“È una grazia per me trovarmi su queste alture, dove, sotto lo sguardo del monte Ararat, anche il silenzio sembra parlarci; dove i “khatchkar” – le croci di pietra – raccontano una storia unica, intrisa di fede rocciosa e di sofferenza immane, una storia ricca di magnifici testimoni del Vangelo, di cui voi siete gli eredi”. Sono le parole del Papa a Yeravan, in occasione della preghiera per la pace, davanti a circa 5 mila persone. Il viaggio in Armenia di Papa Francesco continua. E giunge all’ultimo appuntamento di questa seconda intensa giornata.
C’è un’opera di misericordia che Giovanni Paolo II ha donato all’Armenia, e che è lì, tra le montagne del Caucaso, quasi al confine con la Georgia. Si chiama “Redemptoris Mater”, è un ospedale gestito dai Camilliani, ma è comunemente noto come “l’ospedale di Giovanni Paolo II”. A questo ospedale, Papa Francesco ha fatto riferimento nei ringraziamenti finali della messa a Gyumri. E lo avrebbe probabilmente visitato, se il programma non fosse stato così chiuso.
Sono due orfani dal volto sofferto, magrissimi, che cercano casa, quelli rappresentati nella scultura in bronzo che le suore Armene dell’Immacolata Concezione hanno fatto preparare per Papa Francesco. Dopo la celebrazione nella piazza di Gyumri, Papa Francesco è andato infatti all’orfanotrofio Boghossian di Nostra Signora di Armenia. Un breve benvenuto, prima di un pranzo privato con il seguito e un momento di riposo.
Il vuoto di generazioni: è questo il segno più profondo che ha lasciato il Metz Yeghern, il “Grande Male”, come gli armeni chiamano l’uccisione sistematica del loro popolo che a più ondate si è scatenato a partire dal XIX secolo. Ma è anche il segno profondo che hanno lasciato 70 anni di regime comunista. Prima la distruzione di un popolo, poi il tentativo di distruggere la loro religiosità: è una qualcosa che va ben oltre la definizione del genocidio.
Quando si imbocca la strada per Khor Virap, che è anche l’unica strada che dalla capitale Yerevan porta fino all’Iran, l’Ararat è lì. La montagna su cui si posò l’Arca di Noè, da sempre parte della tradizione armena, con le sue due vette, la più piccola Sis e la più grande Massis, si staglia lungo tutto il percorso, e resta sullo sfondo del santuario che è nato intorno al pozzo dove Gregorio l’Illuminatore, colui che ha battezzato l’Armenia facendone la prima nazione cristiana, è rimasto per anni. Ma proprio quando si arriva al santuario, l’Ararat si presenta con tutto il suo paradosso: è lì, è vicino, ma è in territorio turco. La catena di alberi che si vede alle sue pendici è solo l’accesso ad un fiume che fa da confine. E il confine con la Turchia è chiuso.
Una visita al memoriale che ricorda “il grande male”, ovvero il massacro degli armeni che all’inizio del XX secolo provocò 1 milione e mezzo di morti. Una preghiera per la pace, una dichiarazione congiunta e un pranzo ecumenico con la Chiesa apostolica armena, ovvero la Chiesa Cattolica Ortodosso Gregoriana, considerata una delle comunità più antiche del mondo. Una preghiera per la pace. Sono i momenti salienti del viaggio di Papa Francesco in Armenia, dal 24 al 26 giugno, il cui programma è stato diffuso oggi dalla Sala Stampa Vaticana.