Katowice, 08 December, 2018 / 4:00 PM
Quella che va dal 3 all’11 dicembre è una settimana particolarmente intensa per la diplomazia pontificia. Il 3 dicembre, il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, ha parlato a Katowice, in Polonia, dove si teneva il COP24, il 24esimo incontro sul cambiamento climatico. L’11 dicembre, si concluderanno le consultazioni di Marrakech sul Global Compact sulle migrazioni, un tema cui la Santa Sede tiene molto. Sarà proprio il Segretario di Stato Vaticano a guidare la delegazione della Santa Sede a Marrakech.
Il Cardinale Parolin a Katowice
La presenza del Cardinale Parolin a Katowice, per il COP24, testimonia come l’impegno della Santa Sede per il clima sia concreto. Non solo Papa Francesco ha scritto una enciclica tutta dedicata alla “cura della casa comune”. Lo stesso Cardinale Parolin ha guidato la delegazione vaticana a Parigi, per il COP21, dove si delineò un accordo sul clima, cui però non tutti gli Stati hanno aderito.
Nel suo intervento a Katowice, lo scorso 3 dicembre, il Cardinale Parolin ha reiterato che l’obiettivo fondamentale dell’incontro è quello di sviluppare il programma di lavoro dell’accordo di Parigi, con lo scopo di renderne l’implementazione più facile e veloce.
Il Segretario di Stato vaticano ha messo in discussione l’eventuale volontà politica per mettere a punto “le necessarie linee guida, regole e meccanismi istituzionali per limitare il riscaldamento globale attraverso un modello di sviluppo libero da comportamenti e tecnologie che producono così tanti gas serra”.
Il Cardinale Parolin ha anche sottolineato la preoccupazione della Santa Sede, che vorrebbe l’accordo fondato su solide basi morali, e che l’accordo si focalizzasse sulla necessità di incontrare sia i bisogni del presente che quelli del futuro, perché “abbiamo una grande responsabilità per le future generazioni”, cui dobbiamo evitare di “assorbire i poteri di oggi”.
Il Cardinale Parolin ha anche chiesto alle nazioni sviluppate di guidare verso il consumo sostenibile e nuovi modelli di produzione, “identificando incentivi finanziari, assicurando la piena ed efficace partecipazione delle popolazioni locali nei processi di decisione ed implementazione, ed assicurando seguiti efficaci e trasparenti”.
C’è bisogno – ha concluso il Segretario di Stato vaticano – di una “risposta collettiva senza precedenti”, perché le risposte individuali e nazionali di per sé non sono abbastanza”.
Il discorso dell’arcivescovo Gallagher all’OSCE
Nonostante il ruolo svolto dall’OSCE, non mancano conflitti nelle regioni che hanno aderito all’organizzazione, e per questo la Santa Sede “incoraggia con forza gli attori interessati ad evitare azioni che destabilizzano le nazioni vicine”, ma piuttosto a impegnarsi in un dialogo onesto e aperto, nello sforzo di rafforzare la pace e la giustizia e di implementare gli impegni che abbiamo preso”. Lo sottolinea l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, “ministro degli Esteri” vaticano, al Consiglio ministeriale dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa.
Il Consiglio si è tenuto a Milano il 6 e il 7 dicembre, e l’arcivescovo Gallagher ha tenuto il suo intervento il 7 dicembre, giorno di Sant’Ambrogio.
Il presule ha ricordato che la Santa Sede è stata “attivamente coinvolta” nei negoziati che hanno portato alla dichiarazione di Helsinki alla base della costituzione dell’OSCE, che mette gli stati tutti intorno a un tavolo. Eppure, nota il “ministro degli Esteri vaticano”, anche “il nostro tempo di oggi non è immune da guerre, conflitti e tensioni”, e per questo la Santa Sede incoraggia al dialogo, chiedendo di usare “gli strumenti della nostra organizzazione designati per “disinnescare conflitti e restaurare un clima di fiducia e confidenza tra gli Stati che vi partecipano”.
La Santa Sede – continua l’arcivescovo Gallagher – supporta tutti gli sforzi OSCE per risolvere i conflitti e prevenire e combattere le “minacce transnazionali, inclusi il terrorismo e l’estremismo violento la radicalizzazione”, nonché tutto il lavoro dell’organizzazione per affrontare temi di sicurezza più ampia come migrazioni, traffico di esseri umani e le conferenze umanitarie e la sofferenza dovuta ai conflitti”.
L’arcivescovo Gallagher sottolinea che l’obiettivo principale deve essere “assicurarci che tutte le persone vivono in pace e sicurezza”, riafferma che la Santa Sede è pronta a collaborare nello sviluppare gli strumenti OSCE che cercano di creare pace e sicurezza, e che lo stesso si può dire per gli sforzi che intendono prevenire e condannare le violenze contro le donne.
Nel 70esimo della Dichiarazione dei Diritti Universali dell’Uomo, l’arcivescovo Gallagher ricorda anche l’universalità dei diritti umani è “una questione cruciale della nostra epoca”, e che sono due i temi da considerare: una interpretazione radicalmente individualista di alcuni diritti e l’affermazione di nuovi diritti, che ha fatto sì che il consenso globale su questi diventasse molto più difficile; e secondo, che l’universalità dei diritti umani è oggi basata sull’idea che tutti i diritti universali dell’uomo e le libertà fondamentali debbano essere protette e promosse, e per questo è inaccettabile che si rispetti un diritto umano a condizione che questo sia parte di una discussa dibattuta del diritto.
La Santa Sede si mostra preoccupata per “la crescente prevalenza” di un approccio riduzionista, in particolare per quanto riguarda la libertà di religione e di credo”, che porta un fallimento nell’apprezzare il vero senso della libertà di religione e di credo, ma anche il legittimo ruolo della religione nella vita pubblica.
Questo si ritrova – denuncia il “ministro degli Esteri” vaticano – anche in sentimenti e manifestazione di intolleranza e discriminazione contro i cristiani, l’ultimo pregiudizio accettabile in molte società.
Sono anche questi i temi di cui ci si deve preoccupare, e per questo la Santa Sede richiama tutti gli Stati che partecipano “a riconoscere che il solo approccio significativo alla dimensione umana è cercare una comprensione comune dei diritti umani universali e delle libertà fondamentali”.
Settanta anni della dichiarazione dei diritti dell’Uomo: la Santa Sede a New York
Si è tenuta il 4 dicembre, a New York, una conferenza alle Nazioni Unite su “La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani nei suoi 70 anni: Fondamenti, Successi e Violazioni”. L’arcivescovo Bernardito Auza, Osservatore Permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite a New York, era a Katowice per il COP24, e così il suo intervento è stato letto da monsignor Tomasz Grysa.
Nel suo intervento, l’arcivescovo Auza ha definito, sulle orme di San Giovanni Paolo II, la Dichiarazione dei Diritti Umani come un “documento fondamentale”, “ispirazione e pietra angolare”, una “delle più grandi espressioni della coscienza umana nel nostro tempo”, e ha spiegato come coloro che hanno scritto i diritti umani hanno presupposto che questi fossero riconosciuti in “universalità, obiettività e unità”, mostrando una particolare preoccupazione per il fatto che “l’interpretazione di alcuni diritti è progressivamente cambiata”, portando a rivendicazioni di “nuovi diritti” che sono in conflitto con gli attuali diritti trovati nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo.
Tra gli interventi della conferenza, quello di Mary Ann Glendon, già ambasciatore degli Stati Uniti presso la Santa Sede, che ha sottolineato come la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani “dimostra come in alcuni casi alcuni buoni uomini e donne in momenti cruciali della storia possono davvero fare la differenza”. Glendon ha anche ricordato la battaglia che le nazioni più piccole hanno fatto nel convincere i poteri più grandi ad abbracciarli, “mettendo in discussione, con successo, la visione che la sovranità fornisse uno scudo d’acciaio dietro il quale gli Stati potessero maltrattare i loro popoli senza alcun controllo esterno”.
Il professor Robert George, di Princeton, si è lamentato degli “assalti” al progetto dei diritti umani portato avanti da alcuni individui e gruppi, e in particolare sul diritto alla libertà religiosa.
Michael Farris, presidente e amministratore delegato di Alliance for Defending Freedom, che ha co-sponsorizzato l’evento, ha detto che va notato come diverse agenzie che dovrebbero promuovere i diritti umani li stiano, in realtà, mettendo a rischio, e tra questi ci sono agenzie ONU, rapporti speciali e vari comitati, e in particolare il Comitato per i Diritti Umani che si impegna per far riconoscere tra i diritti umani aborto e eutanasia.
(La storia continua sotto)
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Paolo Carozza, direttore dell’Istituto Kellogg per gli Studi Internazionali, ha messo in luce come le agenzie dei diritti umani possono facilmente essere prede di speciali gruppi di interesse, e spesso mancano di responsabilità.
Settanta anni della dichiarazione dei Diritti dell’Uomo: la Santa Sede a Ginevra per la Dignità della Vita
Nell’ambito delle celebrazioni per il 70esimo anniversario, si è tenuto un evento speciale alle Nazioni Unite di Ginevra, organizzato dalla Missione Permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite di Ginevra, l’Ordine di Malta, la Fondazone Caritas in Veritate, l’Internatonal Catholic Chidl Bureau, la Pontificia Accademia per la Vita e l Centro Europeo per la Legge e la Giustizia.
L’evento era in particolare sul tema “70esimo anniversario della Dichiarazione dei Diritti Umani – il diritto alla vita”.
L’evento era diviso in due “panels”, uno sulla “Universalità della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e le sue sfide”, e l’altro sulla Dignità della Vita.
Marie Therese Pictet-Althan, ambasciatore del Sovrano Ordine di Malta presso le Nazioni Unite, è stata moderatore del primo panel. Nel suo intervento ha denunciato il rischio che nuovi strumenti internazionali, come la Dichiarazione del Cairo o la Carta Africana sui diritti umani e della popolazione, possono rappresentare una sfida alla nozione di universalità, perché “propongono un approccio adattato a specifici bisogni culturali, sociali, religiosi, etnici o persino economici.
L’ambasciatore Martin Ihoeghian Uhmoihhi, che presiede l’Istituto Panafricano per gli Affari e le Strategie globali, ha ricordato che, nel mezzo di molti validi risultati nei passati 70 anni, ci sono ancora sfide per le nostre proiezioni di un mondo in cui i diritti dei cittadini individuali siano protetti, riconosciuti e anche garantiti.
Gregor Puppinck, direttore dello European Center for Law and Justice, ha ricordato che “la dignità umana non è correlata con i tratti fisici o intellettuali delle persone” e per questo “l’attuale disaccordo sulla natura e dignità dell’essere umano mette in pericolo il consenso della intera cornice dei Diritti Umani”.
Alessandra Aula, segretario generale dell’International Catholic Child Bureau, ha sottolineato che la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, dicendo che tutti gli esseri umani sono “liberi ed uguali in dignità e diritti, e sono dotati di ragione e coscienza”, prende un punto di vista preciso, e cioè che l’essere umano è razionale ee morale, e quest’ultima è alla base della dignità speciale dell’essere umano.
L’arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente della Pontifica Accademia della Vita, ha sottolineato come “70 anni dopo l’adozione della Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo, la questione della dignità umana è ancora dibattuta”, perché se in linea teorica la questione della dignità p chiara, il problema viene fuori quando questo deve essere messo in pratica. L’arcivescovo ha poi messo in luce come “tutti i cristiani sono chiamati ad offrire alla cultura contemporanea un profondo senso di dignità della persona umana, al di là del possesso di qualunque altra cosa l’individuo può fare di se stesso o portare alla società, mettendo in luce che la dignità di uomini e donne deriva dall’essere figli di Dio”.
Tra i casi particolari analizzati, quello della legalizzazione dell’aborto affrontato da Helen Alvaré, giurista. La legalizzazione – ha detto - ha creato un “crescente numero di aborti”, e quindi un sempre maggiore numero di donne che soffrono di “severe ripercussioni psicologiche e spirituali”. Viene anche esercitata pressione sul diritto all’obiezione di coscienza, mentre l’aborto legalizzato è considerato come un mezzo per il progresso delle donne, il movimento per legalizzare l’aborto in nome dei diritti umani viene da una visione dell’essere umano che “si fa da solo” e che quindi ha il potere sulla vita e la morte di altri.
Verso il Global compact per le Migrazioni: cosa dice la Santa Sede
La sezione Migranti e Rifugiati del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale ha rilasciato, il 6 dicembre, una nota in vista della conferenza intergovernativa per l’adozione del Patto Globale per una migrazione sicura, ordinata e regolare, mentre è già stato approvato il mese scorso, nella terza commissione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il Patto Globale sui Rifugiati.
Nel suo comunicato, la sezione Migranti e Rifugiati ha rimarcato l’impegno della Santa Sede, basato sulle quattro parole “accogliere, proteggere, promuovere e integrare”, da cui è scaturito un piano di azione in 20 punti che è stato alla base del contributo ufficiale della Santa Sede alle consultazioni del 2017 e ai negoziati del 2018.
La sezione si dice “felice” che molti dei principi dei 20 punti sono nel testo finale dei Patti e in particolare in 15 dei 23 obiettivi dell’Accordo Globale, ha sottolineato che l’accordo non è vincolante, ma piuttosto “si propone di suggerire azioni tese ad assicurare alcuni valori universali”, come “salvare vite umane, prevenire il traffico e la tratta, fornire informazioni accurate, facilitare politiche di selezione giuste, ridurre la vulnerabilità della migrazione, gestire in modo efficace i confini, investire nello sviluppo di competenze”.
Tra le buone pratiche incluse nel documento – nota la Sezione Migranti e Rifugiati – ci sono quelle di “offrire educazione, aprire corridoi umanitari, accompagnare i migranti nei Paesi di transito e promuovere l’incontro interculturale per favorire l’integrazione nei Paesi di arrivo”.
Sono proposte che “gli Stati e le altre parti coinvolte possono scegliere di attuare internamente, bilateralmente e anche regionalmente”. La Santa Sede lo considera un buon patto, ma “esprime delle riserve e commenti riguardo alcuni riferimenti che contengono terminologia, principi e linee guida che non sono né parte del linguaggio concordato a livello internazionale, né in linea con la dottrina cattolica”. In particolare, si menzionano i riferimenti che suggeriscono il Pacchetto di Servizi Minimi Iniziali, che sono servizi sanitari legati alla salute sessuale e riproduttiva e che includono l’aborto.
Nonostante le riserve, la Santa Sede guarda all’accordo con speranza, perché la Chiesa “può fare molto nell’area vasta e complessa della mobilità umana”, e lo fa “con un approccio integrale (spirituale e materiale) nell’accoglienza, protezione, promozione e integrazione dei migranti più vulnerabili”, e lo continuerà a fare anche nei Paesi che non aderiranno all’accordo.
Verso l’accordo globale sulle migrazioni: la posizione della COMECE
Anche la commissione delle Conferenze Episcopali di Europa (COMECE) ha preso posizione sul Global Compact, con una nota diffusa dall’arcivescovo Jean Claude Hollerich di Lussemburgo, presidente dell’organismo. La nota, che data il 3 dicembre, riafferma l’impegno della Chiesa in Europa nella responsabilità comune di accogliere, proteggere, promuovere e integrare, e sottolinea che “i principi della centralità della persona umana e dei suoi bisogni reali sul bene comune devono presiedere l’Unione Europea e le politiche interne ed esterne degli Stati membri nelle questioni migratorie”. Ricordando le esortazioni della Santa Sede a riguardo, il COMECE “incoraggia gli Stati membri dell’Unione Europea a fare di questo accordo un risultato per il bene comune di una umanità condivisa.
Il ministro degli Esteri del Libano dall’arcivescovo Gallagher
Il ministro degli Esteri libanese Gebran Bassil è stato il 30 novembre in Vaticano, dove si è incontrato con la sua controparte, l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati della Santa Sede. All’ordine del giorno, la questione dei rifugiati, anche perché il Libano era in polemica con alcune affermazioni del “ministro degli Esteri” vaticano riguardo, appunto, l’accoglienza dei migranti in Libano.
“La visita – ha spiegato Bassil – aveva lo scopo di spiegare la possibilità e la necessità che i rifugiati tornino in Siria, e per chiedere a Gallagher cosa sapesse riguardo la posizione del Vaticano nel supportare il Libano. Lui ha promesso che avrebbe aiutato a spiegare e supportare la nostra posizione nella comunità internazionale”.
Secondo il ministero degli Esteri libanese, l’incontro si è focalizzato sulla sicurezza e sulle pressioni economiche che il Libano ha vissuto per aver ospitato più di un milione di rifugiati siriani e palestinesi, l’arcivescovo Gallagher avrebbe promesso di “spiegare la posizione del Libano e spiegarla nei forum internazionali, specialmente alle nazioni europee e agli Stati Uniti”, mentre Bassil ha sostenuto che il Libano “non può più tollerare questa situazione” attuale.
Secondo fonti libanesi, l’arcivescovo Gallagher aveva sostenuto, in un incontro della scorsa settimana con parlamentari libanesi, che era “necessario organizzare la nazione per affrontare le sfide che vi attendono”, perché “la questione de rifugiati siriani è un peso per la nazione, ma sfortunatamente il loro ritorno potrebbe non accadere.”.
La croce della Fondazione Pave the Way alla Missione della Santa Sede presso le Nazioni Unite di New York
La fondazione Pave the Way, che ha lo scopo di identificare ed eliminare gli ostacoli di natura non religiosa nel dialogo tra fedi, ha donato alla Missione della Santa Sede presso le Nazioni Unite di New York una croce alta quasi un metro e pesante 136 chili, fatta di acrilico e creata dagli scultori Mitchell Meisner e Colby Grace per onorare la canonizzazione di Giovanni Paolo II.
La fondazione – ha detto Gary Krupp, fondatore e presidente di Pave the Way– ha “deciso di commemorare San Giovanni Paolo II per il suo lavoro per la pace tra le nazioni e in gratitudine per il suo lavoro a favore di pacifiche relazioni tra Ebrei e Cristiani”.
La croce è stata posta nell’ufficio dell’arcivescovo Auza, Osservatore Permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite, dove vengono ricevuti ospiti di tutto il mondo e dove – ha detto l’osservatore – gli ospiti possano essere “colpiti dalla sua bellezza” e ispirati a lavorare per “un futuro pieno non dell’oscurità della paura, ma dalla luce radiante simbolizzata dalla sua colomba”.
Guardando al significato della colomba, l’arcivescovo Auza ha sottolineato che questa è “perenne simbolo di pace” dai tempi di Noè, che il Talmud ha interpretato la colomba come “un simbolo dello spirito di Dio”, e che questo simbolismo è divenuto ancora più significativo per i cristiani quando lo spirito di Dio venne su Gesù nella forma di una colomba”.
San Giovanni Paolo II, durante la sua seconda visita alle Nazioni Unite nel 1995, benedì anche i nuovi uffici della missione dove ora si trova la croce.
La Santa Sede a New York: sullo sviluppo dei Paesi a medio reddito
All’assemblea generale delle Nazioni Unite si è tenuto il 4 dicembre un incontro di alto livello sulla Cooperazione allo Sviluppo con le Nazioni a medio reddito.
Nel suo intervento, la Santa Sede ha lodato l’agenda del 2030 per lo sviluppo sostenibile, per enfatizzare che lo sradicamento della povertà e la promozione di autentico sviluppo umano coinvolge un approccio reciproco nei progressi sociali, ambientali ed economici, piuttosto che focalizzarsi sul mero sviluppo economico.
Le chiavi per lo sviluppo sono “diritti umani, educazione, cura sanitaria, protezione della casa comune”, e serve “una economia di inclusione, che permette alle persone delle nazioni a medio reddito di diventare agenti del loro stesso sviluppo, venendo coinvolti in decisioni chiave sulle politiche che li colpiscono”.
Perché questo accada – ha sottolineato la Santa Sede – l’economia globale “non può essere dominata da mercati senza regole e da una etica del profitto ad ogni costo”, ma deve piuttosto collegare la dignità umana e il bene comune”.
Un incontro di Alto Livello sull’AIDS Pediatrico in Vaticano
Il 6 e 7 dicembre, il Cardinale Peter Turkson, prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, ha tenuto un dialogo sulla Diagnosi e il Trattamento dell’HIV pediatrico alla Pontificia Accademia delle scienze. Il dialogo ha avuto luogo con amministratori delegati di case farmaceutiche e dialogo, come parte dell’impegno della Sanata Sede per assicurare medicine e strumenti di diagnosi ottimali per bambini, infanti ed adolescenti che vivono con l’HIV.
L’incontro nasce dalla consultazioni che si sono tenute ad aprile e maggio 2016 e a novembre 2017, l’incontro ha l’obiettivo di superare le difficoltà che limitano l’accesso ai prodotti diagnostici della Prima Infanzia e a programmi che fanno crescere strategie che possono aiutare ad identificare velocemente i bambini esposti all’HIV. Nel 2017 erano stati presi degli impegni, che sono stati valutati durante la conferenza. Ci sono più di 120 mila bambini che continuano a morire ogni anno a causa di AIDS o situazioni correlate alla malattia, mentre ci sono circa 13 mila bambini che vengono infettati ogni mese. I partecipanti al Dialogo hanno concordato un piano di azione per introdurre e sviluppare strumenti di diagnostica e strategie di recupero dei casi, e di intensificare l’impegno in area chiave, come quella di creare formule per nuovi medicinali.
Il governo attacca ancora i vescovi in Nicaragua
Dopo le aggressioni subite a luglio, anche contro il Cardinale Leopoldo Brenes, i vescovi nicaraguensi, che avevano lavorato come mediatori al Dialogo Nazionale per aiutare ad alleviare le tensioni tra governo e popolazione, sono stati di nuovo presi di mira dal presidente Daniel Ortega a seguito della diffusione del Messaggio di Avvento.
Nel messaggio, i pastori rivolgono ancora una volta un appello per la ripresa del dialogo tra le parti sette mesi dopo l’inizio della manifestazioni contro il governo. Il presidente ha reagito sottolineando che i vescovi “non hanno niente di cristiano e agiscono con una mente criminale, da terroristi”, e che questi, dopo che il governo aveva invitato loro come mediatori, “sono venuti meno a questo ruolo e sono passati a essere parte attiva delle forze golpiste”. Secondo Ortega, “i vescovi non hanno nulla a che vedere” con Gesù Cristo e “non conoscono” la sua parola. “Speriamo – ha infine ironizzato – che la stella di Betlemme dia loro un po’ di luce”.
Sicurezza pubblica del Messico, la posizione della Santa Sede,
Lo scorso 5 dicembre, in una intervista concessa durante una visita a Tehuacan, l’arcivescovo Franco Coppola, nunzio apostolico in Messico, ha sottolineato che la Chiesa Cattolica conosce il problema della sicurezza pubblica in Messico, perché presente in Messico e in molti Paesi dove la violenza pubblica è forte, e dunque appoggerà il presidente Andrés Manuel Lopez Obrador sul tema.
I sacerdoti, ha detto, sono gli unici che sono presenti a fianco del popolo in scenari di violenza, e per questo, con la loro esperienza, possono aiutare il governo ad affrontare la violenza in Messico.
L’arcivescovo ha anche sottolineato che “la Chiesa Cattolica si prepara ad affrontare le sfide del mondo attuale”, soprattutto a fianco dei giovani, che hanno “necessità speciali”.
L’ambasciatore di Spagna presso la Santa Sede presenta la sue lettere credenziali
Maria del Carmen de la Pena Corcuera è nuovo ambasciatore di Spagna presso la Santa Sede e ha presentato lo scorso 6 dicembre a Papa Francesco le lettere credenziali. Nel servizio diplomatico spagnolo dal 1979, con un passato anche nelle sedi di Pechino e di Brasilia, Carmen de la Pena è un diplomatico di lunghissimo corso, con esperienza in tutto il mondo, una grande esperienza nelle questioni energetiche africane e un incarico di ambasciatore a Doha dal 2011 al 2015 che l’ha portata a contatto con il mondo arabo.
Con il nuovo governo, i rapporti tra Santa Sede e Spagna sembrano essere più tesi, non solo per la questione dell’esumazione di Francisco Franco – di cui il vicepremier Calvo ha parlato in un incontro con il Cardinale Parol in Vaticano un mese fa – ma anche per una presunta volontà del governo socialista di rivedere il Concordato.
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