Panama, 24 January, 2019 / 5:48 PM
E’ alla scuola di Oscar Romero, vescovo santo e martire del Salvador che Papa Francesco parla ai vescovi del Centro America.
Nella chiesa di San Francesco di Assisi il Papa saluta i 75 di vita del SEDAC Segretariato episcopale dell'America Centrale e Panamáil che riunisce i vescovi dell’ America Centrale e soprattutto usa le parole di Romero. “Grazie per avermi permesso di avvicinarmi alla fede provata ma semplice del volto povero della vostra gente che sa che «Dio è presente, non dorme, è attivo, osserva e aiuta»” esordisce. E aggiunge: “Appellarsi alla figura di Romero significa appellarsi alla santità e al carattere profetico che vive nel DNA delle vostre Chiese particolari”.
Un, santo, un martire che “sentiva con la Chiesa” e , spiega il Papa “il martirio non è sinonimo di pusillanimità o l'atteggiamento di qualcuno che non ama la vita e non sa riconosce il suo valore. Al contrario, il martire è colui che è in grado di incarnare e tradurre in vita questo rendimento di grazie. Romero ha sentito con la Chiesa perché, prima di tutto, ha amato la Chiesa come madre che lo ha generato nella fede e si è sentito membro e parte di essa”.
Questo aveva portato Romero e deve portare i vescovi a vivere il rinnovamento magisteriale che il Concilio Vaticano II proponeva. Romero “lì trovava la mano sicura per seguire Cristo. Non è stato ideologo né ideologico; la sua azione è nata da una compenetrazione con i documenti conciliari”.
Papa Francesco segue un concetto teologico antico: la kenosis, quello svuotamento da se stesso che è stato di Cristo e che deve essere di ogni cristiano. Per Romero “sentire con la Chiesa è prendere parte alla gloria della Chiesa, che consiste nel portare nel proprio intimo tutta la kenosis di Cristo. Nella Chiesa Cristo vive tra di noi, e perciò essa dev’essere umile e povera, perché una Chiesa arrogante, una chiesa piena di orgoglio, una Chiesa autosufficiente non è la Chiesa della kenosis”. E ahgiugne che non c'è Chiesa senza Cristo e senza popolo.
Tornano i temi amati di Papa Francesco, a partire dai giovani e dall’ascolto.
Esorta i vescovi “a promuovere programmi e centri educativi che sappiano accompagnare, sostenere e responsabilizzare i vostri giovani; “rubateli” alla strada prima che sia la cultura della morte che, “vendendo loro fumo” e soluzioni magiche, catturi e sfrutti la loro immaginazione”. Anche perché “sono molti i giovani che purtroppo sono stati sedotti con risposte immediate che ipotecano la vita”.
Violenze e sfruttamento “e fa male vedere che, alla base di molte di queste situazioni, c’è un’esperienza di orfanezza frutto di una cultura e di una società che “ha rotto gli argini”. Famiglie molto spesso logorate da un sistema economico che non mette al primo posto le persone e il bene comune e che ha fatto della speculazione il suo “paradiso” dove continuare a ingrassare non importa a spese di chi. E così i nostri giovani senza il calore di una casa, senza famiglia, senza comunità, senza appartenenza, sono lasciati in balìa del primo truffatore”.
Ecco allora il grido del Papa: “il futuro esige che si rispetti il presente riconoscendo la dignità delle culture dei vostri popoli e impegnandosi a valorizzarle. Anche in questo si gioca la dignità: nell’autostima culturale. La vostra gente non è la “serie B” della società e di nessuno. Ha una storia ricca che va accettata, apprezzata e incoraggiata”. Certo, aggiunge il Papa, “il mondo scarta, lo sappiamo e ne soffriamo; la kenosis di Cristo no, l’abbiamo sperimentato e continuiamo a sperimentarlo nella nostra stessa carne con il perdono e la conversione. Questa tensione ci costringe a chiederci continuamente: da che parte vogliamo stare?” Il Papa si è anche complimentato per l'idea di iniziare la GMG con qualla delle popolazioni di origine africana.
Domande che si devono porre i vescovi nei confronti dei sacerdoti: “quanto mi tocca la vita dei miei preti? Quanto riesco a lasciarmi colpire da ciò che vivono, dal piangere i loro dolori, dal festeggiare e gioire per le loro gioie? Il funzionalismo ecclesiale e il clericalismo, così tristemente diffuso, che rappresenta una caricatura e una perversione del ministero, si comincia a misurarlo con queste domande”.
Parla della compassione il Papa dicendo che non cìè nemmeno tra i cattolici, ma c'è condanna, la centralità della compassione non va persa, dice.
Perchè “ e’ importante che il sacerdote trovi il padre, il pastore in cui “rispecchiarsi” e non l’amministratore che vuole “passare in rivista le truppe””.
In conclusione il Papa torna a Romero che diceva come la Chiesa “non vuole che la sua forza stia nell’appoggio dei potenti o della politica, ma che si svincoli con nobiltà per camminare sorretta unicamente dalle braccia del Crocifisso, che è la sua vera forza”. E parafrasando Sant’ Ignazio aggiunge: “ La povertà è madre e muro perché custodisce il nostro cuore perché non scivoli in concessioni e compromessi che indeboliscono la libertà e la parresia a cui il Signore ci chiama.”
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