No, non è un processo contro la Segreteria di Stato. No, monsignor Alberto Perlasca non è un supertestimone. No, l’ufficio del Promotore di Giustizia non ragiona per teoremi, ma solo per prove. In tre giorni di requisitoria, a metà del guado che porterà poi alla richiesta delle condanne e traghetterà verso il lungo periodo dedicato a parti civili e arringhe difensive, il promotore di Giustizia vaticano Alessandro Diddi si è dedicato più a decostruire che a costruire. A smentire ogni singolo dubbio, velato o meno, che ci fosse stato sulla sua ricostruzione di ciò che è successo. A concedere su questioni minime, ma senza scontare nulla su quelli che pensa che siano stati i fatti. “L’impianto accusatorio – dice – ha retto”.
No, non potranno essere usate né le testimonianze di Gianluigi Torzi né il suo memoriale nel delineare l’accusa su altri imputati riguardo la gestione dei fondi della Segreteria di Stato in quello che è stato il famoso affare del palazzo di Londra. La decisione del Tribunale vaticano arriva al termine della 61esima udienza, che si è tenuta il 13 giugno, e che ha riguardato soprattutto aspetti procedurali.