Tra i manifestanti c’era il Patriarca Ilia. Tra quelli che erano accorsi c’erano studenti, giovani, persone comuni di ogni religione. E, dopo gli eventi, ci fu anche una Messa nella cattedrale cattolica dei Santi Pietro e Paolo, l’unica chiesa cattolica a rimanere aperta a Tbilisi durante tutto il regime comunista. Il massacro di Tbilisi, avvenuto 30 anni fa, è il momento in cui la Georgia ha creato la sua identità nazionale.
Quindici minuti di udienza personale, un abbraccio con il vescovo di Tbilisi Giuseppe Pasotto, il saluto agli organizzatori del viaggio, i benefattori, i volontari: due mesi dopo, quanti hanno contribuito a organizzare il viaggio di Papa Francesco in Georgia vengono a trovare il Papa, per un dialogo breve, ma – come lo definiscono i partecipanti – molto bello.
Durante il suo viaggio in Georgia, Papa Francesco aveva benedetto – ed era passato attraverso – una speciale Porta Santa. Era stata collocata in un giardino, a Rustavi, perché non si riuscivano ad ottenere i permessi per la costruzione. E poi era stata portata a Tbilisi, per la Messa di Papa Francesco, in attesa di una nuova collocazione che era stata promessa. Ma questa collocazione non è mai arrivata.
Non ci saranno proclami politici, per una visita che già si preannuncia ecclesialmente delicata. Ma di certo il mondo georgiano avrebbe voluto che Papa Francesco – a Tbilisi il 30 e 31 ottobre – affrontasse la questione. Perlomeno perché la questione dell’Ossezia del Sud è una ferita aperta, che rischia di non rimarginarsi più quando ci sarà il referendum per l’indipendenza della regione.