Serve una riforma della spiritualità, prima che una riforma delle strutture. Lo sottolinea Mons. Tomas Halik, teologo ceco vincitore del Premio Templeton e già relatore al Ratzinger Schuelerkreis, il cui pensiero ha avuto un grande impatto nello sviluppo della teologia moderna.
Sotto la Croce tutto sembra perduto. Il cielo è plumbeo, l’ombra dell’Uomo contorta dall’agonia si allunga su quei pochi che sono rimasti fino alla fine, mentre il loro cuore si colma di un dolore infinito. Chiunque, sotto la Croce, ha voglia di fuggire, di mettere ogni distanza possibile tra sé e quell’agonia che sembra senza limiti. Fuggire, ritrovare i colori della vita, sentire il cuore allargarsi…sentirsi leggeri e pensare di avere in pugno il proprio destino, di non dover rendere conto a niente e a nessuno di quello che si vive, che si insegue.
La fede nel mondo occidentale? È nell’ora del pomeriggio, quella del riposo, della prima stanchezza. Ma può essere rivitalizzata con la ricerca di Dio, basata prima di tutto sull’esperienza dell’amore. Monsignor Tomas Halik, ceco, che ha vissuto la fede sotto il regime comunista, ha detto questo al Ratzinger Schuelerkreis, il Circolo di ex allievi di Benedetto XVI che si riunisce ogni anno dal 1978. Il tema di quest’anno era: “Come parlare di Dio oggi.” E c’è da scommettere che il dibattito sarà stato vivo.
“Parlare di Dio nella società” contemporanea è il tema che sarà affrontato dal Ratzinger Schuelerkreis, il Circolo di ex studenti di Benedetto XVI, nel loro incontro annuale a Castel Gandolfo. A parlarne, è stato invitato mons. Tomas Halik, sacerdote ceco, che visse i primi anni di sacerdozio in clandestinità. Per il suo lavoro, è stato insignito del Premio Templeton nel 2014, destinato a quanti contribuiscono a migliorare il tasso spirituale dell’umanità con il loro lavoro. Già lo scorso gennaio, ha parlato al Gruppo ACI dei temi del suo lavoro, in una lunga intervista via e-mail, per la prima volta riportata nella sua interezza.