Città del Vaticano , 08 July, 2019 / 2:00 PM
Catalizzatori di dialogo e di unità. Al termine di due giorni di incontro interdicasteriale presieduto da Papa Francesco, Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk, arcivescovo maggiore della Chiesa Greco Cattolica Ucraina, stabilisce in questa formula la missione della più grande delle Chiese sui iuris.
Lui, con i vescovi metropoliti della Chiesa Greco Cattolica Ucraina e i membri del Sinodo, si è riunito il 5 e il 6 luglio con i capi dicastero che si occupano della questione ucraina e il Papa. Contrariamente alle previsioni iniziali, Papa Francesco ha partecipato in entrambe le giornate, e non solo all’apertura. Ne è venuto fuori un dialogo che ha portato alcuni risultati: per la prima volta, il Papa ha fatto riferimento ad una “guerra ibrida” in Ucraina, per la prima volta in un comunicato della Sala Stampa della Santa Sede è stata usata la parola “guerra” e non quella “conflitto” per riferirsi alla situazione in Ucraina.
Parlando con ACI Stampa in una lunga intervista esclusiva a conclusione dell’incontro, il capo della Chiesa Greco Cattolica Ucraina ora guarda oltre: al sogno di costituire la sua Chiesa in un Patriarcato, alla necessità di essere “segno” ecumenico, alla volontà di andare oltre le ferite del passato. L’arcivescovo maggiore punta anche il dito contro un ecumenismo di colonizzazione, e rilancia il ruolo delle Chiese cattoliche di rito orientale come ponte verso quella piena unità che da sempre è l’obiettivo finale del dialogo ecumenico.
Beatitudine, come è stato questo incontro interdicasteriale con la Chiesa Greco Cattolica Ucraina?
È stato Papa Francesco in persona a volere questo incontro, e lo ha personalmente presieduto. Anzi, è stato con noi in entrambe le giornate, mentre all’inizio era prevista la sua presenza solo nel primo giorno. Questo ci ha dimostrato che il Santo Padre desidera avere un contatto con la fonte primaria della situazione in Ucraina, non solo con quanti “mediano” le informazioni.
Quale era l’obiettivo del Santo Padre?
Papa Francesco vuole che le Chiese cattoliche orientali crescano, si sviluppino e fioriscano. Spesso si sente dire, e anche il Papa lo ha detto, che l’uniatismo come metodo per ristabilire la piena e visibile unità della Chiesa di Cristo è esaurito. È vero. Lo sosteniamo anche noi orientali. Sappiamo che questo metodo, che fa spaccare una Chiesa e fa assorbire parte di questa spaccatura da un’altra Chiesa aumenta le divisioni, non aiuta a sanare le ferite. Ma spesso questa constatazione sull’uniatismo viene usato per mettere in dubbio l’esistenza stessa delle Chiese orientali cattoliche. Questo incontro ha dimostrato che il Papa distingue il metodo dell’uniatismo dalle Chiese orientali cattoliche. Noi non siamo un metodo. Siamo persone vive e Chiese vibranti. La Chiesa Greco Cattolica Ucraina si è sviluppata in modo straordinario in questi trenta anni, e il Papa ha apprezzato la vita e la vivacità della nostra Chiesa e ha voluto mostrare la sua volontà che questa Chiesa fiorisca.
Nel comunicato finale si è parlato di una "nuova metodologia" che è inaugurata con questo incontro. Quale è questa nuova metodologia?
Credo che questo incontro sia un grandissimo passo avanti: si è messa in marcia una metodologia nuova. Prima, per ascoltare una Chiesa cattolica orientale, si incontrava l’arcivescovo maggiore in persona, e lo incontravano il Papa o i capi dei dicasteri interessati. Erano incontri separati. Questo incontro è stato un incontro interdicasteriale, che ha unito il Papa e i capi dei dicasteri. E l’arcivescovo maggiore era accompagnato da 8 metropoliti (4 con sede in Ucraina, 4 in diaspora) e i membri del Sinodo permanente. Questo ha permesso di ascoltare ed essere ascoltati. I capi dicastero della Curia hanno potuto così constatare che alcune delle mie affermazioni non erano solo mie convinzioni, ma convinzioni di tutta la Chiesa Greco Cattolica Ucraina. Si è potuta vedere una sinodalità in azione. Nel suo discorso di apertura, Papa Francesco ha detto che non basta avere un Sinodo, ma bisogna essere Sinodo. Noi abbiamo presentato al Papa la nostra esperienza di essere Sinodo. Abbiamo così vissuto qualcosa di straordinario, potuto chiarire concetti ed intenzioni, e siamo stati così in grado di delineare progetti per il futuro.
Quali sono stati i punti focali delle vostre relazioni?
Tema centrale della nostra riflessione è stato la guerra in Ucraina. A tutti è chiaro che questa guerra è una aggressione straniera. A tutti è chiaro che l’Ucraina è una vittima. A tutti è chiaro che si tratta di una guerra ibrida, spesso dimenticata e oggetto di manipolazione. Abbiamo anche analizzato la profondità delle ferite che questa guerra sta producendo nella carne e nell’anima del popolo ucraino. Abbiamo evidenziato una crisi umanitaria, creata non solo da questa guerra. È una crisi che ha riaperto le ferite del nostro popolo.
Quali ferite?
Siamo un popolo post-genocidale: veniamo da un genocidio. Due Guerre Mondiali e l’Holodomor, ovvero lo sterminio per fame degli ucraini deciso da Stalin, hanno convertito il territorio dell’Ucraina in una terra impregnata del sangue di milioni di uomini e donne. L’Ucraina sta vivendo ora il periodo del risveglio della dignità. Ed è importante comprendere cosa si capisce quando si usa la parola “Ucraina”.
Cosa si comprende?
Con Ucraina, noi intendiamo la presenza e l’identità di un popolo con la sua storia, le sue ferite, ma anche le sue speranze. Pensiamo ad uno Stato soggetto di diritto internazionale, con delle frontiere riconosciute dalla comunità internazionale. Uno Stato che è bene comune della nostra nazione, multi-etnico e multireligioso, che vive una decolonizzazione, vale a dire che esce dalle periferie per diventare un soggetto di interlocuzione con i Paesi dell’Europa centro-orientale. I nostri aggressori, cioè la Federazione Russa, intendono invece con “Ucraina” un territorio oggetto di negoziati e di interesse geopolitico. Negano l’esistenza di un popolo, e considerano l’Ucraina come uno Stato provvisorio. Vogliono dimostrare, piuttosto, che è un “failed State”, uno Stato fallito. Sono concetti completamente diversi.
A cosa porta questa differenza di concetti?
La guerra in Ucraina risulta essere una guerra coloniale combattuta nel cuore dell’Europa, con l’intenzione di ristabilire un sistema ad immagine dell’Unione Sovietica, di ristabilire un impero. Per questo, abbiamo presentato al Santo Padre il desiderio degli Ucraini di difendere il Paese. Se l’aggressore riuscirà ad abbattere lo Stato ucraino, riscriverà le frontiere dell’Europa Orientale e sarà una tragedia per tutta l’Europa. Questo tema è stato tra i temi centrali nella discussione con il Santo Padre. In fondo, noi siamo i portavoce del nostro popolo. Un popolo che viene descritto come un popolo che non sa dove andare, se con l’Europa o con la Russia. Piuttosto, io preferisco usare una immagine per descrivere il nostro popolo: l’Ucraina è simile a un detenuto che molti anni ha speso in carcere ed è appena rilasciato, e allora da una parte si sente libero, ma dall’altra parte deve essere reintegrato nella società libera, e talvolta è ancora prigioniero di una visione dei contatti delle persone caratteristiche di una prigione. La prigione continua ad essere la sua casa.
Quindi l’Ucraina è ancora prigioniera?
È una nazione e un popolo in cammino verso la decolonizzazione. In questi anni, ha vissuto delle tappe che noi chiamiamo rivoluzioni. Sono state tre. La “Rivoluzione sul granito”, messa in atto dagli studenti nel 1990, che si è conclusa con la dichiarazione dell’indipendenza alla dissoluzione dell’Unione Sovietica nel 1991. Quindi, quella conosciuta come “Rivoluzione arancione” del 2004. E infine la “Rivoluzione della dignità” del 2013. Sono tappe verso la libertà, parte dello sforzo di questo popolo di ricostruire il suo giovane Paese libero.
Quale è il ruolo della Chiesa in questo cammino di liberazione?
La Chiesa è maestra di liberazione. Il desiderio di essere libero nasce infatti da una accresciuta coscienza della propria identità. Nei tempi dell’Unione Sovietica, la Chiesa, specialmente la nostra Chiesa clandestina, è stata una oasi della dignità umana, perché il mondo totalitario comunista annullava la persona umana, ma la Chiesa sempre era l’ultimo rifugio di questa dignità, dove uomo e donna potevano finalmente arrivare ad una coscienza della propria dignità come immagine e somiglianza di Dio. Questo fa sì che la dignità sia inerente all’essere umano, non è data da una legge statale o da una decisione politica. Nessuno la può togliere. La libertà è una manifestazione della dignità, ed è un fenomeno spirituale. Uno può essere libero anche se imprigionato, come dimostrano i nostri martiri, i confessori della nostra fede, che, pur essendo incarcerati, rimanevano liberi. Ma quelli che non hanno vissuto questa libertà spirituale devono essere aiutati: siamo spesso schiavi delle nostre cattive abitudini.
E come può aiutare la Chiesa?
La Chiesa aiuta a costruire giustizia sociale mettendo in luce ed applicando quattro pilastri della dottrina sociale: la dignità della persona, la solidarietà, la sussidiarietà e il bene comune. Per gli uomini liberi, lo Stato è bene comune. Per gli ucraini, lo Stato è l’unica garanzia di essere liberi nella nostra terra. Prima vivevamo nella nostra terra come cittadini di seconda classe.
Spesso Papa Francesco parla dell’ecumenismo pratico. Questo essere “maestra di liberazione” è un modo, per la Chiesa cattolica, di essere mezzo di unità con le altre confessioni?
(La storia continua sotto)
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Certamente. Ho parlato di una guerra coloniale contro l’Ucraina mossa da un aggressore che vuole che l’Ucraina rimanga la periferia di un grande impero. Io sono convinto che i grandi passi ecumenici vissuti in Occidente nella seconda metà del XX secolo sono dovuti al processo di decolonizzazione, perché quando la vita spirituale è stata liberata da interessi mondani e geopolitici, le Chiese hanno riacquistato la loro capacità di dialogare. Finito il principio “Cuius regio, eius religio”, Chiesa cattoliche e protestanti sono state libere di parlare di cose religiose. Il problema dell’ecumenismo in Ucraina, e in tutto il territorio dell’ex Unione Sovietica, è che non è ancora avvenuta la decolonizzazione. Le Chiese erano spesso schiave, strumentalizzate dal potere politico ateo per gli scopi che non erano interesse diretto della Chiesa. Perciò oggi in Ucraina risentiamo la mancanza della decolonizzazione quando parliamo dello sforzo ecumenico. Succede, così che le Chiese sono troppo prese dai pregiudizi dell’una contro l’altra. Soprattutto le Chiese ortodosse si vedono come agenti di un potere straniero. Questo toglie la libertà di essere aperti e parlare con franchezza. La gente comprende che ci sono differenze dogmatiche, teologiche e spirituali tra Cattolici, ortodossi e protestanti, ma non capisce perché gli stessi ortodossi si dividano tra loro.
Divisioni che sembrano accentuate dalla decisione del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli di garantire l’autocefalia per la Chiesa Ortodossa Ucraina, decisione che ha creato tensioni con il Patriarcato di Mosca, ma anche all’interno della comunione ortodossa…
La divisione nell’ortodossia è un grande problema per l’Ucraina. Garantendo l’autocefalia, il Patriarcato ecumenico ha provato a sanare queste divisioni, ma vediamo che la strada è ancora lunga da percorrere.
Quale la posizione della Chiesa Greco Cattolica Ucraina?
Sono trenta anni che siamo liberi, e abbiamo vissuto una trasformazione ecumenica. Quando cadde il Muro di Berlino e si dissolse la Cortina di ferro, la Chiesa Greco Cattolica Ucraina uscì dalle catacombe e poté vivere lo spirito del Concilio Vaticano II, e in particolare il suo spirito ecumenico. Ma la situazione ecumenica in Ucraina era molto aspra negli Anni Novanta. Venivamo visti come nemici, in particolare perché c’era una discussione tra le Chiese, dato che noi volevamo tornare nelle chiese che il regime di Stalin ci aveva tolto. Talvolta eravamo considerati nemici. Dopo trenta anni, siamo visti come fratelli. Durante l’incontro, ho presentato una indagine sociologica del Centro Razumkov che dimostra come l’apertura ecumenica dei greco cattolici è più alta di quella delle altre Chiese e comunità cristiane in Ucraina.
In che modo portate avanti l’impegno ecumenico?
Vogliamo curare i contatti e curare i rapporti con tutte le Chiese presenti in Ucraina, e in particolare con le Chiese ortodosse, che rappresentano il 71 per cento della popolazione cristiana. Cerchiamo ogni possibilità di collaborare, specialmente quando si tratta di aiutare la popolazione nel mezzo della guerra. Una bomba non fa distinzioni tra cattolici o ortodossi, tra persone che parlano ucraino, russo, polacco... uccide tutti. E così, cerchiamo di ritrovare unità nell’affrontare queste sfide dolorose.
Il Cardinale Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, ha relazionato sulle sfide ecumeniche. Che missione vi ha affidato?
Nella sua relazione, il Cardinale Koch si è concentrato ad analizzare il documento del nostro Sinodo “Missio Oecumenica”, per il quale ci ha ringraziato. Il documento parla dei principi dell’azione ecumenica della nostra Chiesa. Nel documento, abbiamo parlato di ecclesiologia inclusiva, una visione di Chiesa che non esclude nessuno, e che vede nel fratello, anche nel fratello separato, appunto un fratello, da amare e rispettare. Abbiamo parlato di un modello possibile di unità che può emergere dalla situazione in cui viviamo oggi e degli orizzonti che ci possono portare al dialogo e alla purificazione della memoria per sanare le ferite che abbiamo oggi e non essere ostaggi del passato. Il Cardinale Koch ha detto che un documento di questo è segno della maturità ecumenica della Chiesa ed è una testimonianza che non possiamo essere considerati un ostacolo, ma piuttosto come un catalizzatore dell'ecumenismo. In fondo, l’identità ecumenica fa parte dell’identità di una Chiesa orientale cattolica: abbiamo la stessa teologia, le stesse radici nella prassi canonica dei nostri fratelli ortodossi. Dobbiamo solo capire come metterlo a disposizione,
Avete qualche idea di come fare?
Per molte ragioni, la Chiesa Greco Cattolica Ucraina non ha un dialogo ufficiale con le Chiese ortodosse. Ma, quando questo canale si creerà, magari con degli incontri bilaterali con ogni Chiesa ortodossa ucraina, cominceremo con il pensare di applicare nel contesto pastorale locale i frutti del dialogo ecumenico che si svolge a livello universale, a partire dal lavoro della Commissione Teologica Internazionale Mista Cattolica ed Ortodossa. Il primo tema sarà quello di riconoscere la validità dei sacramenti, e dunque smettere di ribattezzare i fedeli di altre confessioni. Fare a livello locale quello cui si lavora a livello universale può essere un primo passo.
Vero è che a livello universale, la stessa Commissione è un po’ “zoppa”: la Chiesa ortodossa bulgara non ha mai partecipato agli incontri, il Patriarcato di Mosca ha ritirato la partecipazione per via della questione ucraina…
Purtroppo, il mondo ortodosso è molto frammentato, gli stessi fedeli ortodossi se ne meravigliano, lo ho detto. Ma noi non guardiamo a questo. Noi vogliamo essere catalizzatori di dialogo ed unità. È una missione specifica della nostra Chiesa.
Missione che la vostra Chiesa ha portato avanti anche con un catechismo specifico, “Cristo Nostra Pasqua”, anche questa discussa all’incontro intedicasteriale. Quale è lo scopo di questo catechismo?
La questione della trasmissione della fede e dell’evangelizzazione oggi è stato un altro tema dell’incontro. È al centro della missione pastorale della Chiesa. Papa Francesco era molto interessato. Il nostro catechismo è un gioiello della nostra Chiesa, e io sono orgoglioso di essere stato parte del comitato di redazione quando ero professore dell’Università Cattolica e poi di averlo potuto promulgare da Capo della Chiesa Greco Cattolica Ucraina.
Quale è la peculiarità di questo catechismo?
Nel passato noi, ma anche altre Chiese orientali, facevamo tradurre nelle nostre lingue i catechismi della Chiesa latina. Questo adattamento di un catechismo latino da parte di una Chiesa orientale cattolica era collegato con una latinizzazione dottrinale, che spesso includeva anche la visione della pietà spirituale. Ma il “Cristo Nostra Pasqua” non è la traduzione di un catechismo latino, ma è il frutto del lavoro della nostra Chiesa. Noi, per esempio, confessiamo il primato ministero petrino in modo orientale.
Cosa si intende?
Durante l’incontro, il Cardinale Luis Ladaria, prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede, ha tenuto una relazione sulla cattolicità della Chiesa. Noi abbiamo spiegato che abbiamo una visione bizantina della cattolicità della Chiesa come comunione di Chiese locali, garantita e promossa dal Successore di Pietro come baluardo visibile e servitore supremo della comunione universale della Chiesa di Cristo. Questo ha creato una discussione su cosa si intenda per “Chiesa locale”, perché molti definiscono come Chiesa locale la Chiesa Greco Cattolica Ucraina. Abbiamo fatto notare che erano presenti metropoliti dall’Ucraina, dal Canada, dagli Stati Uniti, dal Brasile, dall’Argentina, e questo dimostra che non siamo una realtà locale, ma una realtà globale. Viviamo la comunione fra di noi, la comunione globale della Chiesa, la comunione con il successore di Pietro. La nostra confessione del primato petrino mostra che questa unione non nuoce alla nostra tradizione, alla comunione interna, ma piuttosto la favorisce. Forse questa nostra tradizione di vivere la comunione della Chiesa potrebbe essere un contributo per sviluppare il concetto di sinodalità e di sana decentralizzazione di cui Papa Francesco parla spesso.
Il catechismo ha aiutato alla vostra unità?
Questo catechismo è stato uno strumento fondamentale della unità per la nostra Chiesa. Il nostro prossimo Sinodo sarà a Roma dall’1 al 10 settembre, in occasione del 50esimo della consacrazione della Basilica di Santa Sofia, e il tema sarà l’unità globale della Chiesa Greco Cattolica Ucraina. Abbiamo fatto una indagine tra i fedeli in tutto il mondo, e abbiamo chiesto: che cosa vi identifica con la Chiesa greco-cattolica ucraina? Tutti hanno risposto: la spiritualità orientale e la tradizione della Chiesa di Kiev. Sono rimasto meravigliato di leggere queste espressioni scritte da rappresentanti di parrocchia cinese di Chiesa Greco Cattolica Ucraina, ma anche dai fedeli di una località vicino Vancouver, in Canada. Abbiamo cinesi membri della Chiesa Greco Cattolica Ucraina che si identificano con la nostra tradizione spirituale teologica. Non sono più la nazione e la lingua a fare da fondamento della Chiesa Greco Cattolica Ucraina, ma l’esperienza dell’incarnazione della parola di Dio nella carne e nella storia della comunità della nostra Chiesa. Per questo, il catechismo “Cristo nostra Pasqua” è stato tradotto in molte lingue: in russo, in inglese, in portoghese, in spagnolo, è in via di finalizzazione la traduzione in polacco e tedesco, s sta lavorando alla traduzione in italiano. È un catechismo che esprime l’identità della Chiesa nata dal suo seno, ed è strumento vitale per l’evangelizzazione. Ora stiamo preparando anche un catechismo per i giovani, uno YouCat greco-cattolico.
Quale è il vostro obiettivo con questo catechismo?
Mostriamo che essere orientali non vuole dire vestire con abiti strani o praticare riti particolari. È un modo particolare di essere cristiano che si esprime nella teologia, nella comprensione del mistero di Dio, nel modo di incarnare questa fede nella vita quotidiana, nel modo di costruire la comunità ecclesiale. Abbiamo cercato di presentare al Santo Padre questo modo di essere Chiesa come un contributo che noi possiamo portare non solo nell’azione pastorale ed evangelizzatrice, anche uscendo fuori. La nostra missione oggi non è prendere ma condividere. Abbiamo tanto da condividere. Da questa condivisione. nascono le parrocchie cinesi, spagnoli, portoghesi.
Ci sono 23 Chiese sui iuris, alcune in zone di guerra come il Patriarcato caldeo, che vive una situazione simile alla vostra in Iraq. Perché il Papa ha voluto vedere proprio voi?
Non saprei dirlo. Credo per il fatto che noi siamo la più grande Chiesa orientale cattolica, e il Papa ha visto che sulla nostra Chiesa sono caduti tanti pregiudizi, anche causati dalla propaganda. Il Papa ha voluto far sparire questi pregiudizi, avere uno spazio di riflessione comune ed entrare nella storia dell’identità della nostra Chiesa. Nel comunicato finale dell’incontro si parla di una nuova metodologia, creata proprio dalla volontà del Papa di appoggiare una di queste Chiese nella sua missione. Il primo frutto è aver capito che le Chiese cattoliche orientali non sono esaurite, ma sono da valorizzare. Vale per tutte le Chiese orientali. E forse domani il Papa convocherà incontri simili anche per le altre Chiese orientali, per far fiorire queste Chiese.
La Chiesa Greco Cattolica Ucraina ha tre sogni: un viaggio del Papa in Ucraina, l’elevazione a Patriarcato (attualmente è un arcivescovado maggiore) e la beatificazione di uno dei suoi Padri, il Metropolita Andriy Sheptytsky. Sono sogni più vicini oggi?
Sono più vicini di quanto lo fossero tre giorni fa. Abbiamo prima di tutto chiesto pubblicamente al Papa di venire in Ucraina. Gli abbiamo detto: “Oggi la incontriamo e lei ci ascolta, ma tanti non possono stare qui e vogliono ascoltare e vedere. La aspettiamo in Ucraina per toccare le ferite della guerra e farle finire”. Con iniziative come “Il Papa per l’Ucraina”, Papa Francesco ha voluto alleviare le nostre sofferenze. Ma abbiamo l’impressione di lavorare solo per rimediare agli effetti della guerra. Bisogna agire sulle cause e quando il Papa verrà in Ucraina sarà una opera per far finire la guerra. Abbiamo anche ribadito l’invito informalmente, quando lo abbiamo incontrato a Santa Marta, dove noi eravamo a cena. Lui mi ha detto: “Ci penserò”.
Per quanto riguarda il Patriarcato…
Anche questo è stato un tema toccato quando abbiamo discusso la dimensione ecumenica della vita della nostra Chiesa. Il Patriarcato è un modo di essere, non una onorificenza. È un modo di costruire i meccanismi per far fiorire la nostra Chiesa, perché questo accresce la nostra efficienza e il nostro lavoro pastorale. La nostra Chiesa, il suo sviluppo e la sua fioritura, non sono un pericolo per i nostri fratelli ortodossi. Non siamo "contro qualcuno", ma "per Qualcuno". È una rivoluzione mentale, ancora da completare. Servono nuove strutture, però. Secondo le statistiche del ministero degli Affari Esteri, ogni anno un milione di ucraini lasciano il Paese, e dobbiamo assicurare accompagnamento pastorale a questi migranti. Questo ha un peso anche per altre Chiese orientali che vivono la nostra situazione, come il Patriarcato Caldeo, che vive un massiccio esodo di cristiani dall’Iraq. Tutto porta alla necessità di un Patriarcato, anche perché la nostra Chiesa è, sì, radicata in Ucraina, ma è una Chiesa globale, che esce dai confin di una località geografica.
Infine, la figura di Sheptytsky,
Il metropolita Sheptytsky è stato il primo a capire la globalità della nostra Chiesa. Quando lui era metropolita, la nostra Chiesa aveva solo tre eparchie in Ucraina occidentale, sotto il dominio dell’Impero Austro-Ungarico. Noi oggi abbiamo 34 eparchie, in tutto il mondo, ed è anche merito del metropolita Sheptytsky, il primo a fare viaggi pastorali per visitare i fedeli in ogni parte del globo e fare tutto il necessario perché avessero sacerdoti e vescovi. Lui ha esposto per primo le necessità pastorali per creare strutture per gli immigrati. Stiamo vivendo i frutti di quello che il metropolita Sheptytsky ha avviato.
Si tratta, insomma, solo di cominciare a raccogliere frutti…
Questi due giorni non erano pensati per mettere sul tavolo decisioni già prese, magari decise a tavolino in qualche dicastero. Erano i giorni dello studio, dell’analisi, della riflessione per i prossimi passi da fare. Noi aspettiamo che in prossimo futuro ci saranno i frutti di questa riflessione, decisioni concrete e creazioni di certi meccanismi e strutture che possano far fiorire la nostra Chiesa in Ucraina e nel mondo per venire incontro alle sfide umanitarie ed ecologiche che viviamo in Ucraina.
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