Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi. E’ Gesù che parla. La forza di questa affermazione è data dalla parola “come”. Non si tratta di un “come” comparativo, ma fondativo. Gesù, cioè, radica l’amore che nutre per i discepoli sull’amore che il Padre ha per Lui. In altre parole, Egli afferma che l’amore del Padre è all’origine, è la condizione, è la possibilità del Suo amore per gli apostoli. Da questa rivelazione sgorga una conseguenza importantissima: il Figlio ama noi non perché trovi in noi qualità amabili, ma perché Lui per primo è amato dal Padre.
Il testo dell’allegoria della vite e i tralci, una delle pagine più belle del Vangelo di Giovanni, è da leggersi più volte con attenzione e amore. Gesù, con questa allegoria, si propone di illustrare a quali profondità può giungere l’unione del discepolo Lui e le conseguenze che ne derivano. La relazione che il Signore propone è un’esperienza molto diversa da quella che si instaura tra un maestro e i suoi alunni o tra un “sapiente” che educa i suoi adepti ad una vita virtuosa. Infatti, nessuno dei grandi maestri dell’antichità - Socrate, Budda – ha mai detto: Rimanete in me ed io in voi.
Gesù, in questa quarta domenica di Pasqua, si presenta con queste parole: “Io sono il buon Pastore”. Questa presentazione che Cristo fa di se stesso è una delle più commoventi e suggestive. Non a caso in una delle prime raffigurazione - in un affresco nelle catacombe romane - Cristo viene rappresentato come un Pastore che porta sulle spalle una pecora. Il Signore, utilizzando questa immagine, ci svela che il rapporto tra Lui e i suoi discepoli è di appartenenza. Al mercenario, cioè al pastore prezzolato, le pecore non interessano poiché non sono sue e così quando si avvicina il lupo le abbandona al loro drammatico destino. Il pastore, invece, non si comporta così.
I due discepoli di Emmaus, mentre ritornano alle loro case tristi e delusi in seguito alla morte e sepoltura di Cristo, vivono un’esperienza inaspettata che fa rinascere la speranza. Cristo risorto si affianca loro e si fa riconoscere mentre spezza il pane. Ripieni di gioia fanno ritorno a Gerusalemme e annunciano agli apostoli, riuniti nel Cenacolo, la resurrezione di Cristo. A confermare la testimonianza dei due, improvvisamente, in mezzo a loro appare Gesù stesso.
Il brano di Vangelo di questa domenica ci racconta un’apparizione di Cristo risorto nel Cenacolo. L’aria che si respira all’interno della comunità dei discepoli è la paura, conseguenza della loro mancanza di fede. Si sentono dei falliti, degli sconfitti perché hanno dato credibilità ad una persona, Gesù di Nazareth, che è stato violentemente ucciso ed inoltre sanno che i capi del popolo li stanno cercando per metterli a morte. Si trovano, dunque, in una situazione spirituale e morale di ripiegamento in loro stessi, che ha portato la speranza a spegnersi nei loro cuori.
In questa VI domenica di Pasqua ci viene offerto un primo insegnamento sullo Spirito Santo, tratto sempre dai “discorsi di addio” e che abbiamo ascoltato anche domenica scorsa. I testi che la Liturgia propone, ci aiutano ad entrare più profondamente nel mistero pasquale di Gesù. Questo evento, oltre alla Risurrezione di Cristo nel suo vero corpo, comprende anche altri due risvolti importanti, che saranno oggetto di riflessione nelle prossime due domeniche. E cioè l’Ascensione del Signore al cielo, con l’ingresso di Gesù nella gloria di Dio, dove ha portato la nostra umanità fin nel grembo della Trinità e la Pentecoste, ovvero l’invio dello Spirito Santo, frutto del sacrificio di Cristo, quale dono permanente inviato alla Chiesa e nel cuore di ogni battezzato.
Nella nostra riflessione di questa V Domenica di Pasqua, ci soffermiamo sulla bella e ricca rivelazione che Gesù fa di se stesso: “Io sono la via, la verità e la vita nessuno va al Padre se non per mezzo di me”. Si tratta di parole inaudite, che nessun profeta ha mai osato pronunciare e con le quali il Signore dichiara che Lui è “tutto” ed è l’unico che può dare un senso compiuto alla vita e alla storia. Il significato di questo “tutto” ce lo insegnano i grandi Santi della Chiesa. San Tommaso d’Aquino scrive: “Se ti chiedi dove andare, stringiti a Cristo, perché lui è la verità cui desideriamo arrivare…Se ti domandi dove riposare, aderisci a Cristo, perché egli è la vita…Aderisci, dunque a Cristo, se vuoi essere sicuro; non potrai infatti deviare, essendo lui la via” (Commento al Vangelo di S.Giovanni/3, Città Nuova 1992, 96). Sant’Agostino sostiene che il Signore dice di se stesso “Io sono Via, Verità e Vita”, per dirci: Per dove vuoi passare? Sono io la via. Dove vuoi arrivare? Sono io la verità. Dove vuoi fermarti? Io sono la vita” (Sermo, 142, 1). Dal canto suo sant’Ilario afferma: “Non conduce fuori strada colui che è la via; né può illudere con il falso colui che è la verità; né abbandona nell’errore di morte colui che è la vita” (De Trin., 7,33).
Gesù nel brano di Vangelo di oggi si presenta con queste parole: “Io sono il buon Pastore”. “IO SONO” è il nome con il quale Dio si è rivelato a Mosè nel roveto ardente e che Gesù applica a sè in numerose occasioni. Facendo proprio il nome di Dio, Gesù rivela sua uguaglianza con Lui e la sua origine divina. Presentandosi, poi, come il Buon Pastore, manifesta il suo “programma pastorale”, stilato nel seno della Santissima Trinità. Egli, infatti, afferma:” Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso; ma il Padre che rimane in me, compie le sue opere (Gv14,10ss). Dio, come afferma Origene, “soffre una passione d’amore” per l’umanità precipitata nel peccato e nella morte e che vive disperata e sofferente. E poiché desidera risanarla e renderla partecipe della sua vita divina, affida questo meraviglioso progetto di salvezza al proprio Figlio che, presentatosi nella nostra carne mortale, si propone a noi con dolcezza, persuasione e amore (Mt 11, 28-30). Questo programma di bene in favore dell’umanità viene realizzato nonostante la mediocrità, la debolezza, la miseria e le resistenze dell’uomo, che fatica a comprendere l’amore puro, come quello di Dio che non chiede nulla in cambio.
In questa terza domenica di Pasqua la Chiesa offre alla nostra riflessione l’apparizione di Cristo risorto ai due discepoli di Emmaus. Noi ci soffermiamo al momento in cui i due viandanti e lo sconosciuto che cammina con loro giungono finalmente nei pressi del villaggio dove erano diretti. E’ ormai sera e i due discepoli si preoccupano dello sconosciuto che li ha seguiti fin qui e che pare voler andare oltre: Resta con noi … gli dicono.
La nostra riflessione si concentra sulla conclusione del dialogo tra Gesù risorto e Tommaso. In esso il Signore invita l’apostolo: “E non essere incredulo, ma credente!”. In realtà il richiamo del Signore suona: “E non diventare incredulo, ma diventa credente”. Tommaso lo abbiamo visto si trova in una fase di incertezza e di dubbio: non è ancora incredulo, ma non è nemmeno un credente. Ora che ha visto il Cristo risorto è invitato a diventare credente.
“L’antico comandamento dell’amore è diventato nuovo perché è stato completato con questa aggiunta: come io ho amato voi. La novità sta tutta nell’amore di Gesù Cristo, quello con cui Lui ha dato la vita per noi. Si tratta dell’amore di Dio, universale, senza condizioni e senza limiti, che trova l’apice sulla croce”. Lo ha detto Papa Francesco commentando durante il Regina Coeli il Vangelo della V Domenica di Pasqua.
Ci troviamo nel Cenacolo. Siamo alla vigila della passione e morte e Cristo si rivolge ai discepoli chiamandoli “figlioli”, cioè “piccoli cari figli”, manifestando nei loro confronti una cura ed un amore quasi materni. Fino ad ora Egli è stato in mezzo a loro e li ha protetti, ma ora sta per essere messo a morte e pertanto consegna ai discepoli il suo “testamento”.
L’allegoria della vite e i tralci è una delle pagine più belle del Vangelo di Giovanni. Si propone di illustrare la relazione vitale esistente tra Cristo e i suoi discepoli e le conseguenze che ne derivano. La relazione che il Signore propone è qualcosa di molto diverso da quella che si instaura tra un maestro e i suoi alunni, tra un “sapiente” che educa ad una vita virtuosa i suoi adepti. Infatti, nessuno dei grandi maestri dell’antichità - Socrate, Budda – ha mai detto: Rimanete in me ed io in voi.
I due discepoli di Emmaus, mentre ritornano alle loro case tristi e delusi in seguito alla morte e sepoltura di Cristo, vivono un’esperienza inaspettata che fa rinascere la speranza. Cristo risorto si affianca loro e si fa riconoscere mentre spezza il pane. Ripieni di gioia fanno ritorno a Gerusalemme e annunciano agli apostoli, riuniti nel Cenacolo, la resurrezione di Cristo. A confermare la testimonianza dei due, discepoli, improvvisamente, appare Gesù stesso.
Il brano di Vangelo di questa domenica ci racconta un’apparizione di Cristo risorto nel Cenacolo. L’aria che si respira all’interno della comunità dei discepoli è la paura. Una paura che è la conseguenze della loro mancanza di fede. Si sentono dei falliti, degli sconfitti. Hanno dato credibilità ad una persona, Gesù di Nazareth, che è stato violentemente ucciso e sanno che gli aguzzini cercano anche loro per metterli a morte. Si trovano, dunque, in una situazione spirituale e morale che li porta a chiudersi in loro stessi e ad evitare di farsi vedere.