Il Vangelo della seconda domenica di Pasqua ci racconta l’apparizione di Cristo risorto ai discepoli, chiusi nel cenacolo per paura dei capi del popolo ebraico. Il testo fa presente che: “Venne Gesù a porte chiuse”. Il Signore, dunque, si presenta nel Cenacolo nonostante le porte fossero chiuse. I discepoli non solo non attendono la sua manifestazione, ma neppure immaginano lontanamente che Egli possa rendersi presente. E’ Lui, dunque, a decidere quando e come manifestarsi. Il Signore, comportandosi in questo modo, educa il cuore dei discepoli, ma anche il nostro, a desiderare la sua manifestazione, a coltivare l’attesa per la sua presenza, a rimanere vigilanti perchè può manifestarsi in qualsiasi situazione: mentre si prega, quando si lavora, quando si è in viaggio, quando si vive nella paura e anche quando si dubita… Tuttavia queste manifestazioni di Cristo hanno un denominatore comune: avvengono come “incontro”, un incontro che è Lui a provocare, che, quindi, è puro dono da accogliere e riconoscere. E’ questa la modalità con cui anche oggi si rende presente nella vita degli uomini.
Questa santa veglia, queste ore che stiamo vivendo sono le ore più grandi della nostra vita, quelle più cariche di significato perchè, come abbiamo cantato nel Preconio pasquale, celebriamo “la vittoria del più grande dei re”, la terra si ridesta di gioia e “le tenebre sono scomparse, messe in fuga dall’Eterno Signore della Luce”.
Il solenne ingresso di Gesù a Gerusalemme avviene il “giorno seguente” alla Cena di Betania (Gv 12.12). Non è Gesù ad organizzare il proprio ingresso nella Città Santa. Ad andare incontro a Lui e ai suoi discepoli sono i molti pellegrini venuti a Gerusalemme per celebrare la Pasqua, i quali lo accolgono con entusiasmo.
In questo domenica il brano di Vangelo presenta lo straordinario miracolo della resurrezione di Lazzaro. Nel lungo racconto, Gesù per aiutare Marta, la sorella del morto, ad entrare nel mistero della sua Persona, le dice: “Io sono la resurrezione e la vita, chi crede in me anche se muore vivrà. Chiunque vive e crede in me, non morirà mai”. Questa affermazione, che rappresenta il vertice del dialogo, suscita un senso di fastidio, per non dire di reazione negativa, perché l’esperienza ci racconta un’altra realtà: anche chi crede in Gesù muore. Bisogna forse riconoscere che ha ragione il filosofo antico Epicuro quando afferma che “a causa della morte, noi, gli uomini, siamo come città senza mura?”, cioè senza alcuna difesa, senza alcuna risposta
Il cieco nato guarito da Gesù, di cui ci parla il brano di Vangelo della IV domenica di Quaresima, giunge a riconoscere che quell’uomo che gli ha restituito la vista è il “Signore”.
Nei Vangeli sono raccontati tanti incontri di Gesù con persone molto diverse tra di loro. Anche la nostra presenza alla celebrazione domenicale è motivata dal desiderio di incontrare il Signore. Egli sa che noi abbiamo bisogno di Lui e per questo ci parla nella sua Parola e nel sacramento dell’Eucarestia si avvicina a ciascuno di noi perchè non vuole lasciarci soli “sulle strade a volte dissestate della vita”. Ci offre, così, la possibilità di confidarGli le ansie, le sofferenze, gli interrogativi che abitano e agitano il nostro cuore.
La Trasfigurazione è una delle pagine più belle e più straordinarie della vita di Cristo. San Leone Magno spiega che con questo miracolo Gesù ha voluto rimuovere dal cuore dei discepoli lo scandalo della croce (Omelie, LI,3).
La Quaresima è tempo di preparazione alla solenne festa della nostra Redenzione, la Pasqua. Perché questa preparazione possa portare frutti la Chiesa ci chiede di entrare per quaranta giorni con Gesù nel deserto, per imparare ad amare oltre ai nostri corpi anche le nostre anime. L’esperienza di Cristo, tentato nel deserto dal diavolo, ci porta a riconoscere che la vita cristiana è una lotta. In noi, sebbene già figli di Dio in forza del Battesimo, è presente non solo il bene, ma anche uno spirito cattivo che desidera la nostra rovina e per conseguire il suo fine fa di tutto per portarci lontano da Dio, che è la vita vera. Ebbene, in questo tempo di Quaresima siamo invitati a lasciarci “trovare” dal Signore, dal quale ci siamo allontanati e nascosti, e permettergli di prendersi cura di noi e della nostra salvezza, che è il fine per il quale siamo al mondo.
Nel Vangelo di questa domenica troviamo una parola di Gesù che sconcerta: “Amate i vostri nemici e pregare per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli”. Come è possibile per noi attuare questo comando? L’unica risposta sta nel guardare a Cristo, il quale ha donato la sua vita per liberarci dal peccato che è all’origine dell’inimicizia tra l’uomo e Dio tra un uomo e un altro uomo, tra un popolo ed un altro popolo.
Nel brano di Vangelo Gesù ci dice quali sono le opere buone per le quali il discepolo deve risplendere davanti al mondo. Dio, nell’Antico Testamento, aveva fatto conoscere la sua volontà attraverso la Legge e i Profeti. Ora, attraverso Cristo noi abbiamo la possibilità di conoscere la definitiva rivelazione di Dio. Gesù non è un rivoluzionario che vuole cambiare tutto e ripartire da zero, come se il passato non esistesse, ma vuole portare a compimento, a perfezione ciò che già esiste. Per spiegare il suo modo di agire Egli si serve di alcuni casi concreti che riguardano le relazioni tra le persone, il matrimonio e il giuramento.
Ai poveri in spirito, ai miti, agli umili, agli operatori di pace, ai perseguitati…Gesù dice: Voi siete il sale della terra! Voi siete la luce del mondo! Si tratta di due paragoni che servono per porre in evidenza che la verità del messaggio di Cristo deve essere annunciata a tutti.
In questa IV domenica del tempo ordinario la Chiesa ci chiama a confrontarci con il discorso della montagna o delle Beatitudini, con le quali il Signore si rivolge ai poveri, a coloro che si sentono oppressi, indifesi ed emarginati. Ad essi Egli proclama la venuta del Regno dei cieli. Questo regno è stato inaugurato o meglio ancora si identifica con la venuta del Figlio di Dio nella carne umana. Con la sua venuta nella storia gli indifesi saranno difesi da Dio, accolti gli esclusi, e agli oppressi sarà resa giustizia. Le beatitudini, dunque, portano un messaggio coraggioso, anzi provocante che va contro corrente rispetto alla logica semplicemente naturale. Si tratta di parole che ascoltiamo sempre volentieri e che innalzano lo spirito, danno speranza, liberano dalla paura e dall’angoscia, suscitano ammirazione.
Gesù, dopo che il cugino Giovanni fu arrestato si trasferisce da Nazareth a Cafarnao, una città che sorgeva sulle rive del lago di Tiberiade e che aveva un carattere cosmopolita. In essa, come del resto nella regione della Galilea, abitavano anche pagani. Con questa sua scelta, afferma chiaramente che la parola che Egli annuncia non è riservata al solo popolo d’Israele, ma è per tutti. Gesù è la Luce che viene ad illuminare il mistero che è Dio e il mistero che siamo noi perchè ci svela che il fine ed il senso della nostra esistenza è la comunione con Dio, che è amore, nella vita presente e un domani nella vita eterna .
Giovanni vide Gesù venire verso di lui. La prima immagine di Gesù nel vangelo è di uno che si fa vicino, che viene incontro. Non è però ancora evidente chi Egli sia veramente. Giovanni lo presenta come “l’agnello di Dio che toglie i peccati del mondo”. Si tratta di un’indicazione folgorante che dalle rive del Giordano è giunta in ogni chiesa dove si celebra la santa Messa. Infatti, in ogni eucaristia le parole di Giovanni sono rilanciate verso il cielo e verso il cuore di ogni persona. Esse ci dicono che il Figlio di Dio si è fatto carne per “portare”, “prendere sulle proprie spalle” e insieme “togliere via” il peccato del mondo. E così l’uomo, liberato dall’opprimente presenza del male vede aprirsi le porte del cielo e può godere qui in terra di una felicità, che diversamente non potrebbe conoscere. E’ la felicità che nasce quando si scopre che Dio mi vuole bene, si prende cura di me, si preoccupa del mio destino qui e ora e un domani nell’eternità.
In quel tempo Gesù andò al Giordano da Giovanni per farsi battezzare da lui. Così racconta il testo evangelico di questa domenica. Il Battesimo che Giovanni amministrava era un battesimo di penitenza perchè solo Dio può perdonare i peccati. La persona che accettava di farsi battezzare manifestava pubblicamente la sua decisione di seguire la Parola di Dio e di cambiare vita.
Tutte le feste della Madonna sono grandi, ma tutte trovano la loro origine da quella che celebriamo oggi: la divina maternità della Vergine Maria. Nella prima lettura abbiamo ascoltato le parole: Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge. Il Figlio di Dio, dunque, non è piovuto dal cielo sulla terra all’improvviso, ma si è reso presente all’umanità ricevendo, come ognuno di noi, una carne umana nel grembo di una madre. Cristo, dunque, in quanto Dio, esiste da sempre, in quanto uomo esiste perchè nato da una Donna.
Nella novena del Natale la Chiesa ci ha fatto ripetere per ben nove giorni: “Rorate Cœli desúper, et nubes plúant justum (Stillate rugiada, o cieli, dall'alto, e le nubi piovano il Giusto). Con queste parole abbiamo rivolto la nostra supplica a Dio affinché mandi dal cielo il Salvatore. La nostra invocazione è stata, finalmente, esaudita. I cieli si sono aperti e noi in questa santa notte siamo qui riuniti per celebrare il Dio-con-noi. A fronte di questo annuncio emerge un interrogativo. Ma siamo noi certi che i cieli si sono aperti e Dio nella Sua infinità bontà ci è venuto incontro, abbandonando gli insondabili spazi del suo Regno?
La liturgia di questa quarta domenica di Avvento si apre con la profezia di Isaia al re Achaz: “Ecco la Vergine concepirà e partorirà un Figlio, che chiamerà Emanuele”, ossia Dio con noi. Il brano di Vangelo ci porta, invece, al tempo del compimento delle parole del profeta. In esso ci viene presentata la figura di san Giuseppe, colui che il Signore chiama a divenire lo sposo della Vergine Maria e il padre putativo del Figlio di Dio. Egli, poiché non sa come comportarsi di fronte alla ‘mirabile’ maternità di Maria, vuole sottrarsi al progetto che Dio ha su di lui. Tuttavia, le sue resistenze vengono vinte dalle parole dell’Angelo che gli apparve in sogno: “Non temere”. Questo invito ci porta a riconoscere la natura della fede.
Il Messia, il Salvatore che Giovanni aveva annunciato e indicato presente alle folle, agisce e parla in maniera diversa da quanto lui si attendeva e credeva. Egli si era costruita l’idea che l’inviato da Dio dovesse presentarsi con le caratteristiche del vincitore e del trionfatore. Invece, Gesù smentisce le sue aspettative e si presenta come il Messia dei poveri, dei malati, dei peccatori e degli esclusi. Giovanni entra in crisi. Entra in quella situazione che i maestri di vita spirituale chiamano “la notte oscura dello spirito”. Possiamo chiamare “notte oscura” le sofferenze fisiche, morali o spirituali, la solitudine, la mancanza del senso della vita, la dolorosa esperienza del peccato, l’apparente assenza di Dio, la lacerante percezione che la scelta di seguire Cristo sia stata la scelta sbagliata della vita … E’ consolante sapere che il Precursore è uno di noi, che ha conosciuto nel suo cammino le stesse fatiche e gli stessi dubbi che abbiamo anche noi a credere.
La Chiesa in questa seconda domenica di Avvento ci fa ascoltare la voce del profeta Isaia e di Giovanni il Battista, i due più grandi predicatori dell’Avvento. Isaia annunciò la venuta del Signore da lontano e Il suo messaggio - “In quel giorno la radice di Iesse si leverà a vessillo di tutti i popoli” - ha nutrito e mantenuto viva l’attesa di generazioni di ebrei. Giovanni Battista, invece, è stato colui che annunciò la venuta imminente e in atto del Signore: “Colui che viene dopo di me è più forte di me e io non sono degno di portargli i sandali”.