Quando si dice Chiesa Caldea si pensa immediatamente all’ Iraq. Una Chiesa martire ormai da decenni per diverse ragioni storiche.
Una intera giornata facendo mosaici. Se succede a Madaba in Giordania tutto ha sapore di antico. Invece accade oggi con i bambini che hanno partecipato al progetto «Living Mosaics», nella scuola francese di Amman.
Arrivano anche le offerte dei fedeli iracheni per aiutare le persone colpite dal terremoto del Centro Italia. E più precisamente dal Nord dell’Iraq, dalla diocesi di Erbil, dove, in due domeniche consecutive di colletta straordinaria, i fedeli hanno raccolto una cifra di circa 20 mila dollari e li hanno consegnati alla Caritas Italiana.Arrivano anche le offerte dei fedeli iracheni per aiutare le persone colpite dal terremoto del Centro Italia. E più precisamente dal Nord dell’Iraq, dalla diocesi di Erbil, dove, in due domeniche consecutive di colletta straordinaria, i fedeli hanno raccolto una cifra di circa 20 mila dollari e li hanno consegnati alla Caritas Italiana.
Si chiama “Rafedìn”, e in arabo significa “tra i due fiumi”. I due fiumi sono il Tigri e l’Eufrate, che sono poi i due fiumi dell’Iraq. Da lì vengono Sandra, Dalida, Diana, Farah, Santa, Shahad, Mariam, Sally, Zina, Sophia, Dina. Sono giovani irachene cristiane, rifugiate ad Amman, in Giordania, dopo l’arrivo dei miliziani del sedicente Stato Islamico, che stanno letteralmente ricucendo la vita. Perché Rafedìn è il loro atelier di moda. Una griffe che aggiunge il titolo di “Made By Iraqi Girls” messo in bella vista sulla targhetta bianca che accompagna tutte le loro creazioni.
“I cristiani iracheni pagano il prezzo di questa guerra settaria fra sunniti e sciiti, ma anche della guerra nel Medio Oriente. L’identità di questa Chiesa è quella di una Chiesa martire”. Lo ha ribadito, intervistato dalla Radio Vaticana, il Patriarca caldeo di Baghdad Louis Raphael I Sako.
Una università cattolica ad Erbil. Il progetto c’era da tempo, e aveva coinvolto anche i fondi dell’8 per mille della CEI. Ma ora c’è una accelerazione decisiva, grazie al contributo e al sostegno dell’Università Cattolica australiana. I corsi prenderanno il via il prossimo ottobre, e rappresenteranno il primo baluardo di contrapposizione e presenza della Chiesa cristiana in Iraq all’avanzata dello Stato Islamico.
La notizia del record della carità viene da New Haven, negli StatiUniti, la sede storica dei Cavalieri di Colombo che così preparano la vista del Papa a settembre.
Sembra una casa come le altre nella città di Ozar, alla periferia della città irachena di Erbil. Ma in effetti è diversa dalle altre. E' la Clinica Santa Elisabetta guidata dalla dottoressa Zuzana Dudová e dal suo piccolo contingente di volontari cattolici slovacchi che servono i rifugiati cristiani cacciati dallo " Stato Islamico ".
E’ stata una Pasqua speciale quella dei cristiani di Erbil. Nonostante la minaccia incombente di una guerra continua fatta di attentati e razzie, nonostante che molti abbiano lasciato la casa e la loro vita quotidiana per poter sopravvivere magari in un campo profughi, la Pasqua è stata una occasione per rendere grazie. La celebrazione della veglia infatti si è conclusa con la distribuzione dei rosari inviati dal Papa e delle colombe che Francesco ha fatto arrivare in Iraq grazie al cardinale Fernando Filoni, prefetto di Propaganda Fide. Quella del cardinale è stata la seconda missione in Iraq a nome del Papa, segno di una vicinanza continua. Filoni era arrivato il 30 marzo per trascorrere la Settimana Santa con migliaia di cristiani caldei sfollati per sfuggire alla violenze dell Isis.
In Iraq a nome del Papa per riaccendere i riflettori sul dramma dei profughi. La missione di Cor Unum che per tre giorni ha portato ad Erbil e Duhok una delegazione vaticana e alcuni giornalisti, con un dono particolare da parte di Papa Francesco che da tempo pensa ad un viaggio nella regione. Una immagine della Madonna che scioglie i nodi, particolarmente venerata da Bergolgio che la conobbe durante la sua permanenza in Germania.
La Messa di Pasqua sarà officiata dal Cardinal Fernando Filoni in una tenda, ad Erbil. Perché è quello il posto dove ascoltano Messa i profughi arrivati nella zona Nord dell’Iraq, nel Kurdistan difeso dai Peshmerga. La tenda l’hanno messa lì per loro, e non si sa quanto resterà. C’è chi sa già che i tempi sono lunghissimi. E c’è chi spera che in sei mesi Mosul sarà ripresa dalle forze dello Stato Islamico, che è lì, a due passi, e diventa ancora più vicino quando si va da Erbil e Duhok e ritorno, costeggiando Alqosh, la città che fino a poco tempo fa era nelle mani dello Stato islamico. Ma tutto è sicuro, e la vita scorre regolare, ad Erbil, come a Duhok. Ci si abitua a tutto. Anche alla guerra.