Ha iniziato il suo mandato presidenziale lo scorso 5 marzo, ed è già da Papa Francesco per la sua prima visita: Támas Sulyok, presidente di Ungheria che è succeduto a Katalin Novak dopo lo scandalo che la ha travolta, incontra Papa Francesco a un anno dalla visita in Ungheria, nel giorno in cui i pellegrini giunti da ogni parte di Ungheria sono arrivati dal Papa per la cosiddetta “visita di restituzione”, ovvero il pellegrinaggio che ringrazia della visita. E, nel corso dei colloqui bilaterali, c’è stato un focus particolare sulla pace in Ucraina, con l’Ungheria che si candida ad essere uno dei partner principali della Santa Sede nella ricerca di una pace negoziata che termini l’aggressione russa all’Ucraina – tema sul quale ha avuto una grande sintonia con Papa Francesco.
Quaranta minuti di colloquio, e uno scambio di doni particolarmente simbolico, con un riferimento diretto alla guerra in Ucraina. Perché Papa Francesco, dando al primo ministro ungherese Viktor Orban la medaglia di San Martino, ritratto nell’atto di coprire il povero con il mantello, ha sottolineato che quella medaglia stava a simboleggiare proprio l’assistenza che gli ungheresi stanno dando ai rifugiati. Un impegno, questo, toccato con mano dal Cardinale Michael Czerny, che era stato in Ungheria a inizio marzo inviato da Papa Francesco proprio per supportare il lavoro al confine con l'Ucraina.
Dopo la rivolta di Budapest del 1956, il Cardinale Jozsef Mindszenty, primate di Ungheria, si rifugiò nella Legazione diplomatica degli Stati Uniti e l’intervento dei carri armati sovietici in Ungheria. E fu in quel periodo che Mindszenty divenne un eroe della Chiesa del silenzio. Non solo un eroe nazionale, ma una personalità internazionale. Eppure, già prima di tutto questo, quando Mindszenty era incarcerato, la sua storia era conosciuta. Tanto da suscitare l’interesse, nemmeno troppo passivo, di un signore molisano.
Due bilaterali, su temi comuni, scelti con cura per evitare controversie e guardare avanti nella collaborazione tra gli Stati. Ungheria e Slovacchia hanno parlato a lungo con la Santa Sede, nel corso di due incontri bilaterali che si sono svolti durante la visita di Papa Francesco nei due Paesi. In Ungheria, c’era anche il Papa, in una interlocuzione costante con il presidente Ader, da pari a pari, e con a fianco il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, e l’arcivescovo Paul Richard Ggallagher, segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati. In Slovacchia, dopo l’incontro del Papa con la presidente Caputova e il discorso alle autorità, c’è stato anche un successivo bilaterale nel pomeriggio del 13 settembre, che ha coinvolto il Cardinale Parolin, l’arcivescovo Gallagher il primo ministro slovacco Heger.
Un incontro privato con presidente e primo ministro di Ungheria, vari incontri nella nunziatura con i vertici politici in Slovacchia. Il viaggio di Papa Francesco a Budapest e in Slovacchia ha anche un aspetto diplomatico da non sottovalutare. Tutto, in maniera forse eccessiva, si è concentrato sul fatto che Papa Francesco non volesse incontrare il Primo Ministro ungherese Viktor Orban, in dissenso con le sue politiche. Alla fine, però, l’incontro ci sarà, ed avrà comunque un peso diplomatico. Mentre in Slovacchia Papa Francesco avrà il consueto incontro con le autorità, ma riceverà anche in nunziatura la visita del presidente della Camera e del presidente del Senato slovacchi.
I temi in agenda sono molti: dall’impegno “verde” a quello per i cristiani perseguitati, fino al Congresso Eucaristico Internazionale che si celebra il prossimo settembre, in occasione del quale tutti sperano – perché no? – in una visita di Papa Francesco. Tuttavia, Janos Ader, presidente di Ungheria, celebra con la visita dal Papa anche un anniversario importante: i 30 anni dei rapporti diplomatici tra Ungheria e Santa Sede.
Non era solo il Paese del Cardinale Jozef Mindzenty costretto in esilio nell’ambasciata degli Stati Uniti di Budapest. L’Ungheria del periodo della Cortina di Ferro è stato anche il laboratorio della diplomazia della Santa Sede per i Paesi del blocco sovietico. Una politica che è stata descritta come Ostpolitik, con molte accezioni negative. Ma che in realtà era frutto del paziente lavoro di Agostino Casaroli, al tempo viceministro degli Esteri vaticano, che al termine di Ostpolitik non si abituò mai e non lo chiamò nemmeno martirio della pazienza, come invece fu chiamata la sua biografia.
Il governo ungherese offre un milione di euro alla Chiesa siro-ortodossa e un milione di euro alla Chiesa siro-cattolica. E’ stato annunciato al termine dell’incontro tra il Premier ungherese, Orbán Viktor e il Patriarca siro-ortodosso di Antiochia e di tutto l'Oriente, Ignazio Efrem II, avvenuto il 21 febbraio scorso nel Parlamento di Budapest.
L’Europa delle libertà, dove pure la religione è messa da parte nella vita pubblica. E l’Europa dell’Est, che ha vissuto la pioggia acida del comunismo, dove invece la religione ha ancora il suo ruolo nella vita pubblica. Il paradosso europeo è stato descritto da Eduard Habsburg-Lothringen, ambasciatore di Ungheria presso la Santa Sede, in un discorso tenuto il 17 febbraio al secondo incontro del Ciclo “Religioni e diplomazia” promosso dall’Associazione Carità Politica.
I venticinque anni di relazioni diplomatiche tra Santa Sede e Ungheria non sono solo un anniversario. Rappresentano anche il ricordo del grande lavoro fatto dietro le quinte dalla Santa Sede nei Paesi dell’Est Europa. Un lavoro portato avanti dal Cardinal Agostino Casaroli con il “martirio della pazienza,” subendo attacchi per la sua Ostpolitik, e portando però a casa il risultato. La storia è stata raccontata dall’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati, in un discorso tenuto a Budapest martedì 14 aprile alla Conferenza per il 25esimo anniversario delle relazioni diplomatiche.