Roma, 11 January, 2019 / 9:00 AM
I The Sun sono senza dubbio “la christian rock band” più amata dai giovani di oggi. Francesco Lorenzi (autore, cantante e chitarrista), Riccardo Rossi (batterista), Matteo Reghelin (bassista), Gianluca Menegozzo (chitarrista) si sono esibiti davanti a Papa Francesco e hanno conosciuto anche il Papa emerito, Benedetto XVI. Il leader Lorenzi vive una decisiva fase di cambiamento personale congiuntamente a un percorso di riavvicinamento al cristianesimo, cammino poi condiviso anche dagli altri membri del gruppo. ACI Stampa ha intervistato il cantante Francesco Lorenzi.
Francesco e i The Sun. Come è nata l'idea di questa band?
I The Sun non sono stati un progetto, un'idea. Rappresentano, piuttosto, il risultato dell'evoluzione spirituale della punk band Sun Eats Hours, fondata nel 1997. Da “miglior punk band italiana nel mondo” (Premio MEI del 2004 ai Sun Eats Hours) al Premio di Papa Francesco con la Medaglia del Pontificato nel 2016 “per il contributo dato allo sviluppo dell'umanesimo cristiano nel mondo”: solo la Provvidenza poteva immaginare una strada tanto particolare. In questo senso i The Sun sono un'esperienza, il cammino di un gruppo di amici per la pelle che, da musicisti, dopo l'incontro con Cristo, si sono messi alla sua sequela. A partire da questo rapporto quotidiano con Dio decliniamo tutta la nostra attività, le nostre produzioni, i nostri viaggi, le nostre scelte. Perché la musica deve servire e fare il bene.
È difficile essere cantanti e musicisti di una band "cattolica"? Quali sono le difficoltà rispetto ad una band pop commerciale? E quali sono invece i lati positivi?
Essere cattolici nel mondo di oggi è difficile. Si va controcorrente. Esserlo nella musica ancora di più. È necessaria una scelta quotidiana. Ma è una benedizione questa lotta: ci permette di fare di ogni giorno un giorno benedetto. Un musicista cattolico per essere considerato come gli altri deve essere bravo il doppio, dimostrare il doppio, fare il doppio. Senza false modestie: il nostro curriculum ormai impressiona anche i più scettici, eppure non ci sentite in radio, non riceviamo inviti nei salotti televisivi. Una parte di media sono sordi alla nostra musica perché le direttive editoriali dei network sono spesso terribilmente distanti dai temi a noi cari. Parliamo di vita vera, di relazioni significative, di responsabilità, di amore autentico, di verità, e ciò che cantiamo lo viviamo: è troppo destabilizzante per un mondo che si basa su frivolezze, finzioni e contenuti usa e getta. Siamo troppo diversi. Anche se questo ostracismo ci rende la vita difficile, ai nostri concerti c'è sempre tanta gente, le nostre iniziative registrano continuamente il tutto esaurito, sia che si tratti di concerti o viaggi o campagne di solidarietà o ritiri spirituali. C'è quindi un mondo di persone che cerca e non si ferma ai media o a ciò che appare. Certo è una minoranza assoluta, ma che minoranza spettacolare! Quindi il lato positivo è che viviamo una vita senza compromessi, che siamo liberi, amiamo e siamo amati profondamente. Questo, se vuoi stare nel mondo musicale cavalcando l’onda commerciale, non l’avrai mai. Attraverso la nostra musica si creano ponti, relazioni, famiglie, esperienze, e tutto in senso vitale. Questa è la musica che avevamo sempre sognato, anche quando non lo sapevamo!
Il tuo nuovo libro “I segreti della Luce” (Rizzoli) racconta di 21 passi verso la felicità. Di che si tratta?
Il cardinale Tagle, arcivescovo di Manila, nella prefazione definisce il libro “una versione moderna delle classiche Confessioni di Sant’Agostino” e afferma che “per quelle persone che sono in cerca di una direzione spirituale o per un direttore spirituale, questo libro costituisce una risposta a tale ricerca”. Dopo il successo del precedente La strada del Sole (Rizzoli, 9 edizioni, tradotto in 8 lingue), non era facile raccogliere questa nuova sfida editoriale, che è stata anzitutto una prova spirituale. “I segreti della Luce - 21 passi per la felicità” (Rizzoli) è una proposta di percorso, un vademecum per vivere quotidianamente la lotta spirituale e trovare la propria strada della felicità. È suddivisa in 3 parti, 21 temi in tutto. È un percorso per chi indaga un significato più profondo nella vita, un cammino rivolto però anche a chi ha paura, a chi è impantanato tra mille dubbi, a chi vorrebbe amare e non ci riesce, a chi ama e si ritrova a essere ferito e stanco, a chi si sente vittima della vita o non protagonista della propria. Ma soprattutto è un libro rivolto a chi cerca.
Il Sinodo dello scorso ottobre è stato dedicato interamente ai giovani. Cosa ne pensi a grandi linee del documento finale firmato dal Papa ?
Innanzitutto mi ha molto positivamente colpito l’icona biblica scelta, ossia quella di Emmaus: Gesù che cammina con i discepoli. La Chiesa – ha detto chiaramente il Papa – vuol continuare a fare lo stesso con i giovani: camminare insieme, condividere la fatica e le gioie della strada. Solo così, accogliendo e interpretando le domande dei giovani, la Chiesa potrà essere credibile. Solo essendo “mater” (madre) potrà diventare “magistra” (maestra). Quando invece prevalgono l’atteggiamento moralistico, il rimpianto per i tempi andati e cose del genere la Chiesa perde il contatto con i giovani e questi smarriscono l’opportunità principale per entrare in contatto con Cristo. Un’altra cosa importante. Al n. 47 il documento afferma: “Il Sinodo riconosce e apprezza l’importanza che i giovani danno all’espressione artistica in tutte le sue forme (…) Per secoli la “via della bellezza” è stata una delle modalità privilegiate di espressione della fede e di evangelizzazione. Del tutto peculiare è l’importanza della musica, che rappresenta un vero e proprio ambiente in cui i giovani sono costantemente immersi, come pure una cultura e un linguaggio capaci di suscitare emozioni e di plasmare l’identità». Se pensiamo a quanto oggi i messaggi musicali influenzino il modo di pensare e di vivere dei giovani (un solo esempio: certi testi di rapper e trapper di cui l’opinione pubblica ha preso coscienza solo dopo i tragici fatti di Corinaldo!) intuiamo quanto sia importante che la Chiesa si confronti con tutti i linguaggi che i giovani usino e si faccia portatrice di messaggi positivi, in controtendenza rispetto a un mainstream che a volte assume i toni di un terribile nichilismo.
Siete appena tornati dalla Giordania per tre concerti di solidarietà: perché e su invito di chi?
Abbiamo voluto fortemente realizzare questo viaggio in Giordania (dal 14 al 18 dicembre) e i relativi tre concerti per sostenere i cristiani iracheni rifugiati a causa della persecuzione perpetrata a loro danno dall'Isis. Questo 2018 è stato per noi un anno particolarmente significativo: abbiamo festeggiato il nostro 20esimo con un nuovo spettacolo di successo (“Ogni benedetto giorno”) e a ottobre abbiamo portato nuovamente 230 persone da tutta Italia in Terra Santa; volevamo concludere perciò ringraziando Dio attraverso una iniziativa di solidarietà per tutto il bene che ci sta facendo sperimentare. Così abbiamo accolto l’invito di Don Mario Cornioli e dell'associazione Habibi: don Mario si prende cura in modo esemplare di centinaia di famiglie e di giovani rifugiati cristiani ridando loro dignità attraverso iniziative imprenditoriali di qualità, oltre che ristabilendo la normalità dell'istruzione scolastica e comunitaria a persone che hanno perso tutto. Il suo esempio è per noi una luce da molti anni e, anche per la nostra canzone “Le case di Mosul”, tanti giovani iracheni ci attendevano con grande entusiasmo. I concerti si sono trasformati in una vera esperienza di comunione fraterna. Ci siamo inseriti così in un contesto che ci ha travolti e interrogati profondissimamente. Quando ascolti certe storie, quando scopri la verità che qui non arriva… ricevi uno schiaffo alla coscienza. Gesù Cristo si mostra attraverso questi fratelli che, per non rinnegare la loro fede, hanno lasciato tutto e patito sofferenze immani. E noi? Abbiamo una responsabilità.
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