Carpi, 25 January, 2019 / 2:00 PM
Pubblichiamo la conferenza tenuta il 12 gennaio 2019 ad un gruppo di fedeli laici da Sua Eccellenza Monsignor Francesco Cavina, Vescovo di Carpi, sul tema "Credo la Chiesa".
La società nella quale ci troviamo a vivere si presenta come una società fortemente disillusa, priva di tensioni morali, di ideali a cui ispirarsi, percorsa da visioni antropologiche autodistruttive, prigioniera della pura emotività, che rende impossibili legami stabili per l’esistenza. Questa situazione è il frutto avvelenato di un pensiero che ha assolutizzato da una parte la scienza e la tecnica - che hanno reso artificialmente possibile ciò che naturalmente non è - e dall’altra ha esaltato l’autonomia dell’uomo, fino a renderlo reso schiavo dei propri interessi e desideri.
Una concezione simile dell’esistenza umana ha portato ad una visione puramente biologica e sociologica della vita e a negare la possibilità della verità sull’uomo. Alla domanda “chi è l’uomo”, oggi, si risponde solo con opinioni contrarie e dunque ugualmente valide per il soggetto. Mentre alla questione “qual è il vero bene della persona” la risposta non va oltre all’affermazione: “è bene ciò che è bene per me; è bene ciò che è bene per te”.
I fautori di questo pensiero nichilista, ormai dominante, erano certi che il progresso scientifico e il soddisfacimento acritico dei desideri umani avrebbe portato alla scomparsa della religione, fonte di alienazione, e assicurato la felicità all’uomo.
Ma non è stato così! Nella vita di un individuo emerge un’evidenza che non è possibile mettere a tacere: io non sono da me stesso, non vengo dal nulla, ma sono dato da un altro e la nostalgia dell’Altro, da cui vengo, riemerge sempre, seppure con modalità diverse. Questa esperienza porta a riconoscere che noi non siamo solo ciò che tocchiamo, vediamo e mangiamo.
La stessa bestemmia, oggi così diffusa in mezzo ai giovani, è una dimostrazione che Dio è tutt’altro che indifferente. Anche la violenza con cui sempre più spesso si rinnega Dio è la prova dell’incapacità dell’uomo di sbarazzarsi del divino. In un’opera Sartre fa dire a un suo personaggio: Non strapparmi il mio peccato perché è il mio ultimo legame con l’Assoluto.
Spezzato questo legame, non rimane altro che un’infinita solitudine.
Nella società occidentale emerge in maniera eclatante che la pretesa di mutilare la dimensione spirituale - costitutiva dell’uomo - e la volontà di azzerare il sacro, cullando l’illusione di bastare a se stessi e di potere organizzare la realtà terrena senza alcun riferimento alla Verità e a norme morali, porta all’autodistruzione dell’umano, all’inquietudine, al turbamento, all’alienazione, alla violenza cieca e gratuita.
Appaiono quanto mai vere le parole di sant’Agostino: Nessuno può essere amico dell’uomo se non è innanzitutto amico della verità, e di san Giovanni Paolo II: L’uomo è se stesso attraverso la verità. La sua relazione con la verità decide della sua umanità e costituisce la dignità della persona.
La Chiesa, dunque, si trova a doversi confrontare, oggi, non solo con la civiltà dei consumi, ma soprattutto con il pervertimento dell’intelligenza, la quale soffre di miopia. Una sfida tremenda che purtroppo trova la Chiesa in una condizione di estrema debolezza a causa della crisi interna che sta vivendo: crisi della fede da parte di tantissimi battezzati, crisi di santità, crisi di obbedienza, crisi soprattutto del sacerdozio. Questa situazione, purtroppo, mette in ombra i tantissimi vescovi, sacerdoti, religiosi e fedeli che vivono con gioia, dedizione e fedeltà la loro donazione al Signore e il loro servizio ai fratelli.
Insieme agli scandali sessuali e finanziari e alle lotte intestine, oggi, a ben guardare, in molti settori della Chiesa è presente anche una perdita della identità, della missione della Chiesa stessa che favorisce un “esodo silenzioso” di tanti. Una chiesa che insegue le mode del mondo e ne fa proprio il pensiero sarebbe - per usare un’espressione del Card. Danielou - soltanto un pallone sgonfiato da gettare nei rifiuti.
Alla luce di questa analisi, non è mia intenzione mettere al centro della nostra riflessione l’interrogativo che tanti oggi si pongono: “La Chiesa avrà ancora un posto nel mondo di domani?”, quanto piuttosto la domanda che il Papa san Paolo VI pose durante il Concilio Vaticano II: Chiesa che cosa dici di te stessa? In altre parole, è ancora possibile oggi ripetere le parole che proclamiamo durante la messa nella Professione di fede: Credo la Chiesa una, santa, cattolica ed apostolica?
Gesù nel Vangelo quando parla della Chiesa, da Lui fondata, si serve di immagini, quali ad esempio le nozze, lo sposo e la sposa, la vite…Utilizza l’immagine del “monte”, per indicarne la solidità; della luce per sottolineare la sua missione di guida nel bene; la definisce una “vergine” per indicarne l’integrità; la paragona a una donna sterile che partorisce sette volte per evidenziarne la prolificità…
Tante immagini perché la Chiesa - che alla sua origine ha Cristo, il Figlio di Dio fatto uomo - porta con sé una dimensione di mistero che impedisce di ridurla a sola organizzazione umana, religiosa, culturale, caritativa e, quindi, di rinchiuderla in una definizione esaustiva. Al riguardo, però, è importante fare una precisazione. Quando l’uomo si incontra con la Parola di Dio viene messo di fronte ad una scelta e se si decide per Cristo questa decisione comporta anche una creazione culturale perché, come ogni altra scelta, anche il cristianesimo si vive attraverso un linguaggio, dei rapporti umani, un tipo di visione della società.
Le tante immagini se ci ricordano che la Chiesa è anche mistero e non solo istituzione ci aiutano però a comprendere la natura di questo mistero: è un mistero di amore, di innamoramento di Dio, mediante Cristo, nello Spirito santo, del mondo. E l’amore, noi lo sappiamo bene, non è un oggetto su cui investigare, ma è un’esperienza di vita. E’ impossibile, pertanto, dire qualcosa della vera natura della Chiesa e capirne la missione se non si partecipa della sua vita.
La Chiesa implica, dunque, la presenza simultanea di due realtà che sembrano escludersi a vicenda: Dio e l’uomo. La Chiesa non è solo un gruppo di persone radunate attorno a Cristo - magari convergenti verso un medesimo fine - ma non è neppure soltanto Cristo. La Chiesa è sempre Dio e l’uomo, l’uomo e Dio chiamati a vivere in comunione. Il tentativo di dividere Cristo dalla Chiesa nasce dal fatto che o non si conosce bene la persona del Salvatore oppure si difetta nella conoscenza della vera natura della Chiesa.
San Paolo parlando della Chiesa afferma: Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa, purificandola per mezzo del lavacro dell’acqua accompagnato dalla parola, al fine di farsi comparire davanti la sua Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunchè di simile, ma santa e immacolata (Ef. 5.25-27).
San Giovanni Crisostomo ci ha lasciato un vivace commento di questo testo. La Chiesa, egli afferma, è una prostituta che Cristo ha sposato e reso vergine. Precisa che mentre nella realtà biologica le nozze annullano la verginità, presso Dio, le nozze hanno ripristinato la verginità.
Ma chi è questa prostituta, con chi si identifica? E’ l’uomo il quale, creato a immagine e somiglianza di Dio, anziché amare il suo Creatore ha donato il suo cuore ad altri idoli. Dio, tuttavia non si rassegna alla rovina dell’uomo e brama rendere vergine la prostituta. Desidera, cioè, riportare l’uomo alla sua originale dignità e per realizzare questo progetto non si limita ad inviare un angelo o qualcuno dei suoi servi, ma scende in basso Lui stesso, viene lui stesso, l’innamorato. L’uomo – cioè la prostituta - che Dio trova è in condizioni pietose, irriconoscibile e annichilito nella sua dignità: è ubriaco, coperto di ferite, imbestialito, alienato, molestato dai demoni. San Giovanni Crisostomo con queste immagini intende descrive le conseguenze del peccato che non reca alcun danno al Signore, ma offende l’uomo perché deturpa la sua natura fatta a immagine di Dio. La offusca, così, brutalmente, da impedirle di lasciare trasparire la luce divina in lei.
A questo uomo divenuto irriconoscibile, con grande premura e amore Dio si avvicina e gli rivolge parole piene di speranza: Non preoccuparti sono medico. A chi accetta la Sua presenza il Signore lo raccoglie, lo lega a sé e gli dice: Ti pianto in me stesso, ti tengo io. (Homilia de capto Eutropio et de divitiarum vanitate, 6.11).
San Paolo nella lettera agli Efesini così descrive la condizione dell’uomo prima della venuta di Cristo: Eravamo per natura meritevoli d’ira…Ma Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amati, da morti che eravamo per i peccati, ci ha fatti rivivere con Cristo: per la sua grazia siamo stati salvati (Ef 2.3b-5).
La grazia che ci salva ci viene offerta, oggi, dalla Chiesa, la quale è stata descritta dalla tradizione cristiana come una clinica spirituale, una casa di cura o un “grande, meraviglioso e spazioso albergo” (San Giovanni Crisostomo). La Chiesa non è un tribunale e non cerca neppure il potere o il prestigio: ha un solo e unico compito: terapeutico. Guarire, cioè, la nostra umanità decaduta a causa del peccato e dilatarla fino alle sue estreme possibilità per farla partecipe del DioUomo, il Cristo.
San Paolo per descriverci il legame Dio-uomo che si realizza nella Chiesa, tra le tante immagini privilegia quella del corpo: la Chiesa è il Corpo che ha Cristo come Capo. Per comprendere la ragione per la quale san Paolo privilegia questa immagine è necessario rifarsi alla sua esperienza. Saulo, mentre si reca a Damasco per catturare i cristiani, ha un’apparizione di Cristo risorto che gli dice: Saulo, Saulo perché mi perseguiti? (Atti 9.14). In realtà egli perseguitava dei cristiani, cioè delle persone concrete con un nome e un cognome, ma Cristo ha fatto sua la loro persecuzione. Infatti, alla domanda dell’Apostolo: Chi sei, o Signore? si sente rispondere: Io sono quel Gesù che tu perseguiti. Saulo perseguitando i discepoli di Gesù in realtà perseguitava Cristo stesso. Cristo risorto e glorioso per continuare la sua opera nel mondo ha necessità di un corpo e questo il corpo è la Chiesa, siamo noi.
Questa esperienza dell’Apostolo ci dice quanto sia profonda l’unione tra un cristiano e Cristo stesso. La domanda che ora emerge è: Quando si diventa corpo di Cristo? Si diventa corpo di Cristo, cioè Chiesa, mediante il Battesimo, con il quale afferma san Paolo: Voi siete di Cristo (1Cor. 3.23). Cioè apparteniamo a Lui, siamo una sola cosa con Lui, viviamo di Lui, siamo uniti a Lui. Si tratta di un legame così profondo che san Paolo per spiegare il rapporto tra Cristo e la Chiesa usa l’unione coniugale: I due saranno una sola carne (1Cor. 6.15-17).
(La storia continua sotto)
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Non è, dunque, possibile pensare la Chiesa senza Cristo, che come Capo la guida, la sorregge e cammina nella storia. Capo e corpo sono indivisibili. Uno non può esistere senza l’altro. Cristo è inseparabile dalla Chiesa - ne è il Capo – e la Chiesa è inseparabile da Cristo – né è il corpo.
Un corpo per vivere necessita che in esso circoli il sangue. Così la Chiesa, corpo di Cristo che siamo noi, per ricevere la vita divina che ci fa vivere da cristiani, deve rimanere unita a Cristo. Come? Attraverso l’osservanza dei comandamenti, la partecipazione ai sacramenti, in particolare l’Eucarestia - con la quale il Signore ci nutre, cimenta la nostra unione con Lui e rafforza il nostro amore così fragile e incostante - la preghiera, l’esercizio della carità fraterna. Per quanto riguarda i comandamenti vorrei solo ricordare che essi non sono norme restrittive della nostra libertà, ma una medicina che ci aiuta nell’opera di guarigione dell’anima.
Alla luce della rivelazione di Cristo e dell’insegnamento di san Paolo cadono tutti quelle false visioni che portano ad identificare la Chiesa con il Papa, i Vescovi e i sacerdoti. La chiesa siamo tutti noi in forza della nostra unione con Cristo. I pastori sono stati voluti dal Signore come strumenti di unità e di comunione, ma tutti siamo impegnati a superare personalismi e divisioni, a comprenderci maggiormente, ad armonizzare le varietà e le ricchezze di ciascuno per conseguire il nostro vero bene, il bene ultimo della nostra vita: la salvezza eterna.
Il nostro compito non è quello di salvare la Chiesa - poiché la Chiesa, che è il corpo di Cristo, non ha bisogno di salvezza - ma di salvare noi stessi restando dentro la Chiesa, per realizzare il nostro destino soprannaturale, cioè la comunione con Dio. Tutte le verità di fede che la Chiesa propone hanno un unico grande motivo: annunciare che Dio fa irruzione nella banalità dell’esistenza quotidiana, interviene nella storia umana e chiama l’uomo a condividere la Sua vita divina. La Chiesa, allora, non è un muro, una prigione, ma esistenza e vita. Quando la Chiesa si lascia trascinare dalla superficialità e dalla mediocrità di un certo linguaggio culturale che maschera il vuoto oppure si concepisce come una Organizzazione Non Governativa con scopi umanitari, tradisce la profondità dell’uomo, il quale è capace di libertà, di amore e di verità.
S. Gregorio Palamas afferma che con il Battesimo il cristiano acquista la possibilità di diventare erede di Dio. Se però la grazia del battesimo non viene valorizzata il cristiano è come il figlio di un re che ha sì la possibilità di salire al trono, ma muore prima di vedere realizzata questa opportunità.
La missione primaria della Chiesa è quella di suscitare santi, di dare dei santi al mondo, di portare cioè l’uomo a vivere pienamente, autenticamente e felicemente. Per vivere virtuosamente o per suscitare atti di eroismo non è necessaria la Chiesa. Anche il marxismo ha avuto i suoi eroi, così come li ha la scienza, lo sport, le altre religioni. Gli esempi di eroismo, che troviamo ovunque, hanno sicuramente un loro valore e una loro importanza. Sant’Agostino, ad esempio, era un grande estimatore delle virtù dei romani, ma riconosceva che la grandezza di Muzio Scevola non è quella di Gesù Cristo. I santi non sono neppure gli uomini buoni (ce ne sono tanti anche tra coloro che non sono cristiani), ma coloro che partecipano della vita divina di Cristo.
La chiesa può santificare non in forza delle proprie membra, ma perché santo è il suo Capo, il Cristo. La santità dei cristiani scaturisce dalla santità di Cristo, è in realtà una partecipazione alla grazia santificante di Lui. Tutti siamo provocati dalla santità, cioè da una vita vissuta con Cristo. Il santo, infatti, è l’uomo vero, è l’uomo che più di ogni altro assomiglia a Cristo il quale è il prototipo, il modello, l’esempio di ogni umana perfezione, l’autore della grazia.
E’ stato scritto che la presenza di un Agostino e di un Bernardo, di un Domenico e di un Francesco d’Assisi, di un Giovanni della Croce e di una Teresa d’Avila, di un Jean-Marie Vianney e di una Bernardette di Lourdes è sufficiente per giustificare la presenza della Chiesa. Infatti, essi, grazie alla Chiesa hanno vissuto all’altezza del proprio desiderio.
Rinunciare a tendere alla santità significa rinunciare a vivere in pienezza.
Nei santi si manifesta un tipo di umanità particolare che non è caratterizzato da grandezza politica o dal genio scientifico o dalla profondità della cultura (anche se in molti santi si trovano queste caratteristiche) ma dal fuoco della carità. Nei santi emerge un’umanità nuova che è testimonianza della presenza di Cristo oggi. La vita di queste persone indica la verità dell’umano. Già Pascal lo aveva notato: Gesù Cristo non è stato né un grande sapiente né un grande capitano. Ma è stato santo, santo, santo; santo per Dio, terribile per il demonio.
Vorrei concludere questa mia riflessione con un episodio accaduto al Sinodo dei vescovi sui giovani che è stato riportato sul numero di dicembre del mensile Tracce. Mons. Frank Caggiano, vescovo di Bridgeport, nel Connecticut, in un intervento ha posto questa domanda provocatoria: Io non nego che tutti questi giovani abbiano tanti desideri, domande, drammi. Ma perché la Chiesa? Cioè: perché dovrebbero venire da noi per trovare risposta? Dopo l’intervento, un giovane presente al Sinodo, Matteo Severgnini, ha riportato al vescovo la frase che un universitario aveva detto all’Arcivescovo di Milano: “Eccellenza, tra dieci anni il cristianesimo rifiorirà”. L’Arcivescovo di Milano, abbastanza sorpreso, ha chiesto da che cosa nascesse un’affermazione così categorica. Il giovane universitario ha raccontato di avere organizzato una vacanza per le matricole incontrate in università delle quali la maggior parte non sapeva neppure farsi il segno della croce. Alla fine di quei giorni, alcuni hanno chiesto: “Ma voi chi siete? Come fate a guardarci così? A stare con noi in questo modo?”. La risposta di questo giovane è stata: “Questo è il cristianesimo, questa è la Chiesa”. Mons. Caggiano ha spalancato gli occhi e ha commentato: Eh, sì, è come la gente delle origini, la gente era colpita perché i cristiani vivevano in modo diverso e incontravano le persone una ad una.
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