Il Sud Sudan ha bisogno di “padri, non padroni”. Papa Francesco si rivolge direttamente alle autorità, che incontra nel suo primo appuntamento nel Paese. Era un viaggio desiderato da tempo, per Papa Francesco. Un “pellegrinaggio ecumenico”, insieme all’arcivescovo di Canterbury Justin Welby e al moderatore della Chiesa di Scozia Iain Greenshields, per aiutare il processo di pace in un Paese giovane, nato nel 2011, che vive in un conflitto interno che sembra essere senza fine. E chiede alle autorità di servire il popolo, ascoltando non la parola del Papa, ma quella di Gesù al discepolo che sfodera la spada. È la parola “Basta”, più volte pronunciata dal Papa in questi giorni.
Per la prima volta, non c’è solo il nunzio e le autorità del Paese ad entrare nel volo papale per accoglierlo dopo l’atterraggio. Ad aspettare Papa Francesco, nell’aeroporto di Giuba, ci sono anche l’arcivescovo di Canterbury Justin Welby e il moderatore della Chiesa di Scozia Iain Greenshields. Anche loro entrano nell’aereo e salutano il Papa, prima di uscire dalla scaletta, mentre il Papa, come ormai da tempo, usa un piccolo ascensore e resta in sedia a rotelle per i ben noti problemi al ginocchio.
Papa Francesco, l’arcivescovo anglicano di Canterbury Justin Welby, leader della Comunione anglicana mondiale,
Quello di Papa Francesco in Sud Sudan sarà un viaggio ecumenico, perché il Papa accompagnato dal primate anglicano Justin Welby e dal moderatore della Chiesa di Scozia Jim Wallace. Un chiaro segnale che il movimento ecumenico, che larga parte ha avuto anche nella nascita del Paese nel 2012, è in prima linea nell’impegno della pace. E così, non poteva che essere ecumenico il motto del viaggio del Papa in Sud Sudan: “Prego perché tutti siano una cosa sola”.