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Un servizio di EWTN News

Diplomazia pontificia, il ruolo del diplomatico vaticano

Paolo VI durante il suo discorso alle Nazioni Unite, New York , 4 ottobre 1965

C’era stata persino l’idea di abolire i nunzi e di trasferirne le attività alle Conferenze Episcopali nazionali. Si trattava di un dibattito che nasceva con il Concilio Vaticano II, e con l’idea di valorizzare il ministero episcopale, equilibrando il Concilio Vaticano I che aveva esaltato il primato petrino e creare un nuovo bilanciamento di poteri. Paolo VI, però, non la vedeva così. Non si trattava di un mero incarico amministrativo. E lo spiegò nel motu proprio Sollicitudo Omnium Ecclesiarum, che quest’anno fa cinquanta anni.

Si tratta di un testo importantissimo per comprendere compiti e ruoli degli “ambasciatori del Papa”. Ma, soprattutto, per comprendere da dove nasce la ratio di tante azioni della diplomazia pontificia che, viste dall’esterno, potrebbero sembrare mera burocrazia. Fanno parte, invece, di una precisa necessità: quella di tutelare la Chiesa locale.

Ma che ci fossero due visioni in gioco era testimoniato dal fatto che il Cardinale Leo Suenenes, uno dei padri del Concilio Vaticano II, considerava i nunzi come “ispettori” che erano andati a controllare le Chiese locali, mentre Giovambattista Montini, negli Anni Trenta, insegnava agli allievi dell’Accademia Ecclesiastica che no, il nunzio non andava a togliere le libertà dei vescovi, ma piuttosto a garantirle.

Ed è un tema che si ritrova nella Sollicitudo Omnium Ecclesiarum.

Paolo VI parte proprio dalla necessità, da parte del Papa, di essere un pastore presente ovunque, vicino ai fedeli, ma anche verso i seguaci “che non sono di questo ovile”, perché “il nostro pensiero e la cura pastorale è rivolta pure a loro, perché si compia il desiderio del Signore, che si costituisca un solo gregge, un solo Pastore”.

L’inquadramento dei rappresentanti pontifici era parte dei compiti del Concilio. Non ispettori, ma piuttosto facilitatori del dialogo tra il Papa e i vescovi, perché è vero che si era inaugurata l’era dei viaggi internazionali dei Papi (e Paolo VI ne sapeva qualcosa), ma c’era bisogno di un contatto diretto e continuo.

Veniva da qui la necessità di un documento sui rappresentanti del Papa presso le Chiese e presso gli Stati, perché “è evidente che al movimento verso il centro e il cuore della Chiesa deve corrispondere un altro moto, che dal centro si diffonda alla periferia e porti in certo modo a tutte le singole Chiese locali, a tutti e singoli i pastori e i fedeli la presenza e la testimonianza di quel tesoro di verità e di grazia di cui Cristo Signore e Redentore ci ha resi partecipi, depositari e dispensatori”.

Un servizio che non era solo di rappresentanza del Papa di fronte ai vescovi, ma anche di fronte allo Stato, perché – spiegava Paolo VI – “è ben vero che le finalità della Chiesa e dello Stato sono di ordine diverso, e che ambedue sono società perfette, dotate, quindi, di mezzi propri, e sono indipendenti nelle rispettive sfere d’azione”, ma “è anche vero che l’una e l’altro agiscono a beneficio di un soggetto comune, l’uomo, da Dio chiamato alla salvezza eterna”.

Si tratta di un dialogo che “mentre mira a garantire alla Chiesa il libero esercizio della sua attività, rende certa l’Autorità civile degli scopi sempre pacifici e proficui intesi dalla Chiesa, e offre l’ausilio prezioso delle sue energie spirituali e della sua organizzazione per il raggiungimento del bene comune della società”.

Ma Paolo VI guardava anche alle organizzazioni multilaterali, con le quali la Santa Sede ha “molteplici rapporti e di varia natura giuridica”.

Il motu proprio di Paolo VI getta così, le basi, della moderna figura del nunzio apostolico. Ma le linee guida restano le stesse di sempre: permettere alla Chiesa di svilupparsi e di servire l’uomo, a partire proprio dalla presenza. È per questo che il nunzio è sempre arcivescovo: deve avere la possibilità di consacrare altri vescovi e sacerdoti, di creare una gerarchia ecclesiastica, di fare presente ovunque l’Eucarestia,

Quella della Santa Sede si configura così come una diplomazia della presenza. Diplomazia della presenza del Papa, diplomazia della presenza della Chiesa che permetta ai fedeli di avere il minimo indispensabile: l’Eucarestia.

Da qui nasce il lavoro del Cardinale Agostino Casaroli oltre la Cortina di Ferro, gli accordi con i governi comunisti per la nomina dei vescovi, le concessioni che servivano a garantire il minimo di vita possibile alla Chiesa Cattolica. Da qui nasce anche l’Accordo Provvisorio con la Cina per la nomina dei vescovi.

Ed è per questo che il ruolo dei nunzi è così importante e il loro compito non può essere demandato alla Conferenze Episcopali. Perché da una parte garantiscono la continuità della Chiesa e aiutano il Papa a scegliere i vescovi. Dall’altra, garantiscono la libertà della Chiesa parlando con i governi

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