Chi è Gesù? La domanda circa l’identità di Cristo attraversa da oltre duemila anni la storia dell’umanità. Si tratta di una domanda di fondamentale importanza perché dalla risposta dipende un preciso orientamento di vita.
Il brano di Vangelo di questo domenica è dominato dall’ elogio che Gesù rivolge alla donna cananea: Donna, davvero grande è la tua fede! Ti sia fatto come desideri. Che cosa ha fatto questa madre per meritarsi tanta ammirazione da parte di Cristo? Un’ammirazione che appare ancora più sorprendente dl momento che si tratta di una donna pagana. Ha creduto in Gesù.
Celebriamo oggi la solennità dell’Assunzione in cielo di Maria Vergine. Questo dogma è stato proclamato il 1° novembre 1950 dal Papa Pio XII, il quale confermò come verità di fede quanto la liturgia e la preghiera del popolo santo di Dio celebrava fin dai primi secoli dell’era cristiana. Il Papa spiega con queste parole il significato di Assunzione: «L'Immacolata sempre Vergine Maria, Madre di Dio, terminato il corso della vita terrena, fu assunta alla gloria celeste in anima e corpo»(Cost. ap. Munificentissimus Deus, AAS 42 [1950], 770).
La tradizione ha sempre visto in questa barca, lontana dalla riva e sbattuta dalla violenza delle onde, l’immagine della Chiesa che “come nave avanza tra i flutti, non raramente avversi, delle vicende umane” (Giovanni Paolo II, Efeso 1979). E quando le forze avverse sembrano moltiplicarsi nasce nel cuore di coloro che si trovano in essa l’inquietudine, spesso accompagnata dalla paura per le sorti della Chiesa stessa e del mondo. Sintomi che evidenziano una mancanza di fede. La vicenda di san Pietro, al riguardo, è illuminante. L’Apostolo ha potuto camminare sulle acque fino a quando ha tenuto il suo sguardo fisso su Cristo. Comincia ad inabissarsi e a soccombere alla tempesta non a causa della violenza dei fenomeni naturali ma perchè il suo sguardo da Cristo si è spostato al vento e alle onde minacciose. E così la paura ha di nuovo preso il sopravvento. Questo ci insegna che la fede ci rende partecipi della signoria di Gesù, ci dona sicurezza nella vita e ci fa scoprire che il Signore può trarre il bene anche da quelle situazioni, che a noi appaiono fallimentari.
Celebriamo oggi la solennità della Trasfigurazione di Gesù. Si tratta di un episodio nel quale il Signore manifesta a Pietro, Giacomo e Giovanni la sua gloria di Figlio di Dio. L’evento avviene su un monte che nella tradizione biblica è per eccellenza il luogo della rivelazione di Dio.
Nel Vangelo di questa domenica, Gesù presenta il Regno dei cieli “simile a un tesoro nascosto in un campo”. Il campo è il mondo, è il cuore dell’uomo con tutti i suoi desideri e le sue speranze. Il tesoro è Cristo.
Il Vangelo di oggi ci presenta la parabola del seminatore che esce per seminare e il seme da lui gettato cade su terreni diversi con risultati differenti. Con questa parabola il Signore ci pone di fronte alla tremenda responsabilità della nostra libertà. In effetti, i differenti terreni rappresentano le modalità con cui l’uomo accoglie la Parola di Dio, il dono di Cristo che Egli ha fatto all’umanità. C’è il cuore superficiale, quello arido e sassoso, quello dissipato e, infine, quello buono e disponibile alla parola di Dio.
Cristo con una preghiera di lode e di ringraziamento gioiosa e convinta ci svela il segreto che esiste tra Lui e Dio. Gesù non ha ancora detto a nessuno, in maniera esplicita, di essere il Figlio di Dio. Ora, invece, per ben cinque volte in pochissime righe si rivolge a Dio chiamandolo “Padre” e si mette a parlare con Lui davanti ai discepoli e alla folla, testimoniando la comunione e identità totale esistente tra loro. La nostra fede si radica su questa coscienza chiara che Cristo ha della sua divinità, di essere il Figlio di Dio.
Gesù, che ha donato la sua vita per tutti, ci ha insegnato ad amare senza distinzione alcuna. Tuttavia, oggi nel Vangelo ci ricorda che Lui va amato più di tutti, merita un amore senza misura e senza limiti. Niente e nessuno può prendere il suo posto nel nostro cuore, può essere preferito a Lui; neppure i legami familiari possono entrare in concorrenza con l’amore che a Lui si deve. Lui, infatti, è la misura della validità di ogni altro amore.
Non abbiate paura! Questo invito ritorna per ben tre volte sulla bocca di Gesù nel Vangelo di questa domenica. Il Signore sa che il messaggio del Vangelo dovrà confrontarsi con ostacoli, troverà opposizione, sarà oggetto di derisione e provocherà persecuzione a coloro che lo annunciano e a coloro che lo accolgono. Tutto ciò che ci appartiene e che ci è caro, dunque, è sotto minaccia. Gesù, tuttavia, ci rassicura che nulla e nessuno potrà fermare la forza intrinseca della Verità. Ne è un esempio la Sua vicenda storica. Infatti, la parola di salvezza che egli ha annunciato, partita da un oscuro paese del nostro pianeta ha raggiunto tutti gli angoli della terra, superando ostacoli che sembravano insormontabili, portando frutti di bene e di santità insperati.
Gesù nel suo andare per villaggi e paesi si rende conto che la situazione della gente assomiglia a quella di “pecore senza pastore”. Parole che descrivono un popolo disperso e senza una guida. Il Figlio di Dio è venuto tra noi per portare unità, liberare l’uomo dalla solitudine e dalla disperazione. Lui è la manifestazione della compassione di Dio, che si rivela in tutta la sua pienezza nella sua morte per la nostra salvezza.
Celebriamo oggi la solennità del Corpo e del Sangue del Signore. Questa festa pone al suo centro la Santissima Eucarestia, che possiamo definire il cuore pulsante della vita della Chiesa.
Dopo aver celebrato i misteri della salvezza – dalla nascita di Cristo a Betlemme fino alla venuta dello Spirito Santo a Pentecoste – la Liturgia ci porta a contemplare il mistero centrale della nostra fede: la santissima Trinità. Il Catechismo della Chiesa Cattolica insegna che Dio è Uno e in tre persone: Padre, Figlio e Spirito Santo. Si tratta di una verità che Dio stesso ha progressivamente rivelato agli uomini.
La Chiesa celebra oggi la solennità della Pentecoste che San Giovanni Crisostomo, con un’espressione efficace, definisce “la festa centrale del culto cattolico”, al cuore della quale c’è il dono per eccellenza dello Spirito Santo, promesso da Gesù ed effuso ai primordi della Chiesa nascente.
Il testo degli Atti degli Apostoli ci dice che i discepoli, dopo che Gesù salì al cielo se ne se “tornarono a Gerusalemme con grande gioia”. Una gioia apparentemente immotivata, perché quella era l’ultima volta che vedevano il Signore. Ma da dove nasce questa gioia sovrabbondante?
In questa VI domenica di Pasqua ci viene offerto un primo insegnamento sullo Spirito Santo, tratto sempre dai “discorsi di addio” e che abbiamo iniziato ad ascoltare domenica scorsa. I testi che la Liturgia propone, ci aiutano ad entrare più profondamente nel mistero pasquale di Gesù.
Il brano del vangelo di questa V domenica di Pasqua (Gv 14,1-12) appartiene ai cosiddetti “Discorsi di addio” (13-17) pronunciati da Gesù il Giovedì santo nel Cenacolo, prima, dunque, della sua passione e morte.
Nella IV domenica di Pasqua nella liturgia della Parola ci viene presentata la la figura di Cristo, Buon Pastore. Si tratta di un’immagine particolarmente amata dalle prime generazioni cristiane, le quali - come appare dagli affreschi, dalle incisioni, dai sarcofagi delle catacombe e dai mosaici delle antiche basiliche romane - la preferirono a qualsiasi altra raffigurazione, addirittura anche a quella del Crocifisso, che nell’iconografia cristiana appare molto più tardi.
Il Vangelo di questa domenica ci presenta l’apparizione di Gesù risorto ai due discepoli di Emmaus, che essi non riconoscono. Nel dialogo che Cristo incomincia con i due sconfortati discepoli emerge innanzitutto il rimprovero che Egli rivolge loro: “Stolti e tardi di cuore nel credere alla parola dei profeti” (v.25).
Il Vangelo della seconda domenica di Pasqua ci racconta l’apparizione di Cristo risorto ai discepoli, chiusi nel cenacolo per paura dei capi del popolo ebraico. Il testo fa presente che: “Venne Gesù a porte chiuse”. Il Signore, dunque, si presenta nel Cenacolo nonostante le porte fossero chiuse. I discepoli non solo non attendono la sua manifestazione, ma neppure immaginano lontanamente che Egli possa rendersi presente. E’ Lui, dunque, a decidere quando e come manifestarsi. Il Signore, comportandosi in questo modo, educa il cuore dei discepoli, ma anche il nostro, a desiderare la sua manifestazione, a coltivare l’attesa per la sua presenza, a rimanere vigilanti perchè può manifestarsi in qualsiasi situazione: mentre si prega, quando si lavora, quando si è in viaggio, quando si vive nella paura e anche quando si dubita… Tuttavia queste manifestazioni di Cristo hanno un denominatore comune: avvengono come “incontro”, un incontro che è Lui a provocare, che, quindi, è puro dono da accogliere e riconoscere. E’ questa la modalità con cui anche oggi si rende presente nella vita degli uomini.