È rimasta per anni una diocesi senza vescovo, colpita dalla barbarie dello Stato Islamico che la aveva invasa anche per impadronirsi delle riserve della sede della banca centrale irachena. Durante gli anni dell’invasione, Mosul si era aggrappata alla speranza e al ricordo delle sue radici, mentre l’attuale vescovo, il domenicano Najeeb Michaeel, faceva la spola con Erbil per salvare gli antichi manoscritti che testimoniavano la presenza cristiana nel Paese. Ora, nell’ambito dei lavori di ricostruzione della città, nella chiesa di Mar Thomas, si è trovata una ulteriore conferma degli antichissimi legami di questa terra con il cristianesimo. Durante i lavori di ristrutturazione della chiesa sono infatti stati rinvenuti una decina tra reliquie pergamene antichi appartenuti ad alcuni santi.
E’ un libro sacro salvato dalla furia della guerra e Papa Francesco lo ha potuto vedere grazie all’impegno di chi lo ha salvato e restaurato.
Sono circa 200 le famiglie di sfollati cristiani che sono già tornate o torneranno a Mosul, da dove erano fuggite a causa delle tremenda avanzata del sedicente Stato Islamico. La notizia, data l’11 novembre da Zuhair Muhsin al Araji, sindaco di Mosul, è stata poi confermata dal governatore nel distretto.
Non si è fermato l’esodo dei cristiani, cominciato già anni fa, dopo la Seconda Guerra del Golfo, ma ora non più nascosto dopo le violenze dello Stato Islamico e la difficile situazione. Eppure, la Piana di Ninive prova a rinascere, spinta da un vescovo che durante l’occupazione dello Stato Islamico lavorava per salvare storia e manoscritti, e aiutata da una campagna dell’UNESCO, “Revive the spirit of Mosul”, che ha trovato ingenti finanziamenti dagli Emirati Arabi Uniti. E due visite, all’inizio di giugno, hanno segnato questa voglia di rinascita: quella del premier iracheno Mustafa al Kadhimi e quella del vescovo Najib Mikhael Mousa.
Era una diocesi che non esisteva più, in una città fantasma da dove i cristiani se ne erano andati. Ma ora Mosul, nel cuore della Piana di Ninive, ricomincia a vivere. C’è un nuovo vescovo caldeo, Najib Mikhael Moussa, che fu anche il domenicano che salvo la cultura custodita nella città. E la cattedrale siro-cattolica di San Tommaso è stata parzialmente ricostruita. Tanto che ci si è potuta celebrare una Messa.
“Che tu sia un nuovo Giona per Ninive”. È stato questo l’augurio che il Cardinale Rapahel Sako, patriarca di Babilonia dei Caldei, ha fatto al domenicano Najib Mikhael Moussa, nuovo vescovo di Mosul, quando lo ha ordinato lo scorso 18 gennaio. Un compito importante. Perché a Mosul, dal 2014, non c’era più stato un vescovo, dopo che Amel Nona era stato costretto a fuggire, come tutti. Tutto era stato spazzato via, anche la diocesi. Per questo, l’arrivo di un vescovo rappresenta, sono le parole del Cardinale Sako, “un segno di speranza”.
"Dobbiamo conservare la speranza. È una enorme sfida, ma possiamo superarla grazie alla forza della nostra fede". Queste le parole dell’allora arcivescovo caldeo di Mosul, monsignor Emil Shimoun Nona, ad Aiuto alla Chiesa che Soffre, pronunciate poche ore dopo la presa di Mosul da parte dello Stato Islamico, nella notte tra il 9 e il 10 giugno 2014.
“Non è chiaro” chi si prenderà cura dei cristiani nei villaggi liberati, e per questo loro si sentono “traditi” dal governo.
Nella notte tra il 9 ed il 10 giugno 2014 decine di migliaia di cristiani hanno abbandonato Mosul, certi che sarebbero presto rientrati nelle loro case.
"I miei fedeli hanno perso tutto perché hanno conservato la loro fede. Non sappiamo quale futuro ci attende, ma continuiamo ad avere fiducia in Dio". Così dichiara ad Aiuto alla Chiesa che Soffre monsignor Yohanna Petros Mouche, arcivescovo siro-cattolico di Mosul, durante una visita alla sede italiana di ACS.