In una Turchia che vive una profonda crisi economica, il governo ha stanziato più di 15 milioni di lire turche per il restauro di una ex chiesa ortodossa convertita in moschea nel XV secolo e poi diventata museo su desiderio delle autorità kemaliste nel 1956. Un restauro che ha portato alla riapertura al culto islamico di quella che viene chiamata Cami-i-serifi.
L’UNESCO ha preso una posizione sulla decisione del governo turco di utilizzare la chiesa di Santa Sofia ad Istanbul e quella di San Salvatore in Chora come moschee. Già moschee, e poi tramutate in musei dopo la rivoluzione di Kemal Ataturk che stabilì lo Stato moderno in Turchia, le due antiche chiese si trovano ora ad essere al centro di un contenzioso con la storia. Possono, ancora, essere patrimoni dell’umanità se parte della loro identità è stata cancellata?
Santa Sofia è tornata moschea, e la prima preghiera si è tenuta il 24 luglio, simbolicamente giorno in cui il Trattato di Losanna sancì la fine dell’Impero Ottomano. Papa Francesco si è detto “molto addolorato” per la scelta del governo turco all’Angelus del 12 luglio. Dopo la decisione, è proseguito il forcing diplomatico da parte di vari Paesi, in particolare la Grecia il cui presidente ha chiamato Papa Francesco.
Da Santa Sofia ad Hagia Sophia. Sarà il 24 luglio che per la prima volta risuonerà di nuovo la preghiera dei muezzin in Santa Sofia, la cattedrale ortodossa di Costantinopoli che fu trasformata in moschea nel 1453 e che dal 1934 ha la funzione di Museo. Il Consiglio di Stato turco ha infatti annullato il decreto del 1934 che la adibiva a Museo, e già ieri il presidente turco Recep Tayip Erdogan ha firmato il decreto con cui ordina il passaggio di culto.