Washington, 20 July, 2019 / 4:00 PM
Si è tenuto dal 16 al 18 luglio a Wasghinton il secondo ministeriale degli Stati Uniti sulla libertà religiosa. Ha partecipato l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, “ministro degli Esteri” vaticano, con l’arcivescovo Christophe Pierre, nunzio apostolico negli Stati Uniti.
È l’evento principale della settimana diplomatica della Santa Sede. Tra gli altri eventi: l’incontro del nunzio in Armenia con il presidente, la decisione dei vescovi del Costa Rica di non partecipare più al dialogo nazionale nel Paese, il commento della Santa Sede sul rapporto ONU sulla fame nel mondo. E un evento sulla libertà religiosa nel mondo, collegato alla presentazione del rapporto commissionato dal governo britannico.
Di cosa si è parlato al ministeriale USA sulla libertà religiosa?
Per il secondo anno consecutivo, la Segreteria di Stato statunitense organizza un ministeriale sulla libertà religiosa con esperti, membri della società civile, ambasciatori. Partecipa anche la Santa Sede, in un anno caratterizzato anche dalle celebrazioni per il 35esimo anniversario dell’apertura delle piene relazioni diplomatiche tra Stati Uniti e Santa Sede.
L’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati, è intervenuto proprio all’apertura di una mostra dello US Diplomacy Center per l’anniversario. L’arcivescovo Gallagher ha sottolineato che le relazioni sono “forti e solide”, e ne ha fatto risalire l’inizio a due secoli prima che ci fosse un accordo formale, finalizzato da San Giovanni Paolo II e l’allora presidente Usa Ronald Reagan. Fu infatti George Washington, primo presidente degli Stati Uniti, ad assicurare a Papa Pio VI piena libertà nella nomina dei vescovi, mentre i presidenti degli Stati Uniti hanno sempre avuto regolari consultazioni e scambi con Roma.
L’arcivescovo Gallagher ha poi ricordato la visita di Papa Francesco negli Stati Uniti nel 2015, in cui ha enfatizzato come la libertà religiosa sia un principio che definisce gli Stati Uniti. “Dobbiamo tutti essere vigili nel preservare e difendere quella libertà”, ha detto l’arcivescovo Gallagher.
Durante il suo intervento al ministeriale, l’arcivescovo Gallagher ha sottolineato l’esigenza di continuare a dialogare dopo l’incontro, per “sviluppare mutuo rispetto e comprensione per discutere il ruolo dei leaders religiosi e quello degli Stati nel proteggere e promuovere la la libertà religiosa.
L’arcivescovo Gallagher ha sottolineato che “la religione il dibattito religioso non può essere estirpato dal dibattito pubblico”, e che “forse parte dei problemi che stiamo affrontando oggi è dovuto a un tentative di mantenere la religion private, creando in questo modo una sorta di doppia vita”, vale a dire una vita pubblica che segue lo Stato secolare e la vita private, che è “l’area chiusa del credo personale”.
La Santa Sede, ha aggiunto il “ministro degli Esteri” vaticano, è “impegnata attivamente nello sviluppare una unificata e forte voce collaborative tra i leader religiosi”, e ha posto come esempio la dichiarazione di Abu Dhabi, in particolare nel suo sviluppare il concetto di cittadinanza, cruciale nei Paesi arabi.
L’arcivescovo Gallagher ha poi ricordato il viaggio di Papa Francesco in Marocco, e in particolare la dichiarazione con cui è stato riconosciuto l’unico e sacro carattere di Gerusalemme.
Quindi, ha sottolineato che c’è bisogno ci sia “mutua autonomia e costruttiva collaborazione tra comunità religiosi e lo Stato”, perché “sebbene indipendenti, entrambe le entità stanno lottanto per promuovere il benessere della persona umana, che è allo stesso tempo religiosa e cittadina”.
C’è grande preoccupazione, da parte della Santa Sede, per “l’offuscamento della libertà di esercitare la religione liberamente in alcuni Paesi del mondo”.
Da questo punto di vista, l’arcivescovo Gallagher ha rimarcato “il ruolo indispensabile dell’educazione religiosa” come una “chiave per la prevenzione di ogni radicalizzazione che potrebbe portare all’estremismo”.
Quindi, la Santa Sede nota che la condanna contro l’abuso della libertà religiosa deve essere accompagnato da un reale impegno nel “fermare il mercato e il flusso di armi e il finanziamento che nutre queste atrocità contro obiettivi religiosi, siano essi personi e siti”.
Infine, la Santa Sede chiede che “i leaders religiosi siano coinvolti nello sforzo collaborative con gli Stati e nell’organizzazione internazionale nella ricerca di soluzioni effettive per evitare ulteriori abusi alla libertà di religione”.
Nel suo intervento del 17 luglio, Callista Gingrich, ambasciatore degli Stati Uniti presso la Santa Sede, ha annunciato che Stati Uniti e Santa Sede organizzeranno insieme un summit sulla libertà religiosa. L’evento avrà luogo il 2 ottobre e enfatizzerà “l’importanza di lavorare con organizzazioni di fede per supportare e proteggere la libertà religiosa”. L’evento – ha aggiunto l’ambasciatore – è “naturale seguito del ministeriale, il più grande evento di libertà religiosa nel mondo”.
Gingrich ha detto che il tema della libertà religiosa è al centro del suo lavoro di raccordo con la Santa Sede e che gli Stati Uniti sono pienamente impegnati nella difesa della libertà religiosa e “non lasceranno mai che persone di fede sia perseguitate, represse o anche solo meramente tollerate da governi e società”
Persecuzione dei cristiani: la posizione della Santa Sede
Lo scorso 15 luglio, l’Ambasciata del Regno Unito presso la Santa Sede ha lanciato la Persecution of Christians Review con un panel presso la Basilica di San Bartolomeo all’Isola, la chiesa dedicata ai martiri del XX secolo. Monsignor Antoine Camilleri, sottosegretario per i rapporti con gli Stati, ha partecipato al panel, e sottolineato che l’iniziativa è “un esempio tangibile della continua preoccupazione sul problema della discriminazione e persecuzione a causa di credo religioso e la determinazione di aiutare a portare più grande consapevolezza in particolare sulla tragica situazione dei cristiani in molte parti del mondo.”
Monsignor Camilleri ha sottolineato che “l’ingiusta discriminazione, la violenza e la persecuzione di ogni essere umano innocente, specialmente sulle basi di credo e religione, è moralmente inaccettabile”, e invece negli ultimi anni “abbiamo assistito ad attacchi contro individui e gruppi di diversa appartenenza religiosa da parte di terroristi, estremisti e fanatici religiosi”.
La persecuzione religiosa è sperimentata da diverse comunità religiose e “tristemente, la maggior parte di questi crimini” sembra rimanere “impunita, o al limito solo blandamente ammonita dalla comunità internazionale”, spesso dando scarsa attenzione.
La Santa Sede, ha spiegato monsignor Camilleri, non è preoccupata solo per i cristiani che soffrono, ma anche per tutti quanti soffrono di persecuzione religiosa, in quanto questa è “un attacco alla più fondamentale libertà della persona umana, vale a dire la possibilità di aderire liberamente, e senza paura di persecuzione, ad una religione”.
Ovviamente, la difficile situazione dei cristiani che soffrono tortura e morte è “particolarmente dolorosa per quanti di noi condividono con loro un particolare legame spirituale”.
Monsignor Camilleri ha anche sottolineato che “sebbene la legge internazionale stabilisce che gli Stati portano il dovere primario di proteggere i cittadini”, i leader religiosi hanno una “particolare responsabilità” nel promuovere una coesistenza pacifica “attraverso il dialogo e la comprensione”, in modo che le loro comunità e i loro seguaci possano rispettare tutti i diversi background religiosi piuttosto che fomentare aggressione e violenza”.
(La storia continua sotto)
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Un esempio di questa collaborazione, ha detto il “viceministro degli Esteri” vaticano, è dato dalla dichiarazione di Abu Dhabi, in cui Papa Francesco e il Grande Imam di al Azhar “dichiarano risolutamente che tutte le religioni non devono mai incitare alla guerra, ad attitudini di odio, ostilità ed estremismo, né devono mai incitare alla violenza e allo spargimento di sangue”.
Monsignor Camilleri ha quindi parlato della “manipolazione politica della religione”, tema su cui va data particolare attenzione, non solo come contrasto ai gruppi estremisti, ma anche come riflessione da parte dei governi per comprendere “fino a che punto sono realmente impegnati nella difesa della libertà religiosa e nel combattere la persecuzione basata sul credo religioso”.
Tra l’altro, nota monsignor Camilleri, ci sono “altre forme di discriminazione religiosa e persecuzione che sono forse meno radicali dal punto di vista della persecuzione fisica, ma che allo stesso tempo mettono a rischio il pieno godimento della libertà di religione e della pratica o espressione di quella convinzione, sia in privato e in pubblico”.
Senza peli sulla lingua, monsignor Camilleri sottolinea di riferirsi a “una crescente tendenza, anche in democrazie stabili, di criminalizzare o penalizzare i leader religiosi perché presentano i principi base della loro fede, specialmente sui temi di vita, matrimonio e famiglia”.
Camilleri ha sottolineato che “il diritto alla libertà religiosa è radicato nella dignità della persona umana, e non è solo l’esito di una cultura giuridica e politica, ma anche una condizione per la ricerca della verità che non si impone con la forza”.
Le religioni possono dunque essere un importante “fattore per l’unità e la pace nella famiglia umana”.
Monsignor Camilleri si è riferito anche al concetto di cittadinanza, perché “è vero che la costituzione della maggioranza delle nazioni afferma che tutti i cittadini, senza distinzione di razza, religione, sesso o etnia, sono uguali in diritti e doveri”, ma è anche vero che “il risorgere del nazionalismo in alcune nazioni, insieme all’aggressiva affermazione della identità religiosa, può facilmente portare a fondamentalismi religiosi”.
Senza mai menzionare esplicitamente alcun Paese – ma il riferimento al Medio Oriente è chiaro -, monsignor Camilleri sottolinea che “ci sono livelli di persecuzioni che possono essere considerati come una forma di genocidio, dove la presenza dei cristiani viene sistematicamente espunta da società e culture, anche dalle aree da cui sono originari”. Una aggressione che “non è solo un attacco alla coesistenza pacifica fondata sul pluralismo religioso, ma anche più fondamentalmente un attacco al concetto essenziale della uguale e inviolabile dignità di ogni persona umana”.
Conclude monsignor Camilleri: “Mantenere la presenza delle comunità cristiane, in particolare in quelle aree in cui non sono parte di un gruppo di maggioranza, è molto più che un atto simbolico: è una forte testimonianza di fede e di una testimonianza che la coesistenza pacifica di una pluralità di religione è possibile quando la dignità di ogni persona è rispettata.
Il rapporto sulla libertà religiosa commissionato dal ministero degli Esteri britannico e redatto dal vescovo Philip Mountstephen di Truro sottolinea che “le prove suggeriscono che atti di violenza e altre intimidazioni contro i cristiani stanno diventando sempre più diffusi” e che in parti del Medio Oriente e Africa si arriva quasi a parlare di genocidio.
Il rapporto nota che la cristianità è concentrata nel Sud globale, diffusa tra i più poveri e dunque è falsa la percezione che il cristianesimo riguardi soprattutto la società occidentale, e mette in luce che la persecuzione cristiana “non è certamente limita a contesti di maggioranza islamica” e che c’è l’idea che “per un numero di ragioni siamo rimasti ciechi a questo tema, in parte per una colpa post-coloniale. La sensazione che abbiamo interferito non invitati in alcuni contesti nel passato e non lo dovremmo fare di nuovo”.
L’ambasciatore del Papa in Armenia incontra il Primo Ministro
L’arcivescovo José Avelino Bettencourt, nunzio apostolico in Armenia, ha incontrato lo scorso 17 luglio il Primo Ministro Nikol Pashinyan. Secondo un comunicato del governo di Erevan, il primo ministro ha apprezzato gli “encomiabili sforzi del nunzio” nel rafforzare le relazioni tra Armenia e la Santa Sede e ha notato che “l’Armenia dà particolare importanza all’approfondimento delle relazioni bilaterali e allo sviluppo delle relazioni tra la Chiesa Apostolica Armena e la Chiesa Cattolica.
Non è da sottovalutare, a questo proposito, che la Chiesa Apostolica Armena ha un rappresentante permanente presso la Santa Sede, l’arcivescovo Khajag Barsamian, e che questi ha l’ufficio proprio nell’ambasciata armena presso la Santa Sede.
L’arcivescovo Bettencourt ha notato a sua volta che Armenia e Vaticano “hanno avuto una speciale relazione sin dall’indipendenza dell’Armenia” e di essere “felice di essere in Armenia in un periodo di cambiamenti storici”, sottolineando la volontà della Santa Sede di aiutare l’Armenia nello sviluppo.
Durante l’incontro, i due interlocutori si sono scambiate opinioni su come sviluppare ulteriormente le relazioni tra Armenia e Vaticano, e Pashinyan ha espresso gratitudine a Papa Francesco e alla Santa Sede per aver riconosciuto il genocidio armeno durante l’omelia dedicata al Centenario del Genocidio Armeno, cosa che ha dato un grande contributo al riconoscimento internazionale del genocidio armeno.
Santa Sede e Libano, incontro tra il nunzio e il presidente
L’arcivescovo Joseph Spiteri, nunzio apostolico in Libano, è stato ricevuto lo scorso 17 luglio dal presidente libanese Michel Aoun. Dopo l’incontro, il nunzio ha sottolineato che “la Santa Sede attribuisce grande importanza per la stabilità e l’unità del Libano” e ha appoggiato la candidatura del Libano al progetto delle Nazioni Unite per una Accademia di incontri e dialogo tra gli uomini.
Questo perché – ha detto il nunzio Spitieri – “la società pluralistica e multi-fede del Libano è un mondo in miniatura. Siamo riusciti a superare le tentazioni del vivere tra noi, e il vivere insieme è la nostra volontà per tutti”.
Il nunzio ha parlato dell’importanza del conoscersi e per questo della necessità di creare organizzazioni internazionali di incontri, una visione che è parte della mentalità del Libano, un Paese che è un “messaggio”.
Ci saranno anche cambi in nunziatura: monsignor Ivan Santus, finora incaricato di affari, passerà alla Segreteria di Stato Vaticana, mentre arriverà un uovo incaricato di affari.
La Santa Sede a New York sul ruolo dei giovani nella cura ecologica
Lo scorso 11 luglio, l’arcivescovo Bernardito Auza, osservatore permanente della Santa Sede alle Nazioni Unite, ha tenuto il discorso di apertura al “side event” Aspirazione dei Giovani e urgenza climatica, organizzato dalla Don Bosco Green Alliance e co-sponsorizzata dalla Missione Permanente di Samoa. L’evento era parte del forum di alto livello politico sullo sviluppo sostenibile sponsorizzato ogni anno dal Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite.
L’arcivescovo Auza ha parlato della necessità di una “solidarietà intergenerazionale” per la cura della casa comune e riconosciuto il coinvolgimento dei giovani nello sviluppare consapevolezza di temi ambientali. L’Osservatore della Santa Sede alle Nazioni Unite di New York ha anche lodato l’impegno dei giovani in un tempo in cui “così tanti vivono solo per il presente, in cui stili di vita consumistici permettono una cultura dello scarto e una crescente indifferenza per le sofferenze di tanti”
L’arcivescovo Auza ha infine chiesto di lavorare per una “ecologia integrale” che non metta da parte “parole gentili, un sorriso o un qualunque singolo gesto che sviluppi pace e amicizia.
I vescovi del Costa Rica non partecipano più al dialogo nazionale
Con un comunicato firmato da tutti i vescovi, la Conferenza Episcopale del Costa Rica ha reso noto che questi non parteciperanno più come garanti al dialogo nazionale tra governo e società civile.
Solo due vescovi rimarranno nel dialogo: il vescovo Javier Roman Arias, di Limon, per il dialogo nell’ambito dei trasporti, e il vescovo Oscar Fernandez Guillen, di Puntarenas, nel tavolo sui pescatori.
Il dialogo è stato promosso dalla presidenza del Costa Rica dopo le tensioni e le violenze tra indigeni ed agricoltori a causa di una legge del 1977. Lo scorso 3 luglio, Carlos Alvarado, presidente di Costa Rica, si era incontrato con l’Arcivescovo di San José Rafael Quiros per discutere, appunto, della partecipazione della Chiesa al dialogo nazionale.
La Santa Sede sul rapporto ONU sulla fame nel mondo
In questa settimana, è stato presentato il Rapporto 2019 sullo stato della sicurezza alimentare e della nutrizione nel mondo a New York da FAO, IFAD, UNICEF, World Food Program e Organizzazione Mondiale della Sanità. Il rapporto è parte del monitoraggio dei progressi verso il secondo obiettivo di sviluppo sostenibile, “Fame zero”.
Monsignor Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede verso gli organismi ONU sull’alimentazione, ha sottolineato con Vatican News che “l’umanità non ha fatto sufficientemente il suo dovere per i fratelli più poveri”, e che “il rapporto ci sta dicendo che le persone dietro questi numeri non hanno né un presente sereno né un futuro luminoso”.
Secondo il rapporto, ci sono circa 820 milioni di persone che non hanno avuto cibo a sufficienza, 9 milioni in più dello scorso anno, mentre un bambino su sette è sottopeso alla nascita e ci sono 148,9 milioni bambini al di sotto dei cinque anni malnutriti.
“La comunità internazionale – ha detto monsignor Chica Arellano – dovrebbe veramente fare di più. Manca la volontà, soprattutto nel togliere le cause dovute all’uomo, come i conflitti, la crisi economica e i cambiamenti climatici”.
La Santa Sede sull’inumazione di Franco
Le dichiarazioni del nunzio emerito in Spagna Renzo Fratini sull’esumazione dei resti di Francisco Franco “sono state espresse a titolo personale”. Lo sottolinea una nota del 17 luglio della Sala Stampa della Santa Sede.
La questione dell’esumazione era stata affrontata dal nunzio in una intervista con Europa Press in occasione del suo congedo. “Onestamente – aveva detto - ci sono così tanti problemi nel mondo e in Spagna, perché farlo risorgere? Lo hanno fatto risorgere. Sarebbe stato meglio lasciarlo in pace”
La Sala Stampa ricorda anche il nunzio “ha già smentito, a mezzo stampa, ogni intenzione di esprimere un giudizio su questioni politiche interne”.
Franco è attualmente sepolto nella Valle de los caidos, monumento nazionale dedicato ai caduti della guerra civile spagnola (1936-1939), ma lo scorso 4 giugno la Corte suprema spagnola ha deciso di sospendere la riesumazione dei resti di Francisco Franco, in attesa di valutare il ricorso della sua famiglia, che aveva espresso la volontà di portare le spoglie in uno spazio di loro proprietà nella cripta della cattedrale dell’Almudena di Madrid. Secondo l'esecutivo spagnolo, il cimitero di El Pardo, alla periferia di Madrid, dove è sepolta la moglie, garantiva condizioni di dignità e rispetto. Lo scorso agosto il governo socialista spagnolo aveva infatti approvato un decreto che apriva la strada alla riesumazione dei resti di Francisco Franco.
La Santa Sede ha già espresso la sua posizione in una lettera del Cardinale Pietro Paolin, segretario di Stato, alla vicepresidente del governo spagnolo, Carmen Calvo. La Sala Stampa della Santa Sede aveva fatto sapere che "il cardinale Pietro Parolin non si oppone alla riesumazione di Francisco Franco, se così deciso dalle autorità competenti; ma in nessun momento si è pronunciato sul luogo di sepoltura”.
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