Poesia cimiteriale: suona un po’ macabro, ma in effetti è stata così denominata una precisa corrente letteraria nata agli inizi dell’Ottocento in Inghilterra e rapidamente diffusasi in tutta Europa. Celebrava il culto dei morti, romanticamente declinato, la meditazione sulla fine della vita e sull’al di là, collegato ad un’estetica delle tombe. Qualcosa del genere in Italia ha assunto i toni della poesia di Foscolo, nella fattispecie nei Sepolcri. Questo movimento di idee e di slancio creativo, legato proprio ai cimiteri, è segnata da uno sviluppo straordinario dell’arte applicata, per così dire, alle tombe, alle lapidi, all’ampliamento dei luoghi di sepoltura. Dopo gli editti napoleonici che proibivano la sepoltura dentro le chiese e nel centro delle città e dei paesi, nascono quindi le nuove e monumentali città dei morti, che sembrano unire, in un certo senso, la nostalgia degli antichi cimiteri, tra rovine e chiari di luna, e l’idea, appunto, di nuovi spazi, razionali ed esteticamente notevoli, mentre grandi artisti si mettono a disposizione dei ricchi borghesi, dei nuovi industriali e imprenditori, commercianti e notabili vari, che non vogliono rinunciare, neanche dopo la morte, a mostrare pubblicamente la loro posizione eminente nel mondo. Del resto, tutto questo sottende alla convinzione che la memoria dei morti è irrinunciabile, e che, soprattutto, bisogna sempre fare i conti con la presenza costante della morte e con la vita che inizierà dopo.