell’enciclica fu uno spartiacque, e il modo in cui fu ricevuta fu “prima di tutto un rifiuto dell’autorità della Chiesa di insegnare principi morali”.

Ma, come Ratzinger mette in luce, è “il significato finale degli atti umani a riguardare la salvezza eterna o la dannazione”.

Ed è per questo, ha concluso Twomey, che le note di Benedetto XVI “colpiscono le profondità della presente crisi, che è in ultima analisi una crisi della fede nell’esistenza del Dio trascendente. Una crisi in cui la primordiali forze di bene e male si confrontano l’una contro l’altra a quasi ogni livello della Chiesa”.

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