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Un servizio di EWTN News

Tutti nasciamo originali, il romanzo di Carlo Acutis raccontato da Cecilia Galatolo

“Tutti nasciamo originali, ma molti muoiono da fotocopie… Ognuno di noi ha ricevuto dei talenti, ma non tutti ne sono consapevoli”: così il giovane Carlo Acutis, morto di leucemia nel 2006 e proclamato servo di Dio nel 2016, spiega come molti giovani, invece di far fruttare i propri doni unici, mettendoli al servizio degli altri, si abbandonano ad una mentalità consumistica che finisce per consumare loro ed anestetizzarli.

Un romanzo per giovani che ben rappresenta la condizione di superficialità in cui spesso vivono molti ragazzi. Ma in questo modo di vivere emerge la figura di Carlo Acutis, un giovane che, andando a fondo nella ricerca delle vere esigenze della sua vita ha vissuto ‘da originale’ dentro la fede cattolica. Il confronto con il suo esempio spingerà anche altri ragazzi a uscire dalla condizione di ‘fotocopia’ di un modello standard imposto dalla mentalità comune tecnologico-consumista. Ognuno tornerà a dare spazio alla propria ‘originalità’ di vita.

L’autrice, Cecilia Galatolo, si è laureata nella facoltà di comunicazione sociale presso la Pontificia Università della Santa Croce e collabora con il settimanale della diocesi di Jesi e con il portale Family and Media. E’ al secondo romanzo,  dopo la pubblicazione del libro ‘Non lo sapevo ma ti stavo aspettando’.

A lei abbiamo chiesto se il titolo del suo secondo libro è un pò controcorrente?

“Il titolo del romanzo è una citazione del venerabile Carlo Acutis, figura che cerco di far conoscere attraverso il libro. Questo ragazzo, morto a soli 15 anni, affermava che siamo nati tutti originali, cioè unici ed irrepetibili, ciascuno con una missione pensata da Dio da scoprire e da vivere all’interno di una stessa chiamata universale uguale per tutti: amare, servire. Ho scelto proprio questa frase, tra le tante pronunciate dal giovane Carlo, per incoraggiare i ragazzi che vorrebbero affidare la loro vita a Dio ma hanno paura di andare controcorrente, di sentirsi diversi o ‘esclusi’ a causa della fede (e so di cosa parlo, perché è accaduto anche a me). A loro, Carlo direbbe: non preoccupatevi di ‘accontentare gli altri’, non abbiate paura di essere ‘originali’, mettendo Dio al centro della vostra vita. Siete fatti per la santità, non per la mediocrità. Siate dei ‘pezzi unici’, non delle ‘fotocopie’”.

Perchè la scelta di Carlo Acutis?

“Ho deciso di scrivere su Carlo perché è una storia che mostra come tutti possiamo aspirare alla santità. Sì, anche noi comuni mortali, pieni di difetti e con una vita comunissima. Carlo era un ragazzo di Milano con una vita assolutamente normale: amava l’informatica e lo sport, i gatti e la natura, frequentava il liceo (e neppure con voti eccellenti), ma ha permesso a Dio di trasformare la sua quotidianità in un capolavoro. Non è dovuto arrivare in India o in Perù per ‘vivere da santo’: si è consumato per gli altri negli ambienti che frequentava (casa, scuola, gruppo di amici...). Se la santità ci sembra qualcosa di distante o impossibile, di ‘grande’ e spaventoso, Carlo ci insegna che basta far posto a Gesù ogni giorno di più e cominciare ad amare davvero chi abbiamo accanto”.

Paul Claudel affermava: ‘i giovani sono fatti per l’eroismo, non per il piacere’. Come raccontare ai giovani la bellezza della vita?

“Verissimo. I giovani sono fatti per scelte autentiche, coraggiose, eroiche... belle. Come parlare loro di bellezza? Papa Paolo VI diceva che il mondo necessita di testimoni più che di maestri. Io credo che i giovani non abbiano bisogno di qualcuno che dica loro ‘letteralmente’ cosa devono fare della propria vita, hanno bisogno più di qualcuno da imitare, da prendere come modello di ‘vita buona’. Penso ad esempio a come sono arrivata io, anni fa, a vivere -con l’uomo che ora è mio marito e padre dei miei due bimbi- un fidanzamento cristiano meraviglioso (dopo aver vissuto esperienze precedenti diverse): ero rimasta affascinata dalla storia di giovani che prima di me avevano messo Dio al centro del loro rapporto. Ero rimasta colpita dalla meraviglia di cui erano testimoni. Se vogliamo portare bellezza ai ragazzi dobbiamo prima viverla noi, chiedendo a Dio di riempire il nostro cuore di Lui, che è Bellezza pura”.

In quale modo puntare lo sguardo dal basso in alto?

“Guardare in alto significa accettare che ci sia qualcuno di più grande, da cui farci guidare. Questo romanzo mostra un atto concreto che possiamo fare tutti per ‘spostare lo sguardo verso l’alto’: iniziare un dialogo con Dio . Il protagonista della storia, lontano da Dio, dalla Chiesa e assolutamente disinteressato alla spiritualità in generale, capisce grazie a Carlo che forse vale la pena tentare di capire se esiste un Creatore che ci ama. Così, anche se non del tutto convinto, inizia a parlarci. ‘Male che va, non mi risponderà’, pensa. E invece...”.

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