Se si arriva per la prima volta a Sarajevo sembra di scorrere le pagine di un libro di storia. A Sarajevo la storia è lì, aperta davanti ai tuoi occhi con la sua tragicità.
C’è un altro clima allo stadio Kosevo di Sarajevo rispetto al 1997. Quando venne Giovanni Paolo II la guerra era appena finita, e nevicava. Oggi tra i monti delle Bosnia è estate e anche nei cuori della gente inizia una nuova primavera. Papa Francesco è arrivato per incoraggiare il fragile cammino verso la riconciliazione di un popolo che ha vissuto non solo la guerra ma lo sterminio, la “pulizia etnica”.
Giovanni Paolo II aveva parlato di Sarajevo come una nuova Gerusalemme. Ma in realtà Sarajevo rappresenta prima di tutto un monito per l’Europa. Perché la guerra, terribile e fratricida, che la scossa all’inizio degli Anni Novanta ha rappresentato una novità assoluta nel panorama delle guerre del Paese balcanico. Una guerra di annientamento come non ce n’erano mai state. Una guerra che è il risultato diretto del pensiero debole che la pioggia acida del comunismo aveva diffuso.
È un viaggio da leggere in controluce, da guardare attraverso l’omelia che Giovanni Paolo II fece l’8 ottobre 1994 a Castel Gandolfo, nel giorno in cui sarebbe dovuto andare a Sarajevo sotto le bombe della guerra, e poi attraverso l’omelia che effettivamente pronunciò nello stadio Kosevo nel 1997. Lì andrà Papa Francesco il prossimo 6 giugno, a celebrare Messa in una giornata intensissima, ricca di incontri e di prospettive, come ha raccontato padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa della Santa Sede, in un briefing con i giornalisti il 28 maggio 2015.