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Un servizio di EWTN News

Gli ungheresi in Romania e la sfida della restituzione dei beni ecclesiastici

Tra le questioni più sentite dalla popolazione ungherese in Romani che il Papa incontra oggi c’è la questione della restituzione dei beni ecclesiastici.

Lo scorso 8 maggio in una conferenza all’Accademia d’Ungheria a Roma, il Professor Zsolt Tamási, Direttore del Liceo Cattolico “II. Rákóczi Ferenc” di Targu Mures/Marosvásárhely ha illustrato la situazione.

La prima cosa da ricordare è che I cattolici ungheresi della Romania appartengono a quattro diocesi di rito latino: Alba Iulia/Gyulafehérvár, Oradea/Nagyvárad, Satu Mare/Szatmár e Timisoara/Temesvár.

Le altre tre diocesi latine, anch’esse prevalentemente di lingua ungherese sono, invece, suffraganee dell’Arcidiocesi di Bucarest. La Conferenza Episcopale della Romania riunisce sia i vescovi greco cattolici che quelli latini, dei quali quattro sono ungheresi.

Come riporta il sito dell'ambasciata ungherese presso la Santa Sede, i fedeli usano i libri liturgici ungheresi, pubblicano di comune accordo i libri e i sussidi per la catechesi, i santi più venerati sono quelli ungheresi. Tra quelli antichi spiccano Santo Stefano d’Ungheria e San Ladislao, tra quelli recenti i due vescovi martiri Bogdánffy e Scheffler, nonché il Servo di Dio Áron Márton.

Come spiega Zsolt Tamási, dopo la fine del comunismo è stata adottata la legge sulla restituzione dei beni nazionalizzati dal regime. Nella pratica, tuttavia, spesso non si riscontra la volontà dello Stato di adempiere pienamente agli obblighi legali. Così, a partire dal 2004, le restituzioni praticamente si sono fermate, anzi, in alcuni casi si assiste a dei tentativi di ribaltare le restituzioni già effettuate come si legge nel “White Book on Church Property Restitution in Romania”.

È tuttora pendente la questione circa la validità del Concordato tra la Romania e la Santa Sede, nonché quella dell’Accordo interpretativo del 1932. Ambedue furono denunciati unilateralmente dalla Romania il 17 luglio 1948 e, senza aspettare il termine pattuito di sei mesi per la cessazione dei suoi effetti, i beni ecclesiastici vennero nazionalizzati subito dopo. Tutto ciò può risultare rilevante ai fini dell’identificazione dei beni ecclesiastici. Ad esempio, molti beni ecclesiastici furono intestati allo “Status Romano-Catholicus Transylvaniensis”, un organo peculiare, la cui natura ecclesiale venne riconosciuta dallo Stato romeno solo con l’Accordo del 1932 concluso con la S. Sede. L’attività dello “Status Catholicus”, trasformato in Consiglio Diocesano di Alba Iulia, nel 1948 fu sospeso dal Vescovo Áron Márton per evitare che le autorità comuniste ne facessero una sorta di “associazione patriottica” dei cattolici della Transilvania. Venne, invece, riattivata, dopo la fine del comunismo come fondazione della Arcidiocesi medesima. Dei malintesi possono sorgere anche dal fatto che alcuni enti ecclesiali esistenti prima del 1948 non ci sono più, oppure hanno cambiato denominazione per una serie di ragioni.

Un caso esemplare è quello della Sala centrale della biblioteca del "Batthyaneum" di Alba Iulia/Gyulafehérvár. La biblioteca fu fondata nel 1798 dal Vescovo Ignác Batthyány, già alunno e poi bibliotecario del Pontificio Collegio Germanico-Ungarico a Roma, uno dei primi ricercatori ungheresi dell’Archivio Segreto Vaticano. Custodisce 60.000 mila volumi, di cui 927 manoscritti e codici, nonché 565 incunaboli, che ammontano all’80% del patrimonio di codici medievali di tutta la Romania. Il tesoro più prezioso è il “Codex Aureus” o “Evangeliario di Lorsch”, codice di epoca carolingia, illustrato a caratteri d’oro, la cui metà si trova, appunto, al “Batthyaneum”, mentre l’altra metà nella Biblioteca Apostolica Vaticana.

L’edificio è stato restituito all’Arcidiocesi con decreto nel 1998, convertito in legge nel 2002 senza, tuttavia, darne seguito nella pratica. Nel 2012 la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha, addirittura, condannato lo Stato romeno a pagare un indennizzo per la mancata restituzione del “Batthyaneum”. Mentre l’Arcidiocesi attende la fine del processo in tribunale per la restituzione, l’istituto, divenuto filiale della Biblioteca Nazionale Romena, è attualmente chiuso al pubblico, visitabile solo su autorizzazione, da richiedersi da Bucarest.

Lo stesso santuario di mariano di Csíksomlyó, è al centro di una questione per l’inserimento della lista dell’ UNESCO come bene immateriale. In particolare il Pellegrinaggio di Pentecoste (il “Perdono di Csíksomlyó”) conserva una serie di elementi rappresentativi della cultura, dell’arte e del folklore tradizionale della Transilvania per cui la comunità ungherese ha chiesto al Governo della Romania di volerlo candidare alla Lista Rappresentativa del Patrimonio Culturale Immaterialedell’UNESCO.

La relativa proposta, ben documentata, è stata avanzata dal Governo romeno e, nel dicembre del 2016, essa è stata inserita all’ordine del giorno del Comitato Intergovernativo per la Tutela del Patrimonio Culturale Immateriale. La la delegazione romena ha preferito ritirare la propria proposta, piuttosto che fornire tutti i dettagli tecnici necessari. E di fatto da allora la Processione di Pentecoste di Csíksomlyó non figura più tra le proposte romene per la Lista Rappresentativa del Patrimonio Culturale Immateriale dell’UNESCO.

Il Santuario di Csíksomlyó è, pertanto, anche simbolo delle sfide e della volontà della comunità ungherese di sopravvivere nella propria identità e fede cattolica. La visita di Papa Francesco a Csíksomlyó rappresenta una grande gioia per gli ungheresi che aspettano di essere confermati nella fede dal Successore di Pietro che per la prima volta in mille anni va a trovarli nella loro terra.

 

 

 

 

 

 

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