La prima lettura della Messa ci offre un insegnamento sulle sofferenze dei figli di Dio ingiustamente perseguitati a causa della loro onestà e santità. La liturgia applica queste parole, scritte secoli prima della venuta di Cristo, al giusto per eccellenza, Gesù Figlio Unigenito di Dio, condannato ad una morte ignominiosa dopo aver patito ogni sorta di insulti e sofferenze. Nel Vangelo della Messa mentre Gesù parla del tragico destino che lo attende a Gerusalemme, i discepoli alle sue spalle, incuranti di quanto dice il Maestro, discutono di privilegi, di primi posti, di prebende, di potere.
Gesù pone una domanda ai suoi amici più intimi: Chi dice la gente che io sia. Ed essi con semplicità riferiscono le diverse opinioni che circolano su di Lui. Gesù è considerato come un profeta, in cui appaiono caratteristiche ora di questo o di quell’altro profeta fino a giungere ad Elia e alla persona di Giovanni il Battista, ucciso da Erode.
La liturgia della Messa di questa domenica è un invito alla speranza, a confidare pienamente nel Signore. In un momento di grande oscurità politica, sociale e religiosa il profeta Isaia alza la sua voce per portare conforto al popolo eletto ed annunciare il gioioso ritorno alla patria: Dite agli smarriti di cuore: Coraggio! Non temete; ecco il vostro Dio…Egli viene a salvarvi. E il profeta annuncia prodigi che si compiranno pienamente con la venuta del Messia.
Maria, oggi, è assunta in cielo con il suo corpo e la sua anima e partecipa della gloria di Cristo, il Figlio suo, risorto. Il proge8o di Dio su di Lei - che ha avuto la sua origine da molto lontano, dall’eternità, quando è stata ele8a a divenire la Madre del Figlio di Dio - giunge, così, al suo compimento, alla sua pienezza.
Sono già diverse domeniche che la Chiesa propone alla nostra riflessione il discorso di Cristo nella Sinagoga di Cafarnao, dopo il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci. In questo discorso Gesù presenta se stesso come "il pane della vita". Non un pane qualsiasi, ma il solo pane in grado di saziare la nostra fame di verità, di amore, di felicità, soprattutto il nostro desiderio di vivere in eterno: Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno. Gesù è l'unico in grado di comunicarci la vita eterna, la vita divina perchè Lui stesso è Dio che ha spezzato il potere della morte con la sua resurrezione.
In ogni uomo che viene al mondo è presente una fame ed una sete che nessun cibo e nessuna bevanda materiali possono estinguere.
Il Vangelo ci rivela che il cuore umano-divino di Gesù nei confronti dell’uomo è un cuore compassionevole. E’ così attento all’uomo da prestare attenzione anche alle sue necessità materiali e da soccorrerlo nei suoi bisogni primari. Gesù, dunque, vive in un profondo dialogo d’amore con il Padre suo celeste ed insieme presta grande attenzione a ciò che succede intorno a Lui, si rende presente alle vicende degli uomini ed entra nei dettagli della loro vita umana.
Gli apostoli hanno terminato la loro missione e si riuniscono attorno a Gesù che li aveva mandati ad annunciare il regno di Dio. A Lui riferiscono quello che hanno detto e fatto, i successi e gli insuccessi, le fatiche e le soddisfazioni. Troviamo in questo atteggiamento dei dodici un comportamento esemplare per ogni discepolo, il quale deve rendere conto del suo operato al solo Gesù. Non sono mandati per compiacere gli ascoltatori o ricevere la loro approvazione, ma a proclamare Gesù unico Salvatore del mondo. Ai discepoli il Signore propone il suo stesso ritmo di vita. Dopo un’intensa vita apostolica Gesù si ritirava in un luogo solitario, e là pregava. Si tratta di una pausa necessaria per distendere il corpo e lo spirito.
L’Evangelista san Marco ci ha già parlato della chiamata degli apostoli. I dodici erano stati scelti perché stessero con lui e per annunciare il Vangelo. Fino a questo momento essi hanno conosciuto la bellezza di stare con Gesù”, ora sono mandati per vivere la seconda dimensione del discepolato, cioè l’andare, l’uscire per portare il lieto annuncio della salvezza.
Il brano di Vangelo di oggi, soprattutto le parole che Gesù pronuncia dopo il rifiuto dei suoi concittadini - Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria - richiama un’affermazione del prologo del Vangelo di San Giovanni: E’ venuto nella sua casa e i suoi non lo hanno accolto. Gesù, dunque, viene respinto dalle poche persone che abitavano Nazareth, ma nel loro atteggiamento è possibile vedere le resistenze, le opposizioni e il rifiuto che la persona di Cristo ha incontrato nel corso dei secoli e continua ad incontrare da parte delle persone e delle istituzioni.
La liturgia di questa domenica ci porta a riflettere sulla vita e la morte. La prima lettura ci rivela che la morte non rientrava nel piano iniziale del Creatore. Quando Dio ha creato l’uomo, lo ha voluto libero ed incorruttibile, ma il diavolo, invidioso della felicità dell’uomo, lo ha ingannato e lo ha portato a scegliere il peccato, e così la morte è entrata nel mondo. La morte, dunque, è la conseguenza del peccato.
Oggi Gesù ci parla del Regno di Dio e di come esso di sviluppi nel mondo. Si serve di due eventi che tutti possiamo osservare nella vita di ogni giorno: la storia del seme che cresce da solo e la storia del piccolo seme di senape che diventa un albero
La solennità del “Corpus Domini” ravviva nella Chiesa la fede nella presenza reale di Cristo nell’Eucarestia, dove il pane e il vino si trasformano nel Corpo e nel Sangue del Signore. Il cambiamento del pane nel Corpo e del vino nel Sangue di Cristo è una conversione “mirabile e singolare” che fonda l’incrollabile certezza della sua verità sulle parole di Gesù nell’Ultima Cena - “Questo è il mio corpo”; “Questo è il calice del mio sangue”- e sull’azione potente del suo Spirito
L’Anno liturgico ci fa celebrare gli eventi della nostra salvezza: l’incarnazione, la passione, la morte, la resurrezione, l’ascensione di Cristo e la venuta dello Spirito Santo. Con la solennità odierna la Chiesa ci invita a contemplare il punto di partenza da cui tutto è scaturito: la Santissima Trinità. La Trinità ci parla della profondità del mistero di Dio, che, in parte, rimane inaccessibile anche dopo che Cristo ce ne ha parlato.
La Pentecoste, che oggi celebriamo, è la festa dello Spirito Santo, la terza persona della Santissima Trinità. Gesù, prima di lasciare questo mondo, cioè prima della sua morte, annuncia, con un’affermazione singolare, la venuta dello Spirito: E’ meglio per voi che io me ne vada (Gv. 16.7). I discepoli nelle parole del Maestro colgono solo l’aspetto della separazione, che suscita in loro un sentimento di tristezza. Possiamo ben immaginare le obiezioni degli apostoli: “Ma come! Tu sei venuto per salvarci, per essere la nostra guida, tu che ci hai chiamati tuoi amici ora vuoi andartene?”.
La Chiesa celebra oggi la solennità dell’Ascensione di Gesù al cielo. L’evangelista san Marco racconta l’evento con queste parole: Il Signore Gesù, dopo avere parlato con loro [gli apostoli], fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio.
Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi. E’ Gesù che parla. La forza di questa affermazione è data dalla parola “come”. Non si tratta di un “come” comparativo, ma fondativo. Gesù, cioè, radica l’amore che nutre per i discepoli sull’amore che il Padre ha per Lui. In altre parole, Egli afferma che l’amore del Padre è all’origine, è la condizione, è la possibilità del Suo amore per gli apostoli. Da questa rivelazione sgorga una conseguenza importantissima: il Figlio ama noi non perché trovi in noi qualità amabili, ma perché Lui per primo è amato dal Padre.
Il testo dell’allegoria della vite e i tralci, una delle pagine più belle del Vangelo di Giovanni, è da leggersi più volte con attenzione e amore. Gesù, con questa allegoria, si propone di illustrare a quali profondità può giungere l’unione del discepolo Lui e le conseguenze che ne derivano. La relazione che il Signore propone è un’esperienza molto diversa da quella che si instaura tra un maestro e i suoi alunni o tra un “sapiente” che educa i suoi adepti ad una vita virtuosa. Infatti, nessuno dei grandi maestri dell’antichità - Socrate, Budda – ha mai detto: Rimanete in me ed io in voi.
Gesù, in questa quarta domenica di Pasqua, si presenta con queste parole: “Io sono il buon Pastore”. Questa presentazione che Cristo fa di se stesso è una delle più commoventi e suggestive. Non a caso in una delle prime raffigurazione - in un affresco nelle catacombe romane - Cristo viene rappresentato come un Pastore che porta sulle spalle una pecora. Il Signore, utilizzando questa immagine, ci svela che il rapporto tra Lui e i suoi discepoli è di appartenenza. Al mercenario, cioè al pastore prezzolato, le pecore non interessano poiché non sono sue e così quando si avvicina il lupo le abbandona al loro drammatico destino. Il pastore, invece, non si comporta così.
I due discepoli di Emmaus, mentre ritornano alle loro case tristi e delusi in seguito alla morte e sepoltura di Cristo, vivono un’esperienza inaspettata che fa rinascere la speranza. Cristo risorto si affianca loro e si fa riconoscere mentre spezza il pane. Ripieni di gioia fanno ritorno a Gerusalemme e annunciano agli apostoli, riuniti nel Cenacolo, la resurrezione di Cristo. A confermare la testimonianza dei due, improvvisamente, in mezzo a loro appare Gesù stesso.