La prima visita del nuovo presidente dell’Iraq Barham Salih a Papa Francesco dura 23 minuti, molto cordiali, a testimoniare l’impegno comune per la ricostruzione del Paese dopo la guerra e sottolineare la presenza storica dei cristiani nel Paese.
Per il sacerdote che non poteva chiudere la casa di Dio si aprono le porte della gloria degli altari. La Congregazione per le Cause dei Santi ha concesso il “nihil obstat” per iniziare il processo di canonizzazione per martirio di Ragheed Ganni, il sacerdote cattolico ucciso in Iraq insieme ad altri tre diaconi il il 3 giugno 2007.
Quando si parla di Chiesa in Iraq, si parla sempre del Patriarcato caldeo. Ma c’è anche un patriarcato latino, una minoranza nel territorio, che vive da anni gli effetti dell’esodo e si sforza di essere Chiesa di profezia in un territorio da troppi anni martoriato. Ne ha parlato con ACI Stampa Jean Sleiman, carmelitano, Patriarca latino di Baghdad.
Papa Francesco in Iraq, il progetto già c’è. Lo rivela il Patriarca caldeo Louis Rafhael Sako, a Roma per la visita ad limina dei vescovi caldei, presentando con Aiuto alla Chiesa che Soffre l’ennesima iniziativa per i cristiani perseguitati della fondazione di diritto pontificio: il Colosseo, Aleppo e Mosul colorati di rosso, contemporaneamente, il prossimo 24 febbraio, per ricordare i cristiani perseguitati nel mondo.
Una marcia di 140 chilometri, per chiedere la pace. Succede nel Nord dell’Iraq, dove il sabato prima della Domenica delle Palme i fedeli, sostenuti dal Patriarca caldeo Rafael Sako, sono partiti per compiere a piedi il percorso da Erbil ad Alqosh. Dal Kurdistan verso la piana di Ninive, quasi vicini alla zona di Mosul, dove ancora c’è battaglia. Per chiedere finalmente la pace nella loro terra e nel Medio Oriente.
Bashar Warda, arcivescovo caldeo di Erbil, ha dovuto gestire nella sua terra l’arrivo improvviso di migliai di rifugiati dalla piana di Ninive. E oggi, quando i villaggi cristiani sono stati liberati e anche la zona Est di Mosul è stata ripresa, può dire con forza: “Se ci sono ancora i cristiani in Iraq, è grazie alla solidarietà che abbiamo ricevuto”. Ma può anche osservare: “Nelle chiese semidistrutte delle zone liberate, possiamo vedere l’odio contro il cristianesimo”.Bashir Warda, arcivescovo caldeo di Erbil, ha dovuto gestire nella sua terra l’arrivo improvviso di migliai di rifugiati dalla piana di Ninive. E oggi, quando i villaggi cristiani sono stati liberati e anche la zona Est di Mosul è stata ripresa, può dire con forza: “Se ci sono ancora i cristiani in Iraq, è grazie alla solidarietà che abbiamo ricevuto”. Ma può anche osservare: “Nelle chiese semidistrutte delle zone liberate, possiamo vedere l’odio contro il cristianesimo”.
Aveva nascosto i manoscritti in un corridoio, nei sotterranei del monastero martire di Mar Benham. E lì li ha ritrovati, dopo la liberazione. Padre Joseph, uno dei frati dello storico monastero occupato e distrutto dalle forze dell’auto-proclamato Stato Islamico, ha così potuto recuperare uno straordinario patrimonio culturale.
Non è terminata la battaglia nella piana di Ninive e per la riconquista della città di Mosul, e i cristiani in Iraq vivono in un misto di sofferenza e di speranza. La sofferenza per i luoghi della loro fede depredati, e spesso utilizzati come postazioni di combattimenti. La speranza per una liberazione che ormai da un anno si dice vicina, ma poi non avviene mai, tanto che il patriarca caldeo Sako vorrebbe proclamare il 2017 come “anno della pace”.
Non esiste più la diocesi di Mosul, spazzata via da quando l’autoproclamato Stato Islamico ha seminato il terrore nella piana di Ninive. Ma questa diocese tornerà, e così si spera anche le persone, sottolinea l’arcivescovo Amel Shamon Nona, che ora è vescovo dell’eparchia caldea di San Tommaso Apostolo in Australia, ma che a Mosul è arrivato nel 2008, succedendo al vescovo Paulos Rahho, ucciso in circostanze ancora non del tutto chiarite.
Le ragioni del perché quello che avviene in Iraq e in tutto il Medioriente sta nelle parole appassionate di padre Rebwar Basa, un sacerdote che è andato a parlare di quello che vivono i cristiani laggiù al meeting di Rimini. È uno dei sette testimoni che Aiuto alla Chiesa che Soffre ha voluto al padiglione da essa curato al Meeting di Rimini. Un percorso esperienziale, perché non basta far vedere. Occorre far vivere. Con ACI Stampa, padre Basa dà voce ai cristiani dell’Iraq che non sempre hanno davvero voce.
L’ “oceano della misericordia” di cui Papa Francesco vuole sia inondato il mondo ha colpito anche nazioni dove essere cristiani è oggi difficile, perché lì i cristiani devono vivere nascosti, perseguitati, vittime. Così, l’apertura delle porte sante in Cina, Siria, Iraq e Vietnam dimostra che la Chiesa dà ancora una speranza, anche lì dove c’è chi vorrebbe non esistesse.
Una Università Cattolica ad Erbil, per offrire ai giovani profughi della piana di Erbil e di Mosul la possibilità di completare il percorso formativo. Inaugurata lo scorso 8 dicembre dal vescovo Galantino, l’università è uno dei progetti portati avanti dalla Conferenza Episcopale Italiana, che l’ha finanziata con i soldi dell’8 per mille, e si aggiunge ad una serie di altre iniziative di stampo cattolico che si vogliono attuare nella zona, a fianco allo straordinario lavoro di aiuto ai profughi: un polo ospedaliero nuovo, ad esempio, anche quello di stampo cattolico, e magari maggiore coordinamento nell’aiuto ai profughi, con una situazione che ormai si protrae da troppo tempo.
Richiede un intervento militare, l’esercizio della libertà religiosa, un insegnamento religioso moderato scevro da ideologia. Louis Raphael Sako, patriarca di Babilionia di Caldei, parla in maniera allarmistica della situazione dei cristiani in Medio Oriente, e in particolare in Iraq. Mette in luce sette livelli di degrado, cui fanno seguito sette proposte. E denuncia: “I non musulmani hanno poca speranza di una situazione migliore nella regione”.
Una università cattolica ad Erbil. Il progetto c’era da tempo, e aveva coinvolto anche i fondi dell’8 per mille della CEI. Ma ora c’è una accelerazione decisiva, grazie al contributo e al sostegno dell’Università Cattolica australiana. I corsi prenderanno il via il prossimo ottobre, e rappresenteranno il primo baluardo di contrapposizione e presenza della Chiesa cristiana in Iraq all’avanzata dello Stato Islamico.
Dall’Iraq agli Stati Uniti, per raccontare il suo lavoro tra i cristiani perseguitati. Era il viaggio che avrebbe dovuto fare Suor Diana Momeka, della Sorelle Domenicane di Santa Caterina da Siena. Ma il governo degli Stati Uniti le ha negato il visto provvisorio di ingresso nel Paese. Il motivo? Secondo gli ufficiali USA, si temeva che la richiesta del visto non corrispondesse alle reali intenzioni della suora. Ovvero, che lei avrebbe usato il visto per entrare nel Paese, e poi emigrare illegalmente lì.
Più comunione tra le Chiese, per rispondere al momento di crisi dell’Iraq. Il Cardinal Leonardo Sandri, Prefetto della Congregazione delle Chiese Orientali, termina (o “completa,” come preferisce dire lui) il viaggio in Iraq con un indirizzo di saluto alle agenzie della ROACO che si riuniscono ad Erbil. In agenda, il coordinamento degli aiuti alla popolazione irachena, mentre arriva il caldo torrido dell’estate e si deve trovare per i profughi una soluzione che permetta loro una vita più degna e meno disagevole.
Nessuno se lo aspettava. L’attentato del 17 aprile di fronte al Consolato americano di Erbil, la capitale del Kurdistan iracheno, è arrivato quasi inaspettato. Quattro morti in una Erbil che sembrava sicura, tanto che in moltissimi erano andati proprio lì, fuggendo dalla piana di Ninive e da Mosul quando queste erano state prese dall’auto-proclamato Stato Islamico. Ma l’esodo dei cristiani iracheni è cominciato molto tempo prima. E lo testimoniano i 40 rifugiati che sono arrivati in pellegrinaggio a Roma (con tappa ad Assisi) per sensibilizzare l’Italia sulla situazione dei cristiani iracheni.
Erano circa mille le persone che hanno partecipato alla veglia di Pasqua ad Erbil, la capitale del Kurdistan iracheno. Quella tenda è stata costruita per loro, e si celebra lì la Messa ogni domenica. Nella notte di Pasqua, c’era il Cardinal Fernando Filoni, che ad agosto era stato in Iraq come inviato speciale del Papa, a celebrare. Poi, nel giorno di Pasqua, Filoni ha celebrato a Sulemainja, doe quasi 400 famiglie cristiane hanno partecipato. La storia di ciascuno di loro non va dimenticata.
“Io, come te.” Le parole vengono fuori in dialetto curdo, ma i gesti sono inequivocabili. La bambina di circa 10 anni che risiede con la famiglia in uno dei campi allestiti dalla Caritas nei dintorni di Erbil indica la croce che porto al collo, e mi fa capire che è anche lei è cristiana. Sembra una banalità, ma qui è importante. Perché i cristiani che sono scappati da Mosul e che si sono riversati nel Kurdistan iracheno in cerca di sicurezza non si fidano più di nessuno che non sia cristiano.
La Messa di Pasqua sarà officiata dal Cardinal Fernando Filoni in una tenda, ad Erbil. Perché è quello il posto dove ascoltano Messa i profughi arrivati nella zona Nord dell’Iraq, nel Kurdistan difeso dai Peshmerga. La tenda l’hanno messa lì per loro, e non si sa quanto resterà. C’è chi sa già che i tempi sono lunghissimi. E c’è chi spera che in sei mesi Mosul sarà ripresa dalle forze dello Stato Islamico, che è lì, a due passi, e diventa ancora più vicino quando si va da Erbil e Duhok e ritorno, costeggiando Alqosh, la città che fino a poco tempo fa era nelle mani dello Stato islamico. Ma tutto è sicuro, e la vita scorre regolare, ad Erbil, come a Duhok. Ci si abitua a tutto. Anche alla guerra.