venerdì, novembre 22, 2024 Donazioni
Un servizio di EWTN News

Diplomazia pontificia, il Sud Sudan è una priorità

Una veduta della bandiera vaticana e dello Stato di Città del Vaticano

La visita dell’arcivescovo Paul Richard Gallagher in Sud Sudan precede un incontro ecumenico del leader del Paese africano in Vaticano, cui dovrebbe partecipare anche Papa Francesco nelle battute finali. E testimonia il grande sforzo della Santa Sede per portare riconciliazione e giustizia nel Paese, con il sogno di un viaggio di Papa Francesco, reiterato recentemente al presidente Salva Kiir in visita in Vaticano.

Sembra invece naufragare il dialogo in Nicaragua, nonostante l’impegno dei vescovi, mentre alle Nazioni Unite di Ginevra si è discusso di diritti di autore e commercio, temi su cui la Santa Sede ha fatto sentire la sua voce. Da notare anche la possibilità di un nuovo status per i cristiani in Giordania.

L’arcivescovo Gallagher in Sud Sudan

Il “ministro degli esteri” vaticano è stato in Sud Sudan dal 21 al 25 marzo. È stato il primo compito ufficiale per l’arcivescovo Hubertus Matheus von Megen, da poco nominato nunzio nel Paese dopo la nomina ad “ambasciatore del Papa in Kenya. Tra coloro che hanno ricevuto l’arcivescovo Gallagher, anche l’arcivescovo Paulino Luduko Loro di Juba e monsignor Mark Kadima, consigliere di nunziatura ed incaricato d’affari residente nel Paese.

Già nella sera del 21 marzo, il “ministro degli Esteri vaticano” ha incontrato in nunziatura i vescovi del Sud Sudan, parlando delle sfide pastorali, ma anche del Revitalized Agreement on the Resolutions of Conflict in South Sudan. L’accordo è stato firmato il 12 settembre 2018, e i vescovi si sono mostrati critici anche per le modalità in cui si prevedeva la divisione del potere.

Il presidente Salva Kiir ha ricevuto l’arcivescovo Gallagher il 22 marzo, e nell’incontro si è parlato di buone relazioni tra Santa Sede e Sud Sudan, del sostegno della Santa Sede al processo di pace e della situazione generale del Paese.

Dopo un incontro con i 1500 studenti dell’Università Cattolica del Sud Sudan, il “ministro degli Esteri” vaticano ha incontrato una delegazione del Sudan People’s Liberation Movement-in-Opposition, guidata dalla signora Angelina Teny, presidente del Consiglio strategico di revisione della sicurezza e della difesa del Partito e moglie del suo principale leader, Riek Machar, per uno scambio di opinioni circa l’attuazione e le prospettive dell’accordo.

Il 23 marzo, l’arcivescovo Gallagher ha celebrato messa al seminario maggiore nazionale di San Paolo a Juba ed è quindi stato nel campo dei civili sfollati gestito dalla missione delle Nazioni Unite in Sud Sudan. Il campo si trova vicino alla capitale e dà assistenza a 32 mila persone, in maggioranza minorenni. In generale, secondo dati dell’Alto Commissariato ONU per i Rifugiati, ci sono 2,1 milioni di sfollati nel territorio nazionale e 2,5 milioni di profughi nei Paesi confinanti.

Dopo l’incontro nel campo rifugiati, c’è stato un incontro con gli insegnanti e gli alunni della scuola materna e primaria, che sono state allestite nel campo della comunità di suore indiane Society of Daughters of Mary Immaculate and Collaborators.

Nel pomeriggio del 23 marzo, l’arcivescovo Gallagher ha incontrato Rebecca Nyadeng, vedova del leader storico sud sudanese, John Garang, e uno dei cinque vicepresidenti disegnati del Paese. Per due volte, l’arcivescovo ha incontrato i membri del corpo diplomatico, presso l’ambasciata USA e presso l’ambasciata UE.

La domenica, l’arcivescovo Gallagher ha celebrato nella cattedrale di Santa Teresa del Bambino Gesù, alla presenza del presidente Kiir, e poi ha visitato il seminario minore di San Lorenzo e la casa per gli orfani delle suore della carità di Santa Giovanna Antida Thouret.

Prima, il “ministro degli Esteri” vaticano era stato a colloquio con David Shearer, rappresentante speciale del segretario generale delle Nazioni Unite in Sud Sudan. Quindi, l’arcivescovo è stato al St. Mary College, dove ha incontrato sacerdoti e religiosi, per definire le sfide del Paese.

Il viaggio viene alla vigilia di un incontro ecumenico tra tutti i leader del Sud Sudan in Vaticano, che dovrebbe avere luogo il prossimo 9 e 10 aprile secondo la stampa locale (ma altre fonti parlano dell'11 aprile) e cui dovrebbe partecipare Papa Francesco.

Parlando del ritiro, il Cardinale Parolin ha sottolineato lo scorso 3 aprile che quello “sarà un momento di spiritualità e soprattutto un invito a tutti i politici e alle autorità di realizzare la responsabilità che hanno nel promuovere le pace”.

L'incontro che vedrà la presenza del Presidente della Repubblica Salva Kiir, dei i Vice Presidenti attuali e l'ex Vice Presidente Riek Machar, che guida il più grande gruppo di opposizione (The Sudan People’s Liberation Movement-in-Opposition). Ci sarà anche Gabriel Changson, uno dei leader del raggruppamento minore dela South Sudan Opposizione Alliance, invitato su iniziativa del Consiglio delle Chiese del Sud Sudan che lavora per riconciliare le due fazioni della forza SSOA".

Lo scorso 3 aprile, il direttore ad interim della Sala Stampa della Santa Sede, Alessandro Gisotti, ha detto di poter affermare che la prossima settimana ”è in programma in Vaticano un ritiro spirituale per i leader del Sud Sudan”, il Presidente Salva Kiir e l’ex vice Presidente Riek Machar.

L’incontro avviene nel mezzo dello sforzo delle Consiglio delle Chiese del Sud Sudan per mediare tra le due fazioni dell’Alleanza dell’Opposizione, divise ora sulla leadership.

Ci sono stati degli incontri tra il 2 e il 3 marzo, e quindi il 31 marzo e il 6 aprile, con l’obiettivo di facilitare l’unità dell’opposizione in modo da migliorare la fase di implementazione dell’accordo di pace del 2018.

L’arcivescovo Gallagher, in questi mesi, ha più volte incontrato rappresentanti del governo britannico, particolarmente impegnati nel processo di riconciliazione nel Paese. Lo scorso 4 settembre, i vescovi del Sud Sudan sono stati da Papa Francesco in visita ad limina e hanno avuto poi un incontro con i responsabili del Regno Unito presso la Santa Sede, l’arcivescovo Gallagher, l’allora “ambasciatore” di Canterbury presso la Santa Sede Ntahoturi e i rappresentanti di Italia, Regno Unito e Norvegia.

Georgia, il nunzio spiega la diplomazia della pazienza della Santa Sede

Nell’ambito di una conferenza della Sulkhan-Saba Orbelliani University, l’arcivescovo José Avelino Bettencourt, nunzio apostolico in Georgia e Armenia, ha parlato della Santa Sede e delle sue relazioni internazionali.

Prima di tutto, l’arcivescovo Bettencourt ha spiegato il senso della diplomazia della Santa Sede. Il Papa, ha detto, è “una figura di grande prestigio internazionale”, con “una autorità di persuasione e influenza che deriva dalla sua funzione e dal peso morale della Chiesa cattolica”, ma è anche il capo di una istituzione mondiale come la Chiesa cattolica.

La Santa Sede ha a sua volta prestigio internazionale, sebbene non abbia “risorse di natura politico economica o militare”. Il nunzio in Georgia ha notato i successi diplomatici, come la mediazione sulla disputa del Canale di Beagle tra Argentina e Cile, il ruolo di Giovanni Paolo II nella caduta del Muro di Berlino, la partecipazione attiva al processo di pace in Medio Oriente e nei Balcani, il dialogo con le altre religioni come è successo ad Abu Dhabi, e il lavoro umanitario e solidale con i rifugiati e i poveri.

Si tratta di una “diplomazia della pazienza” per ottenere il massimo dei beni, e viene svolta in nome del Papa. Il Papa è la Santa Sede, e la Santa Sede è il ministero petrino, che ha il doppio ministero di pastore della Chiesa universale e capo dello Stato di Città del Vaticano.

(La storia continua sotto)

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I diplomatici della Santa Sede – ha spiegato l’arcivescovo Bettencourt – “non difendono interessi territoriali, militari o strategici, ma hanno piuttosto la missone di salvaguardare e promuovere i diritti umani, inclusa la libertà religiosa, che è essenzale per salvaguardare tutti gli altri diritti”.

La rappresentanza diplomatica della Santa Sede ha come primo e fondamentale aspetto quello di essere unilaterale, peché “l’unica e più alta autorità della Chiesa Cattolica è nella persona del Papa, che invia il suo rappresentante alla Chiesa locale”, e quindi questa rappresentanza non necessita del consenso della Chiesa locale.

Il ruolo del nunzio presso la Chiesa locale è dunque quello di “informare riguardo la situazione della Chiesa, assistere e incoraggiare i vescovi nella loro missone, difendere e promuovere la libertà della Chiesa e la libertà religiosa in generale, cooperare nell’ecumenismo e nel dialogo interreligioso e agire congiuntamente con i vescovi nel favorire accordi di pace.

Allo stesso tempo, il nunzio struisce il processo di informazioni per la nomina di nuovi vescovi.

La seconda funzone del nunzio è diplomatica. La presenza di legati pontifici presso gli Stati è ultra millenarian, e oggi la Santa Sede ha relazioni diplomatiche ufficiali con 185 Stati su 193 accreditati alle Nazioni Unite, con 105 nunzi sparsi nel mondo. In più, la Santa Sede ha relazioni diplomatiche con quasi tutte le orgnaizzazioni intergovernative e non governative alle Nazioni Unite.

È così che la Santa Sede si “è impegnata nel mondo, raccogliendo informazioni grazie al suo network senza pari di missionari, esperti diplomatici e connessioni del più vario tipo”, cercando di “creare ponti e dialogare per la pace”.

Difendere la libertà religiosa: cosa si è detto all’ambasciata USA presso la Santa Sede

Lo scorso 3 aprile, si è tenuto all’Ambasciata USA presso la Santa Sede un simposio intitolato “Stand Together to Defend International Religious Freedom”. Il simposio è parte dell’impegno degli Stati Uniti per la promozione della libertà religiosa nel mondo, che ha portato lo scorso luglio alla celebrazione del primo ministeriale sul tema, cui aveva partecipato anche l’arcivescovo Paul Richard Gallagher.

L’evento del 3 aprile è stato concluso dal Cardinale Pietro Parolin, che ha lanciato l’allarme su una libertà religiosa sempre più sotto attacco, non solo per questioni di intolleranza, ma anche a causa di un diffuso pregiudizio ideologico.

All’incontro ci sono state anche altre due voci che, a vario titolo, sono collegate alla Santa Sede.

Una quella di Alessandro Monteduro, direttore della sezione italiana di Aiuto alla Chiesa che Soffre, la fondazione di diritto pontificio che si occupa di aiutare I cristiani perseguitati nel mondo. La fondazione è stata anche insignita quest’anno del Path to Peace Award dalla Missone della Santa Sede a New York.

La fondazione ha raccolto lo scorso anno 110 milioni di euro da donatori privati, supportando 5009 progetti in 139 nazioni e ogni due anni stila un rapport sulla libertà religiosa nel mondo che è una vera Bibbia sul tema.

Monteduro ha ricordato il massacro dei cristiani copti in un pulman nella città di Minya il 26 maggio 2017, che pure non ha ricevuto alcuna attenzione da parte della stampa. Una disattenzione giustificata, forse, dalla mancanza di audiene.

Ma è una interpretazione che Montedura critica, sottolineando che le ragioni sono forse differenti, e che non ci sono martiri di serie A e di serie B.

Monsignor Khaled Akasheh è segretario del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso. Si occupa soprattutto di dialogo con l’Islam. E ha guardato al tema della libertà religiosa proprio in relazione ai credenti musulmani.

Monsignor Akasheh ha notato “l’attaccamento viscerale di alcune comunità religiose alla loro religione”, attaccamento di cui può fare le spese la razionalità, e che può portare al fanatismo e ad altre “patologie religiose”.

Questo accade anche per i musulmani, cui si uniscono le paure per la disaggregazione della comunità. E queste paure “vanno affrontate in modo da creare mutual fiducia, necessaria non solo come punto di partenza, ma anche come obiettivo da raggiungere”.

Monsignor Akasheh ha sottolineato che i musulmani “hanno necessità di essere rassicurati che il tema della libertà religiosa non è diretto contro di loro o contro la religione”, e che anzi “rispettare l’identità religiosa è un antidoto contro l’islamofobia, e pertanto potrebbe contribuire al miglioramento dell’immagne dell’islam.

L’officiale del Pontificio Consiglio per il Dialogo di Religioso sottolinea poi che “il rispetto per la libertà religiosa, per altre libertà e per i diritti fondamentali è la misura della democrazia in una società o una regione”, e che la relazione tra democrazia e diritti umani può esseer sia un circuito virtuoso che un cirolo vizioso.

Monsignor Akasheh ha chiesto alla fine di riconoscere la liberà religiosa nelle leggi civile, di promuovere un cultura rispettosa e favorevole alla libertà religiosa, di avere i media come alleati nella nobile causa di promuovere la libertà religiosa e di sviluppare la reciprocità come espressione di un mutuo rispetto e giustizia.

Giordania, cambia lo status dei cristiani

Le Chiese di Giordania hanno intrapreso un percorso per rivedere le regole canoniche ecclesiastiche che determinano lo status personale dei cristiani nello Stato, proprio mentre il Parlamento sta avviando una discussone sullo stesso tema.

La legge temporanea sullo status personale fu emanata nel 2010. La legge è basata in gran parte su principi di legge islamica, e disciplina questioni come matrimoni, divorzi, successioni ereditarie. Non si applica ai cittadini di fede cristiana, che hanno regole definite dalle autorità ecclesiastiche. Sono regole che vanno rinnovate, specialmente alcune su questioni matrimoniali ed ereditarie che danno luogo ad una certa disparità nei confronti delle donne.

La Chiesa cattolica latina ha avviato una riflessione guidata da padre Shawqi Baerian, canonista e tribunale ecclesiastico a Gerusalemme e Amman, mentre i greci ortodossi hanno costituito un comitato di giuristi, ha sottolineato l’archimandrita greco ortodosso Christoforos Atallah.

Come cambieranno le norme? Le Chiese di Giordania hanno già stabilito che, salvo eccezioni stabilite dal vescovo, l’età minima per il matrimonio è di 18 anni. È un processo simile si sta facendo per lo status personale civile, dato che l’attuale legge stabilisce, sì, a 18 anni l’età minima per il matrimonio, ma permette anche che i giudici delle Corti Islamiche possano autorizzare matrimoni di minori tra i 15 e i 18 anni se “il matrimonio è necessario e nel loro interesse”. È una pericolosa apertura alle spose bambine. Si sta lavorando ad innalzare l’età minima ad almeno 16 anni.

Nicaragua, terminato il dialogo

È terminato senza sostanziali risultati il dialogo tra il governo di Daniel Ortega e l’Alleanza Civica che rappresenta la opposizioni in Nicaragua. Il dialogo è avvenuto anche alla presenza dell’arcivescovo Waldemar Stanislaw Sommertag, nunzio apostolico a Panama, che è stato “testimone e accompagnatore” del dialogo insieme a Luis Angel Rosadilla, alto delegato dell’Organizzazione degli Stati Americani.

Il dialogo era iniziato alla fine di febbraio. Anche durante l’ultimo Angelus, Papa Francesco aveva chiesto preghiere. I rappresentanti di Ortega hanno sia rifiutato la possibilità di elezioni anticipate, sia qualunque tipo di indagine indipendente sui crimini commessi dai gruppi paramilitari. Gruppi che, vale la pena ricordare, hanno attaccato anche le chiese, e persino il Cardinale Leopoldo Brenes.

Per tutta risposta, l’Alleanza Civica ha detto di aver chiuso ogni contatto con il governo e di puntare soprattutto ad applicare i due accordi raggiunti: la liberazione dei prigionieri politici nell’arco di 90 giorni e il ristabilimento e consolidamento di alcune libertà civili. Tuttavia, il governo ha rifiutato di far monitorare la liberazione dei dissidenti sia da parte della Commissione Interamericana dei Diritti Umani, sia dell’Alto Commissariato per i diritti umani.

Parlando con Vatican News, il nunzio Sommertag “Per quanto riguarda la liberazione dei detenuti le parti hanno invitato il Comitato internazionale della Croce Rossa, la cui presenza è molto importante, ad essere il braccio esecutivo dell’accordo. La Croce Rossa attualmente sta ultimando la verifica delle liste dei detenuti per poi attivare il meccanismo delle liberazioni; speriamo che questo avvenga presto. Nel frattempo, ieri il governo ha liberato 50 detenuti come gesto unilaterale di buona volontà, prima dell’inizio del processo ufficiale di scarcerazione. Ovviamente le famiglie stanno aspettando i propri cari e stiamo tutti lavorando duramente affinché li possano riabbracciare al più presto”.

La Santa Sede all’ONU di Ginevra: la questione del diritto d’autore

Si può pensare che la questione del diritto d’autore non riguardi la Santa Sede. Invece, il tema è di particolare interesse. Basti ricordare l’accordo raggiunto a Marrakech nel 2013 per facilitare alle persone ipovedenti l’accesso alle opere pubblicate.

Il 3 aprile, la Santa sede ha partecipato a Ginevra alla 38esima sessione del comitato sul Copyright e relativi diritti all’Organizzazione Mondiale della proprietà intellettuale.

L’arcivescovo Ivan Jurkovic, osservatore permanente della Santa Sede presso le organizzazioni internazionali a Ginevra, ha sottolineato che “il sistema del copyright deve continuare a giocare un ruolo essenziale di incentivazione e premiazione della creatività e dell’innovazione”, ma deve allo stesso tempo “tenere in considerazione l’interesse generale della società come educazione, ricerca, accesso alle informazioni e contenuto creativi”.

Il nunzio ha sottolineato l’impegno della Santa Sede nel campo dell’educazione, un impegno aperto a tutti, e ha affermato che “promuovere la qualità e l’accessibilità dell’educazione in tutto il mondo dovrebbe essere una priorità per ciascuno Satto membro e, in questo contesto, le limitazioni e le eccezioni sono chiaramente una questione chiave da prendere in considerazione”.

La Santa Sede ha poi messo in lue che ogni impegno “deve essere orientato verso la costruzione di un mondo più unito e pacifico attraverso la formazione integrale delle generazioni che si succedono”, e nota che, dato che l’agenda 2030 della comunità internazionale ha deciso di assegnare risorse finanziare a “opportunità vita natural durante che aiutino le persone ad acquisire le conoscenze di cui hanno bisogno per sfruttare le opportunità”, ci si deve ricordare che qualunque diritto al copyright dovrebbe puntare a “non lasciare nessuno indietro”.

La Santa Sede a Ginevra: commercio e sviluppo

La Santa Sede, a Ginvera, partecipa anche ai lavori dell’UNCTAD, l’agenzia ONU su commercio e sviluppo. Lo scorso 3 aprile, si è tenuto un incontro del gruppo intergovernativo di esperti sull’E-Commerce e l’Economia digitale.

Nel suo discorso, l’arcivescovo Jurkovic ha notato come l’economia digitale sia ormai pervasiva, e come la tecnologia abbia “ridefinito le catene globali del valore e gli schemi del commercio”, mentre si è ormai al di là del mero uso della digitalizzazione, e si usa la tecnologia su informazione e comunicazione.

L’economia sia sta trasformando ad una velocità incredible, e nel 2030 ci saranno 500 milioni di apparecchi collegati, e già la crescita del commercio è significativa in termini di numeri.

Tutto questo, però crea un divario digitale grandissimo, perché mentre “il 60-80 per cento delle persone in molte nazioni sviluppate già fa acquisti online”, in nazioni in via di sviluppo questa percentuale scende al 3 per cento.

La Santa Sede fa anche notare che il sempre maggiore uso di robot crea nuove opportunità di affari, ma allo stesso tempo va “a distruggere le pratiche esistenti in molte aree”, cambiando le abilità richieste e per questo “la gente avrà bisogno di acquisire nuove abilità e conoscenza, e le nazioni saranno chiamate ad aggiornare le loro politiche per proteggere gli utilizzatori on line”.

Così, le compagnie piccole saranno “particolarmente vulnerabili al cambiamento dell’ambiente di affari”,

L’arcivescovo Jurkovic nota, però, che le tecnologie possono anche essere utilizzate per il bene comune, perché le nuove tecnologie digitali possono dare un “impeto addizionale nella generazione di profitti nelle nazioni in via di sviluppo”. Ma allo stesso tempo l’arcivescovo nota che questo apre anche a nuove sfide, perché c’è un “potenziale controllo monopolizzato più grande in alcune aree”.

Ci vuole, insomma, un sempre maggiore accesso ad un internet veloce, accessibile e affidabile, perché questo potrebbe ridurre le “disparità nell’accesso di internet e aprire le opportunità nel commercio online per più segmenti di popolazione”.

La Santa Sede nota che è necessaria una volontà politica per creare nuove infrastrutture tecnologiche, in modo da delineare insieme una regolamentazione “globale, multilaterale e sostenibile”, con una governance che “garantisca la protezione di consumatori e produttori con norme e regole trasparenti”.

Questo perché – nota la Santa Sede – ci si trova di fronte “all’opportunità di operare una transizione da una economia che presenta molte diseguaglianze a un modello di economia di inclusione.

La Santa Sede all’ONU di New York su popolazione e sviluppo

Alle Nazioni Unite di New York si è riunita la 52esima sessione della Commissione su Popolazione e Sviluppo. È intervenuto anche l’arcivescovo Bernardito Auza, osservatore permanente della Santa Sede alle Nazioni Unite. L’arcivescovo ha ricordato il 25esimo anniversario della Conferenza Internazionale su Popolazione e Sviluppo. Una conferenza durante la quale la Santa Sede dovette combattere per evitare che i cosiddetti diritti di salute riproduttiva, un eufemismo per nascondere l’aborto.

L’arcivescovo Auza ha però preso il lato positivo della vicenda, ha sottolineato che la conferenza rappresentò la prima volta che la comunità internazionale aveva considerato l’interrelazione tra popolazione e sviluppo, e che quella conferenza alla fine ha rifiutato tutte le forme di coercizione nell’implementazione delle politiche di popolazione, riconosciuto la famiglia basata sul matrimonio come unità fondamentale della società e si è focalizzata sulla piena ed eguale partecipazione delle donne nello sviluppo”.

L’arcivescovo Auza ha anche notato che “suggerire che la salute riproduttiva implichi un diritto all’aborto viola esplicitamente il linguaggio della conferenza” e allo stesso tempo viola la “legislazione interna di molti Stati”, perché non è nemmeno saggio “formulare politiche di popolazioni governative e internazionali su diritti sessuali e riproduttivi”, mentre lo è focalizzarsi su politiche che coinvolgono “la trasmissione della vita e la promozione della famiglia”.

I vescovi di Etiopia salutano il nunzio Bianco, destinato all'Uganda

L’arcivescovo Luigi Bianco è stato nominato nunzio in Uganda lo scorso 4 febbraio, dopo aver trascorso cinque anni come nunzio in Etiopia, Gibuti e Somalia. Lo scorso 29 marzo, la Chiesa Cattolica etiope ha dato un saluto ufficiale al nunzio, in un evento che ha avuto luogo durante l’Assemblea Generale annuale del Segretariato Cattolico Etiope. L’assemblea annuale serve a tirare le somme dell’anno passato e ad approvare il piano pastorale per l’anno che viene.

La Conferenza Episcopale di Etiopia e tutti gli attori pastorali dalle giurisdizioni ecclesiastiche hanno ringraziato l’arcivescovo Bianco per il suo lavoro. In Eetiopia, andrà a prendere il posto dell’arcivescovo Michael August Blume, che è stato nominato lo scorso luglio nunzio apostolico in Ungheria.

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