I testi della Messa della solennità del Corpo e Sangue del Signore sono stati scritti da san Tommaso d’Aquino, uomo di grandissima cultura e di profonda fede. Lo spirito che lo ha guidato nella composizione delle preghiere e degli inni è stato quello di aiutare i fedeli, quindi anche noi, a non dubitare della presenza di Cristo nel sacramento dell’Eucarestia. Si tratta, infatti, di una presenza vera e reale, ma nascosta, velata, misteriosa. Infatti, confessare che Gesù è presente nell’Eucarestia significa riconoscere che nel segno del pane e del vino è presente lo stesso Figlio di Dio, nato da Maria vergine duemila anni fa a Betlemme. C’è dunque identità tra il corpo storico di Cristo ed il corpo eucaristico.
La Chiesa dopo la celebrazione della Pentecoste, con la quale abbiamo concluso il tempo pasquale, ci conduce a contemplare la Santissima Trinità, la quale, come insegna il Catechismo della Chiesa Cattolica, è il mistero centrale della fede e della vita cristiana. Soltanto Dio può darcene la conoscenza rivelandosi come Padre, Figlio e Spirito Santo”. La solennità della Santissima Trinità ci introduce, dunque, nella vita intima di Dio che né la forza della nostra intelligenza né la religione del popolo ebraico, con i suoi maestri e profeti, sono state in grado di potere conoscere. Essa ci è stata rivelata da Gesù Cristo. Nel testo evangelico proposto alla nostra riflessione, Gesù, infatti, oltre che parlare di se stesso, ci parla del Padre suo e dello Spirito Santo. Riguardo al Padre Egli dichiara: Tutto quello che il Padre, possiede è mio”. Tra Cristo e Dio-Padre esiste, da sempre, una intima relazione fondata sul dono e sull’amore, non sulla rivendicazione e sulla vanagloria.
Con la Pentecoste la Chiesa celebra l'invio dello Spirito Santo, che rende presente in maniera permanente il Signore tra noi. Per fare spazio a Lui - che è la terza Persona della Santissima Trinità - Cristo deve “andarsene”. In effetti, nel testo del Vangelo di oggi, tratto dai cosiddetti discorsi di addio, Gesù annuncia ai suoi discepoli che di lì a poco sarà arrestato, giudicato e condannato alla morte in croce. Dà loro una notizia terribile, ma nello stesso tempo li rassicura. Non li lascerà soli ad affrontare l’odio del mondo, la persecuzione, lo sconforto, la paura…Fa una promessa. Dice: “Io pregherò il Padre ed Egli vi darà un altro Paraclito perchè rimanga sempre con voi”. La parola “Paraclito” significa difensore, avvocato, ma anche consolatore. Gesù dicendo “un altro” rivela che Lui è il primo Paraclito, e che l’azione dello Spirito Santo sarà simile a quella da lui compiuta, anzi ne sarà quasi il prolungamento. Lo Spirito Santo, dunque, è il continuatore della presenza del Padre e del Figlio tra gli uomini. Pertanto, la fonte dell’Amore che animava il Figlio, passa ora ad animare e a sostenere gli uomini che credono in Lui.
Dopo la Resurrezione il posto di Cristo non è più presso gli apostoli sulla terra, ma nell’eternità di Dio. E’ per questa ragione che san Luca conclude il suo vangelo con l’episodio dell’Ascensione di Gesù. Il testo precisa che il Signore “si staccò da loro e veniva portato su, in cielo”. Utilizzando queste parole, l’evangelista vuole sottolineare che con la resurrezione Gesù non è ritornato alla vita di prima, ma è entrato in una condizione nuova, è entrato anche con il suo corpo nella gloria del Padre.
Nel brano di Vangelo di questa domenica, Gesù ci educa su due temi fondamentali della vita cristiana: l’amore per Lui e il dono dello Spirito Santo. Se vogliamo avere la prova che amiamo veramente il Signore dobbiamo innanzitutto chiederci se siamo obbedienti. Se uno mi ama - dice Gesù - osserverà la mia parola, ossia i suoi Comandamenti. Con l’osservanza dei comandamenti noi rendiamo visibile la nostra appartenenza al Signore e l’amore e l’amicizia che proviamo nei suoi confronti. Ma c’è anche un’altra caratteristica dell’amore. Gesù ci dice che l’amore è il luogo dell’incontro con il Padre. Amando Gesù noi entriamo in comunione con il Padre suo. Questo ci porta a riconoscere che senza l’amore l’uomo resta incapace di vivere un’autentica esperienza di Dio.
Ci troviamo nel Cenacolo. Siamo alla vigila della passione e morte e Cristo si rivolge ai discepoli chiamandoli “figlioli”, cioè “piccoli cari figli”, manifestando nei loro confronti una cura ed un amore quasi materni. Fino ad ora Egli è stato in mezzo a loro e li ha protetti, ma adesso sta per essere messo a morte e pertanto consegna ai discepoli il suo “testamento” che è sintetizzato nelle parole: come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri.
In questa quarta domenica di Pasqua, nella quale si legge un brano del capitolo 10 del Vangelo di san Giovanni, Gesù applica a sé un’immagine che è molto presente nei testi dell’Antico testamento, quella del buon Pastore. E’ il motivo per il quale la Chiesa celebra oggi la giornata mondiale di preghiera per le vocazioni alla vita sacerdotale e religiosa.
Del bellissimo brano di Vangelo di questa III domenica di Pasqua, che ci presenta l’apparizione di Cristo risorto a Pietro e ai discepoli sul lago di Tiberiade, vorrei soffermarmi su due particolari apparentemente insignificanti.
Il brano di vangelo di oggi ci racconta l’apparizione di Cristo risorto all’intero collegio apostolico. L’episodio inizia con le parole la sera di quello stesso giorno. L’espressione quel giorno intende porre in evidenza che si tratta dello stesso giorno in cui è stato scoperto il sepolcro vuoto ed è avvenuta l’apparizione del Signore risorto a Maria Maddalena. Le tenebre sono ormai definitivamente sconfitte, dal momento che il discepolo che Gesù amava e Maria Maddalena hanno testimoniato che il Signore è risorto. E’ questa la ragione per la quale i discepoli non mostrano alcun dubbio quando vedono Gesù apparire in mezzo a loro.
Celebriamo oggi l’evento che ha cambiato le sorti dell’umanità: la resurrezione di Cristo. Se l’esito finale della vita di Gesù fosse stata la morte, la sua esistenza si sarebbe rivelata inutile ed insensata.
La liturgia della domenica delle Palme, che apre i riti della Settimana Santa, si svolge in due momenti: la benedizione e la processione con i rami di ulivo, che commemora l’ingresso trionfale di Gesù in Gerusalemme, e il racconto della Passione tratta dal vangelo di san Luca.
In questa V domenica di Quaresima la Chiesa ci presenta l’episodio dell’adultera, uno dei più commoventi e confortanti del Vangelo. Vorrei soffermarmi sulle parole che il Signore rivolge alla peccatrice perdonata: Va e d’ora in poi non peccare più. Nel comando di Cristo “va” noi possiamo riscontrare una missione affidata alla donna.
Il Vangelo di oggi ci riporta una delle parabole più belle raccontate da Gesù che ha come protagonista la figura di un padre. Esso, infatti, è presente dall’inizio alla fine del racconto evangelico. Si tratta di un padre in cui vediamo ravvisato il volto ed il cuore di Dio, che non si rassegna a perdere il proprio figlio a causa delle scelte rovinose fatte. La causa della sua rovina non è da ricercarsi nella richiesta della parte dell’eredità che gli spettava per sperperarla, ma nel considerare la casa paterna come una prigione e la presenza del padre ingombrante e limitante la sua libertà. Il figlio ha creduto di potere trovare la sua libertà, la sua realizzazione, la pienezza della vita allontanandosi da casa e da suo Padre
Il Vangelo di questa domenica riporta due drammatici fatti di cronaca, accaduti al tempo di Gesù. Il primo riguarda il massacro compiuto da Pilato di un gruppo di Galilei; il secondo la morte di numerosi operai a causa del crollo di una torre.
Oggi il Vangelo ci presenta l’episodio della Trasfigurazione nel quale sono coinvolti diversi personaggi: Gesù, Dio-Padre, gli apostoli Pietro, Giovanni ed Andrea, Mosè ed Elia.
Il periodo della Quaresima è chiamato dalla Chiesa “tempo forte”, ossia particolarmente importante, ha lo scopo di aiutarci, attraverso un cammino di conversione, di preghiera e di penitenza, a ritrovare la nostra identità di cristiani e quindi a riscoprire l'origine della nostra storia con Cristo e della nostra appartenenza alla Chiesa. In una parola la Quaresima è riscoperta del nostro Battesimo. Con questo sacramento siamo stati liberati dal peccato ed elevati alla dignità di figli di Dio. Tuttavia, si tratta di un dono che è continuamente messo alla prova dalla attrattiva che continua ad esercitare in noi “la seduzione del peccato” a causa della quale - come è avvenuto per Adamo ed Eva nel paradiso terrestre – ci allontaniamo dalla volontà di Dio nostro unico e assoluto bene e pretendiamo di costruire un mondo senza di Lui.
Nel brano di Vangelo di oggi, Gesù ci dice quale atteggiamento devono avere i suoi amici con gli altri. Egli pone alla base di ogni relazione l’amore. La parola “amore” è la più inflazionata e utilizzata al mondo, eppure l’esperienza ci insegna che amare è terribilmente difficile, arduo. Il modo “normale” di amare consiste nel volere bene a coloro che ci amano e ci fanno del bene. Non è questo quello che viene chiesto ai cristiani, a coloro, cioè, che scelgono di seguire Gesù.
Il Vangelo di questa domenica ci presenta il discorso delle beatitudini, definite da papa Francesco via pratica di santità. Nei primi secoli del cristianesimo le beatitudini venivano consegnate ai neo-battezzati insieme al Padre Nostro. Questa scelta era motivata dalla convinzione che esse non sono espressioni poetiche, astrazioni "spirituali", regole di condotta, ma costituiscono l’autobiografia di Cristo, ci dipingono il suo ritratto, ci descrivono la sua personalità.
Il Vangelo di questa domenica ci presenta l’episodio della pesca miracolosa, avvenuta sul Lago di Tiberiade. Pietro alla richiesta di Gesù di prendere il largo e di gettare le reti - nonostante non avessero preso nulla nel corso della notte - si fida e obbedisce. Il risultato è straordinario: la rete si riempie di pesci. Pietro, pieno di stupore, si rende conto che Cristo non è un uomo qualsiasi e riconosce di non potere stare alla sua presenza a causa della propria indegnità: “Signore, allontanati da me, perchè sono peccatore”. Ma il Signore non si scandalizza del peccato e dei limiti dell’uomo, anzi lo invita a maturare la consapevolezza che la fragilità umana, per quanto grande, è superata dalla potenza di Dio: “Non temere d’ora in poi sarai pescatore di uomini”.
La prima lettura della Santa Messa ci presenta la vocazione di Geremia. Oggi vogliamo soffermarci sulla figura e la missione del profeta perchè in esse troviamo la ragion d’essere di ogni persona che giunge alla fede. Infatti, i profeti costituiscono come uno specchio nel quale rifletterci. Il primo aspetto che emerge dalla storia di Geremia è la gratuità della vocazione. E’ Dio che chiama. Tuttavia la chiamata di Dio non è una decisione improvvisa, noi diremmo estemporanea, ma è la conclusione di “un cammino d’amore”, di un amore che viene da molto lontano. Dice Dio: “ Prima di formarti nel seno materno ti conoscevo, prima che tu uscissi alla luce, ti avevo consacrato”. Dunque, quando io ancora non esistevo, non sapevo di me, Qualcuno già mi conosceva, mi aveva pensato, voluto, amato, desiderato. All’origine della vita e della chiamata alla fede di ognuno di noi c’è un disegno più grande di me, che mi sovrasta. C’è Dio e il suo Amore.