Tutte le donne, tutti i medici, tutti i sacerdoti: sono le tre categorie di prigionieri di guerra che è prioritario liberare, secondo Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk, capo della Chiesa Greco Cattolica Ucraina. La richiesta è stata reiterata nella lettera di Pasqua di Sua Beatitudine, diffusa lo scorso 29 aprile, e che fa riferimento all’appello “tutti per tutti” di Papa Francesco, il quale, nell’urbi et orbi del 31 marzo 2024, ha chiesto una liberazione di tutti i prigionieri di guerra da parte ucraina e da parte russa.
Sono stati 35 minuti di incontro cordiale, quelli tra Papa Francesco, il ministro degli Esteri israeliano Israel Katz e le cinque famiglie di ostaggi israeliani prigionieri di Hamas, che accompagnano il ministro in questo tour di incontri che lo ha visto anche nella Sinagoga di Roma e in un incontro con il suo omologo italiano Antonio Tajani. Gli ostaggi sono nelle mani di Hamas dal terribile attacco del 7 ottobre 2023. In questi giorni, dopo una massiccia operazione militare, Israele ha ritirato le truppe dal Sud della Striscia di Gaza, da dove erano venuti i terroristi.
Proprio all’inizio del conflitto contro Hamas, Papa Francesco avrebbe avuto una conversazione telefonica con il presidente di Israele Isaac Herzog, e i torni non sarebbero stati piuttosto distensivi. Lo ha rivelato il Washington Post in un servizio, non incorrendo ancora in una smentita vaticana.
La Santa Sede continua a guardare con attenzione quanto succede in Terrasanta. Papa Francesco ha indetto una giornata di preghiera e digiuno per la pace il 27 ottobre, al termine della quale, dopo un Rosario nella Basilica Vaticana insieme a tutti i padri sinodali, ha affidato il mondo alla Vergine Maria. Nel frattempo, tornava a parlare il Cardinale Parolin, ribadendo la preoccupazione per la situazione in Terrasanta e mettendo in luce come la Santa Sede sia disposta a mettere in campo ogni tipo di sforzo per evitare una escalation militare nella regione.
È una preghiera a Maria, cui consacra ancora una volta il mondo, quella che Papa Francesco eleva nella Basilica di San Pietro, insieme a tutti i padri sinodali, al culmine di una giornata di digiuno e preghiera lanciata a seguito del conflitto scoppiato in Terrasanta a causa degli attacchi terroristici di Hamas.
La Santa Sede “esprime totale e ferma condanna” per l’attacco terroristico “disumano” compiuto da Hamas lo scorso 7 ottobre, si dice “pronta a qualsiasi mediazione necessaria”, ribadisce la necessità oggi più che mai di arrivare alla soluzione dei “due popoli, due Stati” che “permetterebbe a palestinesi e israeliani di vivere fianco a fianco, in pace e sicurezza”. Lo dice il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, in una intervista concessa ai media vaticani. E, nell’intervista, il Cardinale non fa sconti, guarda anche al problema degli insediamenti israeliani, ferma restando la necessità di una “pace giusta” che parta dalla restituzione degli ostaggi, anche quelli che Hamas deteneva da prima di questo attacco.
Anche la CEI si unisce alla giornata di preghiera e digiuno per la Terrasanta proclamata dal Patriarcato Latino di Gerusalemme per il prossimo 17 ottobre. Ci sarà anche una particolare intenzione di preghiera durante la Messa di domenica 15 ottobre.
La Chiesa siriaco ortodossa conta circa 2 milioni di fedeli, ed ha collocazione a Damasco dal 1959. Ma, dalla guerra dei Sei Giorni del 1967, nonostante una buona parte dei suoi fedeli fossero proprio in Israele, nessun patriarca siriaco ortodosso aveva mai fatto visita a Gerusalemme. Fino a Ignazio Efrem II Karim, che ha compiuto il viaggio in Terrasanta lo scorso 4 maggio.
Le celebrazioni del Triduo Pasquale al Santo Sepolcro sono imprescindibili, e il Patriarcato Latino di Gerusalemme non vi rinuncia. Ma queste non potranno essere di riferimento per gran parte della diocesi. In una nota, l’arcivescovo Pierbattista Pizzaballa, amministratore del Patriarcato, delinea come saranno le celebrazioni al Santo Sepolcro in questa situazione eccezionale dato dalla pandemia del COVID-19.
Quella che si vive in Terrasanta per il Coronavirus segna “un prima e un dopo” nella piccola comunità cattolica della zona. Ne è convinto l’arcivescovo Pierbattista Pizzaballa, amministratore apostolico sede vacante del Patriarcato Latino di Gerusalemme.
È iniziato l’11 gennaio, e durerà fino al 16 gennaio, la visita annuale dei vescovi Europei e Nord Americani per quello che viene chiamato “Coordinamento Terrasanta”. Nel programma, previsti incontri con i cristiani di Ramallah, Gerusalemme dell’Est e la piccola comunità cristiana di Gaza, che non ha ottenuto permessi per celebrare il Natale a Betlemme lo scorso dicembre.
Ottocento anni fa, San Francesco partì per la Terrasanta al seguito della Quinta Crociata, e riuscì a farsi ricevere, nell’autunno del 1219 dal Sultano d’Egitto Malek al-Kamil. Non si sa cosa si siano detti, ma quell’incontro è rimasto nella storia, immortalato anche nelle tavole di Giotto in una Basilica di Assisi.
Un percorso da Nazareth a Gerusalemme, dal “concepimento” al compimento” di Gesù: così è progettato il tradizionale Pellegrinaggio Nazionale in Terrasanta promosso da Rinnovamento nello Spirito.
“Cristiani in Israele: sfide e opportunità” è il tema del pellegrinaggio annuale dei vescovi dell’Holy Land Coordination, che avrà luogo dal 12 al 17 gennaio tra Gerusalemme, Haifa e alcuni villaggi cristiani in Cisgiordania e Israele.
Ogni Venerdì Santo, la colletta di tutte le chiese del mondo è destinata alla Terrasanta. Ma in pochi sanno che questa destinazione fu decisa da San Paolo VI. Il quale, dopo il viaggio del gennaio 1964, pubblicò l’esortazione apostolica Nobis in Animo, un testo attualissimo nell’analisi della situazione dei cristiani di Terrasanta e che delinea proprio le norme delle collette del Venerdì Santo.
Al Sinodo 2018 si è parlato molto di accompagnare i giovani, di stare loro vicino, e anche di guardare ai giovani che sono in realtà fuori dalla Chiesa. Ma ci sono anche i giovani che hanno fede, ma non è quella cattolica. E su questo, i giovani del Medio Oriente hanno una “esperienza imbattibile”.
Non ci sono stati questa interventi nel multilaterale da parte della Santa Sede. Ma l’impegno delle diplomazia pontificia va in generale molto oltre l’impegno nelle grandi organizzazioni internazionali. La più antica diplomazia del mondo lavora molto a livello bilaterale, attraverso i nunzi, ma prende posizioni diplomatiche anche attraverso i vescovi locali. Perché sono loro, prima di tutto, a conoscere la situazione sul campo, e a poterla gestire, al di là dell’impegno diplomatico.
Nella strada da Gerusalemme a Gaza, l’apostolo Filippo predica al funzionario etiope, e lo battezza, nella prima tappa di una predicazione che va sempre lontano. Ma la predicazione di Filippo, il suo coraggio nell’evangelizzare, nascono nel giorno di Pentecoste. E questa storia viene accennata nella omelia di Pentecoste di Papa Francesco, tutta dedicata all’imprevedibilità dello Spirito, che cambia cuori e vicende. Menzionando Gaza, Papa Francesco sottolinea: “Come suona doloroso oggi, questo nome! Lo spirito cambi i cuori e le vicende e porti pace nella Terra Santa”.
Una parrocchia personale per migranti e rifugiati in Israele, per curare “sotto tutti gli aspetti pastorali, sacramentali e formativi i rifugiati e i migranti che si trovano nel territorio di Israele”. E l’elevazione a Vicariato episcopale del coordinamento per la pastorale dei Migranti e dei Rifugiati per affrontare le nuove sfide dovute anche alle recenti decisioni di Israele. Sono questi i due provvedimenti annunciati dall’arcivescovo Pierbattista Pizzaballa, amministratore apostolico del Patriarcato Latino di Gerusalemme, in una lettera del 23 marzo diffusa il 4 aprile sul sito ufficiale del Patriacato.
Non nasconde la situazione drammatica in Terrasanta, ma guarda indietro alla preghiera per la pace nei Giardini Vaticani. Giambattista Pizzaballa, francescano, Custode di Terrasanta, quella preghiera per la pace l’ha organizzata. E spiega in esclusiva al gruppo ACI che “scopo di quell’incontro era di mostrare che è possibile, se si vuole, stare insieme, pregare insieme, pur rimanendo ognuno nella sua diversità”.