Il Comune di Mirandola, in provincia di Modena, il cui territorio insiste nella Diocesi di Carpi ha premiato la scorsa settimana con la Benemerenza Civica Monsignor Francesco Cavina, Vescovo emerito di Carpi, per il suo impegno profuso nella ricostruzione morale, materiale e spirituale della comunità mirandolese a seguito del terremoto che sconvolse la cittadina nel 2012.
Siamo ormai giunti alla fine dell’anno liturgico ed è per questa ragione che la Chiesa ci invita a volgere il nostro sguardo alla fine del tempo e della storia. Per aiutarci nella nostra riflessione la liturgia ci propone un brano del “discorso escatologico”, ossia delle “cose ultime”, fatto da Gesù. Si tratta di parole che a prima vista possono anche impaurirci perchè annunciano sia la fine della città di Gerusalemme che la fine del mondo.
Nel brano del Vangelo di questa domenica facciamo la conoscenza con i Sadducei. Costoro costituivano l’aristocrazia del popolo ebraico e sostenevano che non c’è resurrezione. I sadducei potrebbero essere equiparati ai materialisti di oggi, a coloro cioè che ritengono credibile solo quello di cui si ha esperienza sensibile. Per loro tutta la vita si gioca qui e ora.
Il Figlio di Dio si è fatto carne per trasformare il mondo o, più esattamente il cuore dell’uomo. Possiamo dire che questo è l’insegnamento più vero che ci trasmette l’episodio dell’incontro di Gesù con Zaccheo, un peccatore che sente il bisogno del perdono. Solo Dio può perdonare. Gesù, vero Uomo e vero Dio venuto per salvare l’uomo dal peccato, sta passando per Gerico e Zaccheo coglie l’occasione. Sale su di un albero per vedere il Figlio di Dio e da questi è veduto e gli chiede di essere accolto nella sua casa. L’incontro tra Zaccheo e il Signore ci dice che la salvezza è iniziativa gratuita del Signore che, tuttavia, si inserisce all’interno di una ricerca, di una disponibilità, di una domanda dell’uomo. Essa, quindi, è sempre al tempo stesso dono e compimento di un desiderio. Ecco perchè il Signore trova tanta accoglienza da parte di Zaccheo.
Per cogliere il tema centrale della parabola del fariseo e del pubblicano è necessario tenere presente l’ introduzione nella quale Gesù spiega il motivo per cui la racconta: “Disse questa parabola contro alcuni che presumevano di essere giusti…”. Il cuore del problema si trova nel termine “giusti”. Infatti, in questa piccola parola è racchiuso il destino ultimo della nostra vita, la salvezza eterna.
Nella vita spirituale ci sono azioni divine che accadono una volta solo: così è, ad esempio, per i sacramenti del Battesimo, della Cresima e dell’Ordine sacro. Altre, invece, è necessario compierle molto spesso, come ad esempio perdonare, comprendere, accogliere; altre ancora, poiché appartengono alla quotidianità, possono venire sopraffatte dalla stanchezza, dall’abitudine e dallo scoraggiamento: tra queste si colloca la preghiera. Per questa ragione, la Chiesa, nella liturgia della Parola di questa domenica, vuole aiutarci a comprendere l’importanza e la necessità della preghiera.
La liturgia della parola di questa domenica ci presenta il racconto di due miracoli. Il primo ha come protagonista il profeta Eliseo che guarisce dalla lebbra Nàaman il siro (I Lettura). Il secondo invece è opera di Gesù, che risana dieci lebbrosi. Dai vangeli noi sappiamo che la predicazione di Cristo è stata accompagnata da segni prodigiosi. Cristo, infatti, ha donato la vista ai ciechi, ha risanato paralitici, ha risuscitato dei morti, ha liberato dal demonio, ha sfamato migliaia di persone con pochi pani e pesci, è intervenuto sulle forze devastanti della natura. Ma soprattutto Egli stesso una volta morto con la sua resurrezione ha sconfitto definitivamente la morte, il grande nemico dell’uomo.
La richiesta dei discepoli: “Signore aumenta la nostra fede” è la nostra stessa richiesta. Ad essa Gesù risponde in maniera stupefacente: “Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: ‘Sradicati e vai a piantarti nel mare’, ed esso vi obbedirebbe”. Con queste parole il Signore ci dice che con la fede è possibile fare l’esperienza dell’impossibile. La vita di Abramo, di Mosè, della vergine Maria, degli apostoli, della schiera di martiri, santi e sante che hanno abbellito la Chiesa nel corso della sua storia ci testimoniano la verità dell’affermazione di Cristo. La fede rende possibile l’impossibile. Mi sembra importante sottolineare che la fede di tutte queste persone non è la conseguenza di un sentimento, di un ragionamento astratto, di un’intuizione, ma di un incontro. Nella loro vita si è fatto presente il Signore, loro lo hanno accolto e così sono divenute “torce viventi” d’amore per Lui.
Gesù, in questa domenica, racconta una parabola che ha come protagonisti un uomo ricco - la cui unica occupazione sembra essere quella di festeggiare, divertirsi e godere - e un uomo povero, affamato e ammalato di nome Lazzaro. Lazzaro significa “Dio viene in aiuto”. Il povero, dunque, nonostante la sua povertà è ricco in quanto è consapevole di essere nelle mani di Dio, il Quale non permetterà che la sua esistenza si concluda per sempre nell’infelicità. La grande ricchezza della vita, dunque, è la fede che ci permette di riconoscere che la nostra esistenza, per quanto segnata dal dolore e dalla sofferenza, è plasmata da Dio e destinata all’incontro salvifico con Lui, che è il sommo Bene.
La parabola di questa domenica appare scandalosa perché sembra che ci venga presentato come modello di vita un amministratore corrotto. Ma a ben guardare Gesù non loda il fattore per la sua disonestà (tanto è vero che lo chiama disonesto) ma per il coraggio e la preveggenza, l’astuzia e la furbizia con cui si assicura un avvenire dignitoso.
Nella vita cristiana è presente un equivoco che potremmo esprimere con queste parole: è l’uomo che si pone alla ricerca di Dio. La parabola del Padre che corre incontro al figlio che torna a casa imbruttito a causa del suo peccato ci dice invece che è Dio a ricercare l’uomo, perchè non si rassegna a vedere la rovina dei suoi figli che ama e vuole salvare. Nella parabola evangelica appare chiaramente che il figlio non torna per amore, ma per bisogno, per interesse personale. Nonostante questo suo atteggiamento il Padre lo accoglie con un grande abbraccio. Ciò che conta per Lui è che il figlio “perduto” è tornato a casa. Per questo motivo non solo non gli rivolge una parola di rimprovero, ma lo riveste della veste più bella, gli mette l’ anello al dito…lo reintegra nella sua dignità. Il Padre ama in modo così disinteressato perchè non guarda cosa c’è nel cuore dell’uomo, ma nel suo cuore il quale è ricco di misericordia. L’amore di Dio, dunque, non è un amore qualsiasi: è un amore misericordioso. Un amore che "sente" la nostra miseria come fosse la Sua propria miseria ed opera per toglierla.
Le parole che Gesù pronuncia oggi nel Vangelo appaiono molto dure. In realtà il Signore intende precisare alla folla che lo segue con entusiasmo le condizioni necessarie per seguirLo. Si rivolge alla folla e pertanto le indicazioni valgono per tutti. Il Signore chiede ai suoi discepoli un appassionato amore per Lui e una grande libertà interiore che possono comportare non solo la rottura dei legami familiari ma anche la rinuncia a se stessi. Una simile radicalità è possibile quando si vive la comunione con Gesù e lo si scopre come il “bene” unico e assoluto della vita. Solo questa esperienza incomparabile porta con sé il coraggio della rinuncia ai legami di parentela, e persino alla propria vita. Il Signore afferma, così, il primato della sua Persona su qualsiasi altro bene
In questa domenica troviamo Gesù invitato a pranzo a casa di un fariseo. Gesù, da acuto osservatore, si diverte ad osservare con quanta preoccupazione gli ospiti cercano di occupare i posti d’onore. Allora, racconta una parabola dove condanna questa spasmodica ricerca dei primi posti. E offre un consiglio: “Quando sei invitato a nozze, non metterti al primo posto”.
Nel testo del Vangelo di questa domenica c’è un’espressione sulla quale vogliamo soffermarci: “Come mai - dice Gesù - questo tempo non sapete giudicarlo?”. E’ come se Gesù chiedesse: che significato ha per te il tempo presente, il tempo della Chiesa? Si tratta di una domanda importante perchè stiamo vivendo uno dei tempi più difficili della storia moderna e della Chiesa nei quali non è facile mantenere viva la speranza. La risposta vera a questo interrogativo è una sola. Il tempo che viviamo è un tempo in cui Cristo è presente. Lui stesso ce lo ha promesso: “Io sono con voi tutti i giorni”. Possiamo, quindi, affermare che in qualche modo l’incarnazione del Figlio di Dio si prolunga nel nostro oggi. Ora se Cristo è presente con Lui sono pure presenti tutti i beni che Egli ha portato perchè l’uomo possa conseguire il fine ultimo della sua esistenza: la salvezza eterna.
Il brano di Vangelo di questa domenica ci presenta tre parabole di Gesù indirizzate a “un piccolo gregge”. Con questa espressione il Signore intende rivolgersi a quella minoranza di autentici discepoli che in mezzo ad una generale apostasia rimangono fedeli alla loro fede e mantengono vive nel tempo e nella storia le promesse del Signore Gesù. Questa loro fedeltà torna a vantaggio di molti perché desiderano il bene e hanno fame e sete di un mondo più giusto.
Il Vangelo di questa domenica mette in guardia dal considerare l’accumulo della ricchezza come garanzia di sicurezza e di vita. Chi pensa in questo modo viene qualificato da Gesù con una sola parola “Stolto”. Costruire la propria esistenza su ciò che passa vuol dire cadere nell’inganno. La vita, dunque, non dipende dai beni accumulati, non dipende da ciò che si ha. Il Signore con la parabola di questa domenica ci invita a riempire la nostra vita terrena della vita celeste di Cristo. Egli, infatti, poiché è risorto non passa e vive per sempre, per questo egli solo è la consistenza di tutto e di tutti. La parabola evangelica, dunque, ci insegna a mettere in relazione la vita presente con quella futura. A vivere la nostra esistenza terrena come una tappa non come fosse il traguardo. A non confondere il viaggio come fosse la meta, ignorando o trascurando la vita eterna che è il fine, il traguardo dell’esistenza umana.
Il tema della liturgia della Parola di questa domenica è la preghiera. Si tratta di un tema che appare per lo meno anacronistico perchè per pregare è necessario volgere il proprio cuore, la propria mente e la propria volontà a Dio. Ora, dobbiamo onestamente riconoscere che Dio non gode di particolari attenzioni da parte del mondo. E quando emerge un qualche interesse per Lui il più delle volte si risolve in una caricatura offensiva o in una strumentalizzazione. Si rifiuta Dio o si vive come se Dio non ci fosse perchè si ritiene che la vita senza di Lui sia più libera, che la scienza e la tecnica possano dare la risposta a tutti i bisogni dell’uomo. Ma, a ben guardare, la realtà ci racconta un’altra storia e ci dice che quando viene meno Dio la vita è priva di ancoraggio, manca di una meta a cui guardare, non ha più una motivazione alta per accendere su questa terra il fuoco della speranza, della bontà, della giustizia e dell’amore. Soprattutto aumentano la solitudine esistenziale e le nostre inquietudini, le quali possiamo anche leggerle come bisogno di Dio, secondo l’indicazione di sant’Agostino: Ci hai fatti per te, mio Dio, e il nostro cuore è inquieto fino a quando non potrà riposarsi in te.
Il Vangelo di questa domenica pone al centro della vita cristiana il tema dell’ascolto della Parola di Dio. L’occasione a Gesù per offrirci questo insegnamento è data dalla calorosa accoglienza che riceve a Betania nella casa di Lazzaro, Marta e Maria. Le due sorelle assumono nei confronti di Cristo un atteggiamento molto diverso. Marta è preoccupata “dai molti servizi” perchè desidera che l’illustre ospite riceva tutti i riguardi e le attenzioni che merita, mentre Maria è attratta dalla Persona di Gesù e si pone seduta ai suoi piedi per ascoltare la sua Parola. Per lei l’ascolto è più importante di qualsiasi altra cosa.
Il brano di Vangelo di questa domenica ci presenta Gesù che invia in missione i settantadue discepoli. Non solo i dodici apostoli! Con questa decisione il Signore vuole aiutarci a comprendere che l’annuncio del Vangelo non è affidato solo ai vescovi, ai sacerdoti e ai diaconi ma a tutti i cristiani. L’evangelizzazione appartiene alla vocazione cristiana e trova la sua ragion d’essere nel sacramento del Battesimo e della Cresima. Nel Battesimo siamo stati liberati dalla schiavitù del peccato e resi partecipi della vita stessa di Dio. Con il sacramento della Cresima noi siamo diventati “soldati” di C cioè capaci di testimoniare al mondo la nostra fede.
Le letture ci aiutano a considerare le esigenze della vocazione. San Luca in tre piccole scene espone le condizioni richieste a chi si mette alla sequela di Gesù. Chi accetta l’impegno a seguirlo deve ponderare con serietà l’impegno che si assume. Seguire Cristo deve diventare coerenza di vita, testimonianza parlante del mistero di Cristo che ci avvolge e che in noi e con noi continua la sua corsa.